Henry John Woodcock (foto LaPresse)

Metodo Woodcock

Luciano Capone

Altre inquietanti analogie tra le inchieste Cpl Concordia e Consip. I magistrati, il Noe e il Csm muto

Napoli. Ancora guai, ancora anomalie e sospette falsificazioni nelle inchieste condotte dal pm Henry John Woodcock e dai carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico). Non solo quelle emerse recentemente nell’inchiesta Consip, le manipolazioni nelle informative su Tiziano Renzi su cui indaga la procura di Roma e la diffusione illegale delle intercettazioni tra l’ex premier Matteo Renzi e suo padre. Altre saltano fuori dall’inchiesta Cpl Concordia, quella che nel 2015 travolse nelle polemiche Massimo D’Alema per fatti penalmente irrilevanti (l’acquisto da parte della cooperativa di suoi vini e libri) e che portò alla pubblicazione delle intercettazioni – che dovevano restare segrete – tra Matteo Renzi e il generale della finanza Michele Adinolfi. Il Foglio ha già evidenziato come il metodo d’indagine usato nelle inchieste Cpl Concordia e Consip avesse prodotto anomalie simili: fuga di notizie, alterazione delle intercettazioni nelle informative e pubblicazione sui giornali di conversazioni penalmente irrilevanti di Matteo Renzi e del “giglio magico”. Della pubblicazione delle conversazioni tra Renzi e Adinolfi nella vicenda Cpl Concordia si era interessato il Csm, che nel luglio 2015 aveva aperto un fascicolo per la fuga di notizie, ma poi probabilmente se n’è disinteressato, visto che il caso è da due anni ancora pendente in prima commissione. Probabilmente a breve Palazzo dei Marescialli dovrà ampliare il fascicolo sull’inchiesta Cpl Concordia per l’esposto presentato da Massimiliano D’Errico, ingiustamente detenuto per le accuse dei pm Woodcock, Giuseppina Loreto e Celestina Carrano.

 

D’Errico è un imprenditore casertano del settore alimentare, che viene arrestato nel 2015 nell’inchiesta sulla metanizzazione di Ischia con l’accusa di riciclaggio aggravato internazionale sulla base di prove, si scoprirà dopo, inesistenti e quindi inventate.

 

L’indagine della procura di Napoli riguardava il presunto il sistema corruttivo messo in piedi dalla Cpl Concordia, che avrebbe pagato tangenti a politici e amministratori per ottenere appalti e autorizzazioni per opere pubbliche. In questo contesto D’Errico viene accusato di riciclaggio per aver incassato e trasferito dall’estero soldi al manager della Cpl Concordia Francesco Simone allo scopo di costituire un fondo nero che la cooperativa utilizzava per le sue attività illecite. La colpevolezza di D’Errico, oltre ad alcune intercettazioni ambientali, derivava da una prova schiacciante individuata dagli inquirenti: un bonifico. L’operazione illecita, ricostruita nell’informativa del Noe, è spiegata in dettaglio da Woodcock: “D’Errico, attraverso un’operazione estero su estero, si faceva trasferire le somme di denaro dal conto corrente acceso da Simone presso una banca tunisina ad un conto che lo stesso D’Errico aveva acceso presso una banca di San Marino, provvedendo poi a consegnare il danaro in contante a Simone”. Il manager della cooperativa aveva trasferito i soldi dalla Tunisia a San Marino all’imprenditore, che poi ha restituito in contanti la somma al manager. Ma pm e Noe dicono di aver scoperto il bonifico, il corpo del reato, e così chiedono l’arresto di D’Errico, confermato dal gip, sulla base dei “gravi indizi di colpevolezza”. Il problema è che l’accusa si basa su un falso: quel bonifico non esiste, non è stato trovato né mai cercato. D’Errico prova a spiegarlo ogni giorno, dal 30 marzo 2015 quando viene messo in cella, e per i successivi 22 giorni, quando poi viene scarcerato. Lo dice anche nell’interrogatorio di garanzia, che però pare condotto dal pm Woodcock più che dalla Gip Amalia Primavera, che non ascolta neppure le spiegazioni dell’accusato e controfirma la richiesta di arresto dei pm.

 

L’assurdità di questa vicenda viene riconosciuta dal Tribunale del riesame, che dispone l’immediata scarcerazione di D’Errico e smonta l’impianto accusatorio: “Non sono stati acquisiti elementi idonei a dimostrare la sia pur parziale realizzazione della condotta. Nessun atto esecutivo dell’illecita ideazione risulta sia stato posto in essere dall’indagato; non risulta traccia del paventato bonifico, né di una consegna di danaro, nemmeno dell’apertura di un conto corrente all’estero predisposto ad hoc, né la costituzione di una società all’estero o la redazione di un contratto di consulenza tra società”. Niente di niente. Tutto inventato.

 

Diversi mesi dopo il dispositivo del Riesame, i gravi indizi di colpevolezza svaniscono: Woodcock formula una richiesta di archiviazione perché “non sono emersi elementi utili a sostenere l’accusa in giudizio”. La vicenda di D’Errico, già di per sé preoccupante per l’invenzione di elementi di accusa da parte degli inquirenti, diventa inquietante a leggere le accuse formulate dall’imprenditore negli esposti al Csm, nella causa per danni con una richiesta di risarcimento da 10 milioni (udienza già fissata il 14 febbraio 2018) e in una denuncia penale – su cui sono in corso indagini da parte della procura di Roma – contro i carabinieri del Noe (incluso l’ormai celebre Gianpaolo Scafarto) che hanno redatto l’informativa con le informazioni false.
E’ nell’esposto al Csm che sono contenute gravi accuse nei confronti dei magistrati. Woodcock e colleghi sono accusati di non aver svolto accertamenti investigativi anche in favore dell’indagato, come invece prescrive la legge. Appare difficile sostenere il contrario, visto che gli inquirenti non hanno proprio indagato: non hanno ricercato neppure le prove a carico dell’indagato, perché le hanno semplicemente inventate. Non è stata fatta nessuna indagine per verificare l’apertura di un ipotetico conto corrente, per verificare gli estremi del conto o dell’eventuale bonifico. Accertamenti che avrebbero evitato a una persona innocente 22 giorni di galera. Ma le condotte dannose dei magistrati sono proseguite anche dopo la scarcerazione, perché dalla decisione del riesame alla richiesta di archiviazione i pm napoletani hanno fatto passare oltre un anno e mezzo “senza svolgere alcuna ulteriore attività investigativa”, un’inerzia che ha lasciato D’Errico nello status di indagato per riciclaggio in maniera ingiustificata.

 

Nell’esposto c’è un capitolo dedicato al sostituto procuratore Woodcock accusato di “violazione dei doveri di correttezza, diligenza, equilibrio e di rispetto della dignità della persona umana”. Il riferimento, a parte la divulgazione immediata dell’ordinanza di custodia cautelare da parte dei media, è all’interrogatorio di garanzia che, da momento difensivo e di garanzia per l’indagato si è trasformato in “uno strumento per la ricerca di nuovi mezzi di prova da parte del dottor Woodcock, che ricercava precise risposte” sia per ottenere elementi indiziari sia sollecitando chiamate in correità di altre persone.

 

Si capiscono meglio le contestazioni leggendo l’interrogatorio. Mentre l’indagato cercava di discolparsi dall’accusa, Woodcock diceva “lasci stare il bonifico” come se non fosse stato quello il motivo dell’arresto. E poi domande del tipo “lo conosce Tizio?”, “come ha conosciuto Caio?”. Ma è quando D’Errico dice “Non ho ricevuto bonifici, non ho cambiato i soldi, non ci sono versamenti, non ho mai dato soldi” che accade una cosa paradossale, perché la giudice risponde: “Ma non le stiamo contestando questo”. La stessa giudice che conferma l’arresto proprio per i motivi che dice non vengono contestati.

 

E le condotte contestate dall’imputato riguardano anche il comportamento del Gip Amalia Primavera. Perché l’interrogatorio di garanzia, che servirebbe a tutelare l’indagato, dovrebbe essere svolto dal Gip e invece “le domande furono poste quasi esclusivamente dalla pubblica accusa”, cioè Woodcock. E qui emerge un altro particolare, che avrebbe dovuto spingere il Gip ad astenersi dal giudizio. Infatti in quello stesso periodo pendeva un’indagine di Woodcock per fuga di notizie nei confronti del cancelliere della Gip Primavera e la Gip era stata intercettata e interrogata dal collega. L’interrogatorio di garanzia condotto dal pm anziché dal gip e la firma di un’ordinanza di custodia cautelare che era una trascrizione della richiesta del pm dimostrerebbero, secondo D’Errico, che c’era una sorta di sudditanza psicologica del Gip. In una situazione del genere la Gip avrebbe dovuto forse astenersi dal giudizio. Ma al di là di questo, nei procedimenti paralleli Cpl Concordia e Consip, è nelle informative del Noe che c’è il grande problema del metodo Woodcock.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali