Il pm Henry John Woodock (Foto LaPresse)

Una lezione per Woodcock

Luciano Capone

Cpl, Consip e le prove inventate. Il giudice archivia la querela del pm contro il Foglio e ricorda che “in democrazia a maggiori poteri corrispondono maggiori responsabilità”

Non c’è alcun “carattere diffamatorio” perché l’articolo rientra nel “diritto di cronaca esercitato secondo i dettami di legge e quindi in termini corretti e misurati, senza trascendere in espressioni denigratorie e gratuitamente lesive della persona offesa”. Pertanto il Giudice per le indagini preliminari accoglie la richiesta del pm: rigetta l’opposizione da parte dei querelanti e “dispone l’archiviazione del procedimento” nei confronti del Foglio. Così si è conclusa la querela per “calunnia” e “diffamazione a mezzo stampa aggravata” intentata dai pm napoletani Henry John Woodcock, Celestina Carrano e Giuseppina Loreto nei confronti del sottoscritto, oltre che nei confronti del direttore Claudio Cerasa e dell’editore del Foglio per “aver omesso la prevista attività di controllo”.

   

I tre magistrati si sono sentiti calunniati e diffamati da un articolo del Foglio (del 27 maggio 2017) dal titolo “Metodo Woodcock – L’inquietante vicenda di D’Errico, in carcere per un’accusa inventata”. L’articolo parlava delle analogie e delle anomalie tra l’inchiesta Consip, in cui stavano emergendo gravi errori e manipolazioni delle informative, e l’inchiesta Cpl Concordia di qualche anno prima, entrambe condotte da Woodcock e dai carabinieri del Noe (il nucleo di cui faceva parte il capitano Gianpaolo Scafarto) e in entrambe sono registrate intercettazioni personali e penalmente irrilevanti di Matteo Renzi poi diffuse, entrambe le volte, dal medesimo quotidiano. E l'articolo parlava della vicenda dell’imprenditore casertano Massimiliano D’Errico, arrestato nel 2015 nell’inchiesta sulla metanizzazione di Ischia con l’accusa di riciclaggio aggravato internazionale sulla base di prove, si scoprirà dopo, “inesistenti e quindi inventate”. Mettiamo le parole tra virgolette perché sono proprio quelle ritenute calunniose e diffamatorie da Woodcock, Carrano e Loreto, insieme ad altre parti dell’articolo che raccontava l’ingiusta detenzione in carcere per 22 giorni di una persona sulla base di “un falso” (anche quest’espressione era ritenuta lesiva).

 

La colpevolezza di D’Errico, oltre ad alcune intercettazioni ambientali, derivava da una prova schiacciante individuata dagli inquirenti: un bonifico. L’operazione illecita, ricostruita nell’informativa del Noe, è spiegata in dettaglio da Woodcock: “D’Errico, attraverso un’operazione estero su estero, si faceva trasferire le somme di denaro dal conto corrente acceso da Simone presso una banca tunisina ad un conto che lo stesso D’Errico aveva acceso presso una banca di San Marino, provvedendo poi a consegnare il danaro in contante a Simone”. Pm e Noe sostengono di aver scoperto il bonifico, il corpo del reato, e pertanto chiedono l’arresto di D’Errico, confermato dal gip, sulla base dei “gravi indizi di colpevolezza”. Ma c’è un problema: “Quel bonifico non esiste, non è stato trovato né mai cercato”, scriveva il Foglio. La nostra descrizione si basava sulla decisione del Tribunale del riesame, che successivamente aveva disposto l’immediata scarcerazione di D’Errico: “Non sono stati acquisiti elementi idonei a dimostrare la sia pur parziale realizzazione della condotta. Nessun atto esecutivo dell’illecita ideazione risulta sia stato posto in essere dall’indagato; non risulta traccia del paventato bonifico, né di una consegna di danaro, nemmeno dell’apertura di un conto corrente all’estero predisposto ad hoc, né la costituzione di una società all’estero o la redazione di un contratto di consulenza tra società”. E pertanto avevamo commentato: “Niente di niente. Tutto inventato”. Tanto è vero che diversi mesi dopo il dispositivo del Riesame, i gravi indizi di colpevolezza svaniscono e sarà lo stesso Woodcock a formulare una richiesta di archiviazione perché “non sono emersi elementi utili a sostenere l’accusa in giudizio”.

  

In un articolo su Cpl e Consip, scrivevamo che Woodcock ha fatto arrestare una persona sulla base di prove “inesistenti quindi inventate” 

Secondo la denuncia dei tre magistrati napoletani che avevano condotto l’inchiesta, l’articolo del sottoscritto “stravolgendo la ricostruzione della vicenda” utilizzava “ripetutamente frasi ed espressioni calunniatorie e gravemente offensive e diffamatorie”. La vicenda era già stata puntualmente ricostruita dal pm di Roma Roberto Felici, secondo cui “la notizia di reato è infondata in quanto l’articolista ha agito nell’esercizio del diritto di cronaca e di critica giornalistica”. Il pm titolare del procedimento spiegava che “non sembra illecito affermare che la detenzione sia stata patita indebitamente dal D’Errico” e pertanto è nel pieno diritto d’opinione e di critica la ricostruzione della vicenda “in termini polemici nei confronti dei magistrati del Pm, ritenuti colpevoli, a torto o a ragione, di non aver previamente cercato riscontri”. Anche perché, scrive il pm di Roma, “si tratta degli stessi rilievi mossi, in altra forma, dal Tribunale per il riesame”. E i toni critici dell’articolo sono quelli di “un quotidiano d’opinione dichiaratamente schierato su posizioni antagoniste rispetto ad alcune presunte o reali sovraesposizioni dell’ordine giudiziario” e sono diretti nei confronti di inquirenti come Woodcock e il Noe che hanno “suscitato in passato dibattiti e controversie su tutti gli organi di informazione”.

 

Insomma, conclude il pm: “Non risulta né falso né incontinente … affermare che le prove erano inventate”. Contro la richiesta di archiviazione, a dire il vero senza margini di ambiguità del dott. Felici, i tre querelanti hanno fatto opposizione, chiedendo al Gip l’imputazione coatta nei nostri confronti o, in subordine, la prosecuzione delle indagini. Con motivazioni davvero incredibili. Intanto, secondo Woodcock, Carrano e Loreto “il pm ha dimostrato di non aver colto il contenuto semantico dell’articolo” del Foglio (sarebbe, quindi, una specie di analfabeta funzionale) che avrebbe “rappresentato le persone offese come dei ‘delinquenti’ falsificatori di prove, induttori di condotte illecite di altri magistrati”. Inoltre il Foglio, attraverso le “condotte del giornalista e del suo direttore”, avrebbe “minato il legame sociale sul quale si regge l’affidabilità dell’Autorità giudiziaria in generale e quella delle persone offese in particolare”. Woodcock e colleghe non si sono sentiti lesi per l’“affermazione che la detenzione patita dal D’Errico fosse ingiusta, ma perché si è sostenuta l’illegalità della stessa”, insomma perché i tre pm avrebbero “consapevolmente violato le regole giuridiche attraverso un’opera di falsificazione e di invenzione” delle prove. Quanto al diritto di critica, gli opponenti dicono che è sbagliata la tesi del pm che ritiene la critica dura per i magistrati come Woodcock che hanno una sovraesposizione mediatica, anzi, dicono Woodcock e colleghi che è proprio la loro maggiore esposizione “a giustificarne maggior tutela”.

 

Né calunnia né diffamazione: l’espressione “prove inesistenti e dunque inventate” non è né falsa né incontinente, dicono sia il pm sia il gip 

E poi c’è il punto più inquietante dell’opposizione di Woodcock, l’attacco non solo al Foglio ma all’articolo 21 della costituzione e alla libertà di stampa, tanto più preoccupante perché proviene da tre pm. I tre magistrati napoletani scrivono che la tesi del pm di Roma nella richiesta d’archiviazione, secondo cui il Foglio legittimamente disapprova la “sovraesposizione dell’ordine giudiziario”, non sarebbe una “scriminante” ma un’aggravante. Perché “prova che l’articolo ‘incriminato’ apparso su Il Foglio vada ad inserirsi nell’ambito di attacchi continui e di sistematiche disapprovazioni e censure fatte ai magistrati nell’ambito di un disegno criminoso che va ben al di là dell’esigenza e dell’affermazione della propria ideologia”. Insomma, il Foglio non andrebbe in edicola con una legittima linea editoriale garantista ma con un “disegno criminoso” contro la magistratura, non sarebbe quindi un giornale ma una specie di associazione a delinquere di stampo eversivo. Una banda armata, di carta e inchiostro.

  

Il pm e due colleghe ci querelano per calunnia e diffamazione, dicendo che il Foglio ha elaborato“un disegno criminoso”contro la magistratura 

Le ragioni del Foglio, che poi sono quelle del civile dibattito democratico e del diritto all’informazione e alla libera manifestazione del pensiero (peraltro già esposte dal pm di Roma nella richiesta di archiviazione), sono state accolte integralmente dal gip che nell’archiviazione sottolinea come l’articolo del Foglio “evidenzia alcune anomalie verificatesi nel corso delle indagini Concordia e Consip” e pertanto le critiche rivolte ai tre pm napoletani “devono essere lette alla luce di un contesto più generale di anomalie che avevano connotato altre vicende giudiziarie e prima fra tutte Consip”. Quanto alla frase sulle prove di accusa “inventate”, “è indubbio – scrive il Gip di Roma Daniela Ceramico D’Auria – che le notizie fornite dal giornalista riproducono, in modo sostanzialmente fedele gli esiti di un’attività investigativa”. E “dal tenore dell’articolo emerge come il giornalista abbia agito con l’intento di dare un’informazione quanto più completa in ordine alla vicenda giudiziaria trattata”. Non ci siamo inventati niente, nessuna calunnia né diffamazione, perché “il giornalista traduce in un linguaggio, sicuramente forte, le argomentazioni in base alle quali il Tribunale del riesame aveva escluso l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza. L’espressione prove inesistenti e dunque inventate non può essere considerata né falsa né incontinente”.

  

Il gip, parlando del diritto di critica dei giornalisti nei confronti dei pm, lancia un monito che ricorda la lezione di vita dell’Uomo Ragno

C’è infine un punto molto importante nell’archiviazione, che è un principio generale. Il gip, parlando del diritto di critica dei giornalisti nei confronti dei pubblici ministeri, ricorda che esiste un principio consolidato secondo cui “in democrazia a maggiori poteri corrispondono maggiori responsabilità”. E’ grosso modo il monito, la lezione di vita, che impara l’Uomo Ragno (“Da un grande potere derivano grandi responsabilità”, dice lo zio a Peter Parker), ma è anche una sentenza della Corte di Cassazione. E i magistrati, un po’ come l’Uomo Ragno, dovrebbero ricordarsene sia quando indagano i cittadini sia quando vengono criticati.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali