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Bonafede certifica la sottomissione italiana al modello Davigo

Luciano Capone

Anche per il ministro della Giustizia non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti

Si fa presto a chiamarla “gaffe”. La semplicità con cui, per due volte, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha risposto “gli innocenti non finiscono in carcere” alla giornalista Annalisa Cuzzocrea che a “Otto e mezzo” gli aveva chiesto se da Guardasigilli si preoccupasse delle tantissime persone ingiustamente recluse è una bestialità. Bonafede, dopo le polemiche, si è difeso dicendo che lui “è il ministro che più di tutti ha attivato gli ispettori per verificare i casi di ingiusta detenzione” e che con quell’espressione, “gli innocenti non finiscono in carcere”, intendeva riferirsi “a coloro che vengono assolti la cui innocenza è, per l’appunto, ‘confermata’ dallo stato”. Un’altra bestialità, che però è rivelatrice di un certo modo di pensare. Con questa precisazione – che parte da una semplice tautologia: è ovvio che una persona assolta non finisce in carcere – Bonafede arriva a ribaltare il principio costituzionale della presunzione d’innocenza: lo stato, attraverso il processo e la sentenza, non dimostra la colpevolezza, ma “conferma” o meno l’innocenza. Grazie a un semplice lapsus del ministro della Giustizia più squinternato della storia repubblicana, quello che si vanta di aver abolito la prescrizione, come se fosse un vitalizio o un’auto blu, i cittadini si trovano proiettati nel mondo di Davigo, quello in cui “non esistono innocenti, ma esistono solo colpevoli non ancora scoperti”.

 

Dice, ora che è alleato del Pd, che da ministro si rifiuta “di commentare le pagliacciate di Salvini”, riferendosi alla spedizione squadrista al citofono del capo della Lega. Ma quando i due erano al governo insieme Bonafede lo scimmiottava e si truccava alla stregua del Truce per competere nelle pagliacciate giustizialiste. Esattamente un anno fa, il ministro della Giustizia metteva la divisa da secondino e diffondeva sui social network un indecente video promozionale ed emozionale con tanto di musichetta – Bonafede nel campo ha una certa expertise, faceva il disc jockey col nome Fofò Dj – di Cesare Battisti ammanettato. E nel video – che poi il Guardasigilli ha rimosso dalla sua pagina Facebook – i due, Salvini e Bonafede, Fifì e Fofò, erano uno a fianco all’altro.

 

Un dettaglio, forse marginale ma particolarmente grave, è che Alfonso Bonafede è laureato in Giurisprudenza, ha preso un dottorato e, soprattutto, è un avvocato. Cioè colui che per professione, e spesso per vocazione, ha il compito di difendere i diritti degli individui in un processo. C’è da dire che ogni volta che apre bocca fa fiorire mille interrogativi su come sia riuscito a portare a compimento gli studi. Non solo confonde innocenza e assoluzione, ma Bonafede non ha chiari neppure i termini di dolo e colpa (“Quando il reato non si riesce a dimostrare il dolo diventa un reato colposo”, disse in un’altra memorabile uscita). Ecco, la Repubblica italiana un personaggio del genere lo ha fatto ministro della Giustizia e il Parlamento – prima con l’appoggio della Lega e ora della sinistra – gli ha fatto stravolgere il processo penale. Sarà che il diritto penale non è proprio il suo campo di competenza, perché Bonafede si occupava di diritto civile, facendo peraltro da consulente ad associazioni che si oppongono ai vaccini. Ma anche nella materia in cui dovrebbe essere più ferrato ha sparato sciocchezze tali per cui gli avvocati ancora gli ridono dietro. Qualche tempo fa, in un’intervista, Bonafede si vantava da avvocato, dopo aver ottenuto una sentenza favorevole, di fare anche un decreto ingiuntivo prima del pignoramento. Che è un po’ come andare al ristorante e, una volta arrivato il piatto a tavola, ordinarlo di nuovo prima di impugnare la forchetta. Bonafede dice di essere il ministro che più di tutti ha attivato gli ispettori di Via Arenula per verificare le anomalie, forse qualcuno dovrebbe andare all’Università che gli ha rilasciato i titoli di studio per vedere se è tutto a posto.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali