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Gratteri ci ripensa: Cesa non c'entra nulla con le indagini di “Basso profilo”

Ermes Antonucci

Gogna, accuse deboli e danni alla credibilità della magistratura. Ormai definitivamente sconfinata nella politica

La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, ha chiesto il rinvio a giudizio per settantotto persone coinvolte nell’inchiesta “Basso profilo” lanciata lo scorso gennaio e incentrata su presunti legami tra le cosche di ’ndrangheta del crotonese e una serie di politici, imprenditori e amministratori pubblici. La vera notizia è che i pm hanno stralciato la posizione del principale esponente politico coinvolto, l’ex segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, inizialmente accusato di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso e dimessosi poche ore dopo il suo coinvolgimento nell’inchiesta. In altre parole, secondo gli stessi pm, Cesa è estraneo a tutte le accuse. Si dirà: la giustizia ha fatto il suo corso, tutto bene quel che finisce bene. Ma le cose non stanno proprio così, per almeno due ragioni. 

 

In primo luogo, nessuno restituirà a Cesa l’onorabilità perduta. Il circo mediatico-giudiziario ha fatto il suo corso anche questa volta, e mentre le accuse infamanti contro Cesa vennero rilanciate sulle prime pagine di tutti i giornali, la notizia della sua estraneità all’inchiesta viene oggi relegata in brevi trafiletti nelle pagine interne di pochissimi quotidiani. Fu proprio il coinvolgimento di un politico di primo piano come Cesa a fornire grande visibilità all’inchiesta (paradossalmente denominata “Basso profilo”). Un classico delle indagini antimafia del procuratore Gratteri, spesso però caratterizzate da risultati non in linea con il clamore mediatico iniziale. A dispetto del “basso profilo”, nelle ore successive al lancio dell’inchiesta il procuratore di Catanzaro rilasciò una serie di interviste a giornali, radio e tv per comunicare i dettagli della maxi operazione, spingendosi pure a precisare – in una diretta televisiva nazionale – i capi di imputazione contestati all’ex segretario dell’Udc e le circostanze alla base delle accuse. Tutto ciò a dispetto del principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza (per non parlare della direttiva europea, recentemente recepita dal Parlamento italiano, che vieterebbe alle autorità pubbliche di rilasciare dichiarazioni che presentano l’indagato come una persona colpevole prima del processo).

 

All’epoca, il Foglio fu l'unico organo di informazione a evidenziare il protagonismo mediatico di Gratteri, così come la debolezza delle accuse mosse nei confronti di Cesa. Il tre volte deputato centrista era accusato di avere agito da intermediario di un presunto patto di scambio siglato tra il segretario calabrese dell’Udc, Francesco Talarico, e un esponente della ’ndrangheta. L’unico elemento a sostegno delle accuse era la partecipazione di Cesa a un pranzo organizzato da Talarico a Roma, in cui sarebbe stato presente anche l’imprenditore poi accusato di essere legato alla ’ndrangheta. Ma i partecipanti al pranzo sapevano che l’imprenditore era legato alla mafia? “Certo che sanno – dichiarò Gratteri a Repubblica – In questo caso, non possono non sapere che chi era loro di fronte aveva già avuto precedenti penali o era già espressione delle famiglie di élite della ’ndrangheta della provincia di Crotone”. Insomma, la carriera, la reputazione e la vita di una persona sono state stravolte in virtù del principio aberrante del “non poteva non sapere”.

 

La seconda ragione per la quale la notizia dell’estraneità di Cesa all’indagine dovrebbe far riflettere è legata alle ripercussioni che la vicenda giudiziaria ebbe sull’andamento della politica nazionale, dunque sul funzionamento della nostra democrazia. L’indagine della procura di Gratteri esplose infatti proprio nei giorni in cui Cesa si trovava al centro delle trattative politiche per trovare possibili “costruttori” a sostegno della maggioranza del governo Conte allora in crisi. Le proposte fino a quel momento erano sempre state respinte dal leader dell’Udc, ma fu l’inchiesta della procura di Catanzaro a mettere la parola fine a qualsiasi ipotesi di allargamento della maggioranza ai post-democristiani. A suo tempo, Gratteri respinse le polemiche sulla “giustizia a orologeria” dichiarando di avere sentito Cesa dire in tv che l’Udc non sarebbe entrato nella maggioranza: “L’altra notte avevo capito che era all’opposizione”. In altre parole, persino nel tentativo di escludere tempistiche “politiche” alla base dell’inchiesta, Gratteri fece riferimento alla situazione politica del paese. Confermando, se mai ce ne fosse bisogno, lo sconfinamento ormai definitivo della magistratura nell’ambito della politica.
 

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