La sede centrale della Corte dei Conti a Roma (foto Wikimedia Commons)

La Corte dei conti si candida a gestire la giustizia tributaria? Ahi

Enrico Zanetti

Una plateale candidatura che desta non poche perplessità

Sulla lotta all’evasione fiscale, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte chiama e la Corte dei conti risponde; anzi, si candida. Sono ormai settimane che il premier Conte batte con particolare insistenza sulla necessità di mettere al centro della manovra in corso di approvazione e, più in generale, dell’azione del governo la lotta all’evasione e all’elusione fiscale. L’eccitazione determinata dai reiterati appelli del premier ha avuto evidentemente particolare presa sugli organi di governo della magistratura contabile italiana, posto che lo scorso 24 ottobre 2019, con il comunicato stampa n. 73, il consiglio di presidenza della Corte dei conti ha reso nota l’approvazione di una apposita risoluzione, indirizzata per l’appunto al presidente del Consiglio, con la quale i giudici contabili si candidano a divenire la magistratura deputata a gestire le cause tributarie che sono attualmente di competenza delle commissioni tributarie di primo e secondo grado.

 

Per chi conosce i sotterranei corridoi del potere, dove non è raro che le istituzioni di questo paese sgomitino tra loro nemmeno fossero dei concorrenti di X-Factor, non è una novità che la Corte dei conti guardi con interesse a questo allargamento delle sue prerogative. E’ però una novità assoluta che avanzi la propria candidatura in modo così plateale, con tanto di risoluzione formale e sua diffusione mediante comunicato stampa.

 

Nelle more di una risposta da parte del premier Conte e delle forze politiche che sostengono il suo governo, la prime reazioni della società civile a questa autocandidatura della Corte dei conti non sono state esattamente di incontenibile entusiasmo. Commercialisti e avvocati tributaristi, coloro che più di tutti conoscono e frequentano i meandri della giustizia tributaria, sia in termini fisici di strutture che gestiscono le cause, che in termini metafisici di materia tributaria oggetto delle controversie, hanno già manifestato tutta la loro perplessità. Né del resto si può dare torto a commercialisti e avvocati, nell’istante in cui l’incipit del comunicato-candidatura della Corte dei conti ha il seguente tenore: “Nel solco del dibattito che si sta sviluppando intorno alla riforma della giustizia tributaria, la Corte dei conti intende offrire, quale Magistratura posta dalla Costituzione a salvaguardia degli interessi dell’Erario, il proprio contributo al migliore esercizio della giustizia tributaria stessa”. Sì perché il compito di chi amministra la giustizia tributaria non è quello di salvaguardare gli interessi dell’Erario, ma di essere terzo tra Erario e contribuente, valutando i ricorsi che quest’ultimo fa per ottenere l’annullamento degli accertamenti che l’Agenzia delle entrate emette nei suoi confronti e gli eventuali appelli dell’Agenzia delle Entrate contro le decisioni di primo grado che danno ragione al contribuente.

 

Forse la Corte dei conti, che già ha compiti molto ampi e di grandissima importanza, dovrebbe maggiormente concentrare i propri sforzi sulla propria missione istituzionale, piuttosto che rischiare di disperderla su altri fronti che possono essere meglio presidiati da una giustizia tributaria che necessita senz’altro di una riforma, ma nel senso di una crescente specializzazione e professionalizzazione del giudice tributario. Un’Agenzia delle Entrate che salvaguarda gli interessi dell’Erario già c’è.

 

Il tema è semmai lavorare perché anche la Corte dei conti possa lavorare in un contesto in cui vi sia un’Agenzia delle uscite non meno efficiente e con poteri esecutivi non meno stringenti. Ed è proprio in questo che l’approccio, con cui il premier Conte si sta caratterizzando in queste settimane, può forse incoraggiare pezzi dello stato che la pensano esattamente come lui, ma non convince affatto molti privati cittadini che sono comunque contributori onesti: battere il tasto in modo costante sul lato della lotta alle entrate che mancano, senza un pari equilibrio nell’attenzione politica sul lato della lotta alle uscite che si sprecano, potrà anche scriversi “lotta all’evasione”, ma finisce con il leggersi “caccia al gettito”.

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