L'aula della Corte costituzionale (foto LaPresse)

La realtà della Consulta

Ermes Antonucci

Dal decreto sicurezza alle pensioni. A rischio di incostituzionalità le misure spot del governo gialloverde

Roma. Una vera mannaia rischia di abbattersi nei prossimi mesi, per mano della Corte costituzionale, su alcune delle principali riforme varate dal governo gialloverde. Una raffica di bocciature per illegittimità costituzionale potrebbe infatti giungere dalla Consulta su alcuni provvedimenti simbolo voluti da Lega e Movimento 5 stelle: decreto sicurezza, reddito di cittadinanza, pensioni, riforma della giustizia, vitalizi.

   

 

Uno dei fronti più caldi è rappresentato dal decreto Sicurezza, approvato lo scorso ottobre per iniziativa del ministro dell’Interno Matteo Salvini e su cui negli ultimi giorni è esplosa la rivolta di diversi sindaci, in particolare contrari alla norma che impedisce di concedere la residenza ai richiedenti asilo in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Questa è solo una delle misure contenute nel decreto su cui si concentrano forti dubbi di legittimità costituzionale, peraltro già avanzati da importanti giuristi durante le audizioni in Parlamento. Oltre alla questione formale (ma comunque rilevante) della possibile assenza del requisito di omogeneità di un decreto legge che in un colpo solo interviene su ambiti tra loro molto diversi (immigrazione, terrorismo, mafia), la Corte presieduta da Giorgio Lattanzi – se investita della questione di legittimità costituzionale – potrebbe farsi sentire su numerose altre previsioni: l’abolizione dei motivi umanitari tra le concessioni di permesso di soggiorno per i richiedenti asilo, l’aumento da 90 a 180 giorni del tempo in cui gli stranieri possono essere trattenuti nei Centri di permanenza per il rimpatrio (norma su cui già il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute ha espresso forti perplessità), la revoca della cittadinanza a chi non è italiano per nascita ed è stato definitivamente condannato per delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale (provvedimento che violerebbe il principio di uguaglianza tra i cittadini), fino ad arrivare alla norma che nega l’asilo e prevede l’espulsione immediata per chi risulta condannato anche in via non definitiva per reati di particolare allarme sociale (possibile violazione del principio di presunzione di innocenza e del diritto di difesa).

  

Ma a cadere sotto la scure della Consulta potrebbe essere anche la “regina delle riforme” annunciata dal M5s, cioè il reddito di cittadinanza. Il sogno della Lega (che la scorsa settimana ha trovato l’inaspettata sponda del ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio) è quello di destinare il sussidio solo ai cittadini italiani. In questo caso, la misura andrebbe incontro a una quasi certa bocciatura da parte della Corte costituzionale, che in passato – come la Corte europea dei diritti dell’uomo – ha più volte ricordato come i cittadini stranieri non possano essere esclusi da una prestazione assistenziale. Alcune bozze del decreto circolate nelle ultime settimane estenderebbero la platea dei beneficiari anche a chi non è italiano ma risiede nel nostro paese da 5 o 10 anni. Anche in questo caso, però, non è detto che le restrizioni siano considerate dalla Consulta conformi alla Costituzione. Restando in ambito economico, potrebbe finire all’attenzione della Consulta anche l’ennesimo rinvio di tre anni del ripristino del sistema classico di adeguamento delle pensioni al costo della vita, previsto dalla nuova manovra (misura peraltro già bocciata dalla Corte nel 2015).

   

Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha difeso la misura affermando che “si tratta di un provvedimento temporaneo, anche perché se non lo fosse sarebbe incostituzionale”, ma i giudici costituzionali potrebbero pensarla diversamente se si considera che con tutti i rinvii decretati dal 2012 a oggi la misura sembra aver perso il suo carattere transitorio.

   

Un altro settore in cui il governo rischia di dover subire una raffica di bocciature da parte della Consulta è quello della giustizia, in particolare sul ddl anticorruzione approvato in via definitiva prima di Natale. Qui la norma che più appare a rischio incostituzionalità è il cosiddetto Daspo per i corruttori, cioè l’incapacità a vita di contrattare con la Pubblica amministrazione per chi (soprattutto imprenditori) è stato condannato in via definitiva a una pena superiore a due anni per reati legati alla corruzione. La Corte costituzionale ha affermato più volte in passato l’esigenza di tutelare il necessario principio di proporzionalità delle pene accessorie, che in questo caso verrebbe seriamente a essere messo in discussione da una misura perpetua.

  

Profili di incostituzionalità ancor più evidenti si palesano attorno alla riforma della prescrizione, che ha provocato la dura reazione degli avvocati penalisti e che soprattutto è stata demolita durante le audizioni in Parlamento dalla stragrande maggioranza dei giuristi e dei costituzionalisti ascoltati. Infatti, la norma che prevede la sospensione (o per meglio dire l’interruzione) dei termini di prescrizione dopo una sentenza di primo grado, appare manifestamente contraria ad alcuni princìpi basilari stabiliti dalla nostra Costituzione: il diritto di difesa (art. 24), la presunzione di innocenza e la funzione rieducativa della pena (art. 27), la ragionevole durata del processo (art. 111). L’entrata in vigore della riforma è stata spostata al 2020, in attesa dell’approvazione della riforma del processo penale, ma il problema della sua conformità alla Costituzione è solo rimandato.

   

Infine, traballa anche uno dei cavalli di battaglia del nuovo governo, cioè il taglio dei vitalizi di oltre duemila ex parlamentari, già deliberato dagli uffici di presidenza di Camera e Senato. Una pioggia di ricorsi (quasi 1.200) è già pervenuta agli organi giurisdizionali interni alla Camera. Lo stesso potrebbe avvenire in Senato, con il rischio che la questione finisca all’attenzione della Consulta per la possibile violazione dei princìpi di ragionevolezza, non arbitrarietà e non retroattività. E delle riforme volute dal governo gialloverde potrebbe rimanere solo la polvere.