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Erano necessari gli arresti domiciliari di Enrico Laghi, ex commissario straordinario Ilva?

Annarita Digiorgio

Nulla di nuovo è accaduto nei quattro mesi dall’arresto di Piero Amara per ordine della procura di Potenza. Un gigante industriale diventa un sistema di potere dello stato. Accuse e dubbi. 

Taranto. Ieri, mentre interrogava Angelo Loreto, attuale difensore dell’Ilva in amministrazione straordinaria e il giudice Roberto Oliveri del Castillo autore del libro rivelatore sul “Sistema” della procura di Trani, la procura di Potenza otteneva gli arresti domiciliari di Enrico Laghi, ex commissario straordinario Ilva. Eppure nulla di nuovo è accaduto nei quattro mesi dall’arresto di Piero Amara per ordine della procura di Potenza, tantomeno da quando quell’inchiesta è partita con l’arresto dell’ex procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo.

Tutto, infatti, è già racchiuso nelle 305 pagine del verbale con cui a giugno scorso è stato arrestato Amara, con la trascrizione di interrogatori risalenti all’anno precedente. Laghi, che fu sostituito insieme ai colleghi Gnudi e Carruba dal ministro Luigi Di Maio, da tempo non si occupa più del siderurgico e da oltre un anno ha potuto leggere le carte che lo riguardano. Non ha potuto però mentire quando a più riprese è stato sentito dalla procura di Potenza, come teste. Mentre è un suo diritto farlo ora come indagato. Una strategia dei pm quindi, che hanno preferito attendere per inserire il manager nel registro degli indagati, ma di cui non si ravvisa la necessità oggi, ad anni di distanza, delle misure cautelari.

 

La vicenda, appunto, è nota da tempo. La sintetizziamo per come è venuta fuori dai verbali di quattro procure: Potenza, Perugia, Milano e Roma. Amara si adoperò per far nominare il procuratore di Trani Capristo a capo della procura di Taranto. Se il luogo di incontro della fantomatica “loggia Ungheria” non è mai stato rivelato da Amara quello della cena in un ristorante ai Parioli tra lui, Capristo e Luca Lotti è certo. Come è certa la ritrosia di Lotti verso Capristo che a suo dire era già stato sponsorizzato da Francesco Boccia.

Il giro dunque è questo: Amara sponsorizza la nomina di Capristo a Taranto. A sua volta Capristo fa nominare Amara consulente di Ilva dal commissario Enrico Laghi. A presentare Laghi e Amara fu Nicoletti, un consulente portato in Ilva da Enrico Bondi. I rapporti erano così buoni che Laghi, Nicoletti e Capristo festeggiarono la nomina del procuratore con una cena a Bisceglie. Dopo la cena i tre si rividero sia a Roma sia in procura a Taranto perché insieme lavorarono per il patteggiamento di Ilva nel processo “Ambiente Svenduto”. Laghi chiese il patteggiamento per l’amministrazione straordinaria, Amara lo assisteva come consulente legale, Capristo lo concesse. Tutto avvenne alla luce del sole: convocato in un’audizione alla Camera, nei lavori della commissione Bilancio presieduta nel 2016 da Boccia, Capristo dichiarò: “Mi assumo la responsabilità del patteggiamento” vantando la sinergia istituzionale tra procura e Ilva. L’operato di Capristo fu elogiato in quell’audizione anche dal procuratore  di Milano Francesco Greco, che nel frattempo perdeva i procedimenti intentanti contro i Riva. Anche la parte politica di governo rivendicò la bontà del patteggiamento, il cui introito sarebbe stato riversato per le bonifiche. Ma la Corte d’assise di Taranto respinse il patteggiamento voluto dalla procura ritenendolo incongruo, e altrettanto fece la Cassazione rigettando il ricorso dell’Ilva. Inoltre, come già emerso dalle 305 pagine del verbale di giugno, Capristo tramite Laghi e Nicoletti si era speso per fare a sua volta nominare da Ilva legali a lui vicini, come l’avvocato Giacomo Ragno con cui aveva costruito rapporti stretti negli anni a passati Trani, che  hanno incassato  parcelle per  273 mila euro.

 

L’atteggiamento benevolo di Capristo verso l’Ilva cambierà con l’arrivo di ArcelorMittal: fu il procuratore nell’estate 2019 a scrivere una lettera al Senato chiedendo di revocare lo scudo penale e a dire a Conte, in un colloquio personale durante una visita dell’ex premier a Taranto, che l’azienda era  scudata anche senza immunità. I commissari di Ilva, insomma, potevano continuare a stare tranquilli. Gli investitori privati meno. L’ultima inchiesta che porta la firma del dottore Capristo, prima dell’arresto e del successivo prepensionamento, risale a dicembre 2020 quando, dopo le minacce di Conte ad ArcelorMittal di trascinarla nella “causa del secolo”, un sabato mattina a Taranto, ricevendo brevi manu un esposto dall’avvocato Loreto per conto dei commissari di Ilva, il procuratore aprì un ennesimo fascicolo per appropriazione indebita e distruzione dei mezzi di produzione con rischio di grave nocumento alla nazione. Era il fuoco incrociato con il procuratore Greco che, nelle stesse ore, apriva un fascicolo contro ArcelorMittal a Milano, dopo le accuse rivolte proprio dall’amministrazione straordinaria (per conto del governo). La pressione mediatico-giudiziaria trasformò quella che doveva essere “la causa del secolo” nell’accordo del secolo, col presidente Conte che, dopo un viaggio a Londra per incontrare in gran segreto la famiglia Mittal, decise di entrarci in società anziché portarla in tribunale. Dopo un anno e mezzo lo scorso luglio anche l’inchiesta che era stata aperta per manipolazione del mercato, distrazione dei magazzini e reati fiscali, è decaduta con l’archiviazione chiesta dal pm (ma con ben altra attenzione mediatica): le accuse, dopo gli accertamenti e l’ascolto dei dirigenti, “non hanno trovato riscontro”. Quanto alle “prospettive di sviluppo del sito di Taranto magnificate dall’azienda” influenzando il valore del titolo sui mercati poco prima di fare retromarcia, i pm Civardi e Clerici hanno riscontrato “la genuinità della crescente preoccupazione per l’abrogazione della immunità penale” che copriva le condotte commesse in esecuzione del piano ambientale. Ancora una volta in questa vicenda vengono accusati gli investitori privati delle peggiori nefandezze, mentre pezzi di stato trovano convergenze per trasformare quella che era la più grande fabbrica siderurgica d’Europa in un sistema di potere, consulenze, spartizione, debiti e cassintegrati. Speriamo di sbagliarci.

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