Lance Armstrong durante la terza tappa del Tour de France 2010 (foto LaPresse)

Attenzione alla nouvelle vague americana che ha archiviato Armstrong

Giovanni Battistuzzi

L'America dopo anni di crisi vuole ritornare protagonista nel ciclismo. Ecco chi sono i migliori talenti a stelle e strisce pronti a far dimenticare il texano

Quel buco nero nell'albo d'oro del Tour de France rischiò di inghiottire un paese intero. Un paese immenso che aveva conosciuto il ciclismo negli anni Settanta, che vide sbocciare la passione negli anni Ottanta e che nel frattempo si era inventato un nuovo modo di andare in bicicletta, tra campagne e montagne, su terra e per boschi. Un paese che scoprì l'Europa del pedale grazie alle imprese di Greg LeMond, si innamorò delle corse in bicicletta quando Lance Armstrong da corridore si trasformò in favola, in redenzione, in messaggio di speranza. Una decina di anni di cuori impazziti e aumento esponenziale di biciclette che si muovevano per gli Stati Uniti, di ragazzini estasiati e entusiasti, che mettevano da parti sogni ovali di SuperBowl, rotondi di Nba, discoidali di hockey, che diventavano gialli tour, scattanti e ascensionali come una bici che superava le montagne. Era l'America che inneggiava al Cowboy, che stravedeva per il Cowboy, che aveva eletto il Cowboy a eroe nazionale. Tutto troppo bello. E quando si scoprì il bluff, quando il 24 agosto 2012 il grande inganno fu svelato, iniziò la grande depressione. La vendita di biciclette si interruppe, gli iscritti a società ciclistiche calarono vertiginosamente. I sogni tornarono a essere altri, quelli tradizionali. Per anni tutto sembrò evaporato, finito, distrutto.

 

Il grande innamoramento però era riuscito a germinare il terreno incolto dell'America e gli alberi recisi avevano lasciato radici vive. E dietro una generazione di pedalatori senza infamia e senza lode, corridori di talento, ma vincenti soltanto a tratti, di promesse non mantenute, come Tejay van Garderen – quinto al Tour nel 2012 e nel 2014 – e Joe Dombrowski – vincitore del Girobio del 2012 – e di sfortunati talenti in ascesa, come Taylor Phinney – che nel 2014 contro un guardrail nella discesa della Lookout Mountain c'ha rimesso tibia, perone, un ginocchio e la possibilità di diventare uno dei migliori interpreti delle prove a cronometro –, un'altra sta cercando di imporsi, di emergere, di prendersi il proscenio.

 

Una generazione che sotto traccia cerca di recuperare la distanza siderale che separa il movimento ciclistico maschile su strada da quello femminile, che trascinato in questi anni da Mara Abbott, Megan Guarnier e Coryn Rivera ha conquistato tutte le più importanti gare.

 

Una generazione che ricorda Armstrong, ma che sul sogno di diventare Armstrong non ha costruito un mondo ideale, perché non è su quella da corsa che ha scoperto l'amore per la bicicletta.

 

Secondo Brook Watts, membro del consiglio di amministrazione di Cycling USA, l'assenza di "un campione capace di vincere in questi anni il Tour de France non ha tolto i giovani dalle bicicletta, ha solo fatto diminuire quelli che sceglievano quella da corsa", ha detto al Guardian. Il "tradimento" di Armstrong è stato un danno grave al movimento ciclistico americano, lo ha danneggiato pesantemente, ma non lo ha distrutto. Perché se l'ammissione televisiva di aver usato sostanze dopanti davanti a Oprah Winfrey ha gettato discredito verso il ciclismo su strada, non ha intaccato minimamente quello fuori strada. I ragazzi che si sono messi su una mountain bike e ciclocross hanno continuato a crescere, grazie anche al National Interscholastic Cycling Association. Il progetto è partito nel 2000 come una semplice attività scolastica del college di Berkeley, in California, nella quale si insegnava agli studenti ad andare (forte) in mountain bike. Fu a tal punto un successo che è stato esportato in altri atenei e ora è si è trasformata in un'organizzazione nazionale con 12.000 studenti e 4.500 allenatori, che organizza corse e ha introdotto campionati regionali in diciotto stati, che danno la possibilità di qualificarsi a quello nazionale sempre organizzato dalla NICA.

 

E una volta messi in sella i ragazzi ecco che si genera quello che Fred Mengoni, il padre (italiano) del ciclismo professionistico a stelle e strisce, riassunse nella celebre affermazione: "Bici chiama bici", ossia l'importante è avvicinare i giovani alle due ruote a pedali, qualunque esse siano, "una volta innamoratisi di quello splendido mezzo che è la bicicletta, non torneranno indietro". D'altra parte sono finiti i tempi in cui la gente correva per fame, ora è solo l'amore che ti spinge a pedalare.

 

Una nouvelle vague americana che ancora è riuscita a vincere poco, ma che guarda al futuro con speranza e convinzione di ritornare grande protagonista. Una nouvelle vague che aveva in Adrien Costa la gemma più preziosa. Un talento tanto incredibile quanto incostante, troppo voglioso di scoperte per dedicarsi soltanto al ciclismo. Un talento che si era perso, si era ritrovato, sino a quando una roccia lo aveva spezzato per sempre: stava scalando quando una frana gli frantumato una gamba, ha reso necessaria l'amputazione.

 

Accanto ad Adrian Costa però si muovevano altri ragazzi partiti dalla ruote grasse per conquistare quelle snelle, anime leggere che su di una bicicletta hanno già dimostrato di trovare una dimensione adatta alla loro voglia di emergere.

 

Tra loro c'è Sepp Kuss, sherpa d'alta quota che tra le cime da condor dello Utah ha iniziato a dimostrare la sua abilità ascensionale, la sua capacità di accelerare in salita e dominare le montagne. Voleva diventare un campione della mountain bike, si ritrovò a volare sull'asfalto. L'americano è sbarcato in Europa alla LottoNl-Jumbo in punta di piedi, ha vagato per il mondo in cerca dell'occasione giusta, ha dimostrato in sei mesi il proprio valore a tal punto da strappare la chiamata per la Vuelta. E Kuss si è fatto trovare pronto, ha fatto vita da gregario, poi quando la salita è arrivata, ha tirato a tutta, ha spaccato il gruppo, ha lanciato i suoi capitani. Ha dimostrato a chiunque di essere uno da tenere in considerazione.

 


Sepp Kuss durante la cronometro della Vuelta 2018 (foto LaPresse)


  

Tra loro c'è Neilson Powless, compagno di squadra di Kuss alla LottoNl-Jumbo, ma che ancora, al contrario del connazionale, non è riuscito a dimostrare appieno il suo valore nel grande ciclismo. Powless è un corridore completo, è abile in salita e a cronometro, soprattutto non sa quali sono i suoi limiti. In bicicletta ci è finito per caso. Faceva triathlon e lo faceva bene. Nuotava e correva forte, pativa in bicicletta. Quando iniziò a smussare il suo punto debole iniziò a capire che pedalare "mi gasava un sacco, era quello che mi piaceva fare". C'è voluto poco per far capire a tutti il suo valore. In due anni è passato dal totale anonimato al secondo posto alla cronometro del Tour de l'Avenir, il Tour de France in miniatura per under 23, dietro ad Adrien Costa, e alla vittoria sulle cime alpine. Verso Saint-Sorlin-d'Arves, sotto la Croix de Fer, si liberò con un'accelerazione eccezionale di Daniel Martinez (all'epoca già professionista), volò verso il successo.

 

 

Tra loro c'è Brandon McNulty che all'ultimo Giro di California ha fatto dannare tutto il gruppo: prima verso Gilbratar Road e poi verso Daggett summit. Al Tour de l'Avenir di quest'anno ha impressionato per la capacità di pedalare in salita, ha tenuto testa allo scalatore più forte, Ivan Ramiro Sosa, uno capace di batter fior fior di grandi corridori al Tour of the Alps e all'Adriatica Ionica Race. Quando Egan Bernal, talento in rampa di lancio nel Team Sky, lo ha visto pedalare ha detto: "Ha la dinamite, ho sofferto davvero a tenergli la ruota". 

 

Tra loro c'è Will Barta che il prossimo anno passerà alla CCC, l'ex BMC, e che Axel Merckx, il figlio del grande Eddy nonché direttore sportivo di Barta per due anni, ha definito "un ragazzo il cui talento ancora non ha limiti, che ha fondo e determinazione per vincere qualsiasi cosa". Perché l'americano va forte a cronometro, si difende bene sulle lunghe salite, vola su quelle brevi, ha cambio di ritmo e il passo buono per non patire la distanza. "Fosse veloce sarebbe perfetto. Non lo è, dovrà staccare tutti per dimostrare di essere il più forte". Barta ha iniziato con lo sci di fondo e andava forte. Di lui si parlava un gran bene, gli allenatori della nazionale giovanile erano sicuri potesse diventare un fenomeno. Si innamorò però della bicicletta durante gli allenamenti estivi. Pedalava nei boschi americani e sognava le côte del Belgio. "Non vedo l'ora di correre le classiche delle Ardenne. Sono il mio sogno. Mi sono trovato a mio agio nel correrle tra gli under 23", ha raccontato. Nel 2017 fu quarto nella Liegi-Bastogne-Liegi u23, ossia ultimo del gruppetto di testa, battuto in volata. "Quest'anno sono migliorato molto in salita. Ho lavorato duramente sulla tenuta in quelle più lunghe e ho alzato il ritmo su quelle più brevi: voglio testarmi al più presto nelle gare a tappe, anche se il mio sogno rimane Liegi".

 

Tra loro c'è Sean Bennett, che con Barta ha condiviso chilometri e corse con l'Hagens Berman Axeon, ma che correrà il prossimo anno con l'EF Education First. E' uscito dalla NICA, ha iniziato a correre su strada nel 2015, dopo una mezza dozzina d'anni passati a incantare gli sterrati americani. E quando ha incontrato l'asfalto sembrava volasse. Si trovava a suo agio su ogni terreno a tal punto da essere chiamato subito in Europa. Ci arrivò troppo presto, andò malissimo. Il problema era uno soltanto: non aveva capito che correre su strada non era la stessa cosa che correre con le mountain bike. Bennett partiva subito, dava tutto, si esauriva ancor prima che l'arrivo fosse un'idea. Ci volle un po' prima di farglielo capire. C'è riuscito Axel Merckx. E fu un caso fortuito, uno di quelli che cambiano la vita. All'Hagens Berman Axeon ci arrivò nel 2018 perché Adrien Costa aveva deciso di non fare più il corridore. In Croazia fece intuire il suo valore, a Laguna Seca al Giro di California finì a tre secondi dalla vittoria, beffato da Skuijns. Al Giro d'Italia U23 appiattì l'arrivo di Pergine Valsugana. Jonathan Vaughters, manager della EF rimase impressionato. "Ha un talento limpido", ma voleva testarne il carattere. "Quando ho chiamato Sean, la mia domanda è stata: 'Sei un po' incazzato per il fatto che sei stato in molti hanno lodato ragazzi come Neilson Powless e Brandon McNulty e molti altri U23 mentre di te si parla poco? Ti infastidisce?'. E lui disse, 'Sì, un sacco. Ma le cose cambieranno". Vaughters gli offrì il contratto all'istante. E' convinto sia il futuro dominatore delle corse a tappe. Sempre che un Evenepoel qualsiasi si prenda tutto.

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