L'intramontabile Valverde

Giovanni Battistuzzi

C'è chi dava lo spagnolo finito dopo la rotula fratturata all'ultimo Tour de France. Il murciano però è tornato, ha vinto la Vuelta Valenciana e punta (ancora) alle classiche del Nord

Quando nella prima tappa del Tour de France dello scorso anno, in una curva inondata dalla pioggia, la ruota anteriore della bicicletta perse aderenza, si stese al suolo e lui iniziò a scivolare andando a sbattere sulle transenne che delimitavano il percorso, tutti trattennero il fiato. Quando poi fu pubblicato il referto medico - frattura della rotula – in molti iniziarono a scrivere l'epitaffio sulla carriera di Alejandro Valverde. La domanda era una e una soltanto: può un corridore di trentasette anni ritornare competitivo dopo un incidente del genere? La risposta era scontata: no.

 

  

Il requiem per El Imbatido però non solo non è arrivato, si è trasformato anzi in una nuova marcia trionfale, una delle tante che Valverde ha suonato a tutti i suoi rivali in bicicletta. La stampa spagnola a inizio stagione si chiedeva cosa il murciano avrebbe potuto fare in questo 2018. E l'assaggio è arrivato alla prima occasione utile, alla Vuelta Valenciana che si è appena conclusa. La classifica generale recita: 1° Alejandro Valverde; 2° Luis Leon Sanchez a 14"; 3° Jakob Fuglsang a 26"; 4° Adam Yates a 37". Le cronache invece parlano di due vittorie nelle due tappe più impegnative della breve corsa a tappe, due scatti, ma decisivi, a tal punto da segnare la corsa, da darle un senso e una direzione: il suo e la sua, quella di Alejandro Valverde, quella dell'Embatido, quella di un uomo di quasi 38 anni che ancora corre, che se ne frega beatamente dell'età, che continua a fare quello che gli viene meglio, ossia correre su di una bicicletta e mettere in fila tutti gli avversari.

 

Due scatti che sono bastati a tutti i rivali per capire che sù al Nord, in quelle côte delle Ardenne che sono il contraltare ciclistico delle pietre delle Fiandre, il vecchietto del gruppo sarà ancora un incomodo non da poco.

 

"Ho provato emozioni molto diverse oggi rispetto a quando ho vinto una corsa per la prima volta 14 anni fa", ha detto dopo la premiazione. "Questa volta sono tornato da un infortunio molto grave, ho passato sette mesi senza gare ed è davvero confortante vedere che sto facendo bene, che ho fatto anche meglio di quello che era consentito aspettarsi. Avevo molte cose da dimostrare, molte di più di quelle che avevo da dimostrare nel 2004. Ho fatto tutto il possibile per tornare in bicicletta. Per questo sport mantengo lo stesso amore ed eccitazione che avevo la prima volta che sono salito su di una bicicletta".

 

Due scatti. Il primo a chiudere sul danese Fuglsang, uno che per dedizione e voglia di fare potrebbe essere campione, ma che per un motivo o per l'altro si ritrova sempre ad avere un bel po' di rimpianti, e poi a rilanciare l'azione, renderla corsa d'avanguardia a tre, corsa d'inseguimento per tutti gli altri.

  

 

Due scatti. Il secondo nella quarta tappa, arrivo in salita, qualche centinaia di metri all'arrivo, la strada che diventa un muro, l'acido lattico che invade polpacci e quadricipiti e lui che sgambetta, saltella sulle pedivelle, mette tutti in fila, si siede solo sotto lo striscione del traguardo per alzare le braccia al cielo.

 

 

Due scatti. E una minaccia. Che è però minaccia stupenda, irresistibile: quella di regalare ancora spettacolo, di mettere in fila ancora una volta le ambizioni di vittoria di chiunque punti a entrare nella storia delle classiche valloni. Perché arrivato ai 38 anni e pronto per entrare nei 39 (il 25 aprile) Valverde ha deciso che non gli bastano le quattro vittorie alla Liegi-Bastogne-Liegi, le cinque alla Freccia Vallone, le nove tappe alla Vuelta (vinta nel 2009), le quattro al Tour e quella al Giro. Vuole altro, vuole ancora, vuole quello che ha già conquistato e quello che ancora non ha avuto: come il Mondiale, come il Giro di Lombardia.

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