Il cammino di fede di Alaphilippe (e Nibali) verso la Freccia Vallone

Giovanni Battistuzzi

Il francese interrompe il dominio di Alejandro Valverde sul Muro di Huy. Lo Squalo ci prova a 46 km dall'arrivo, ma viene ripreso prima dell'ultima salita. Applausi per Cesare Benedetti

Il Muro di Huy è antonomasia di fatica e di località. E' una stradina appena fuori dalla città, che parte da 83 metri sul livello del mare e arriva ai 204 in nemmeno milletrecento metri, che si chiama Chemin des chapelle, che a farla a piedi è mal di gambe, che farla in bici è ancor peggio. Era ed è un cammino di fede, una rampa verso la chiesa di Notre-Dame de la Sarte. Era ed è purificazione: patimento fisico per alleviare quello dell'anima. Sei cappelle per sei tappe, sei Padre Nostro e sei Ave Maria. Sei cubi bianchi e dodici pilastrini tra le case che chi pedala non vede, tanta è la gente, tanto è il fiato corto e gli occhi vacui. E' l'atto di fede della Freccia Vallone, ogni anno lo stesso, ogni anno diverso, ma nemmeno troppo.

 

Sei preghiere da recitare su pendenze impossibili, dopo una processione meno scontata del solito, a tratti appassionante: un azzardo di Vincenzo Nibali e Tanel Kangert, l'eterna vita d'avanguardia di Cesare Benedetti e Anthony Roux. Poi il copione che si riassesta, tutto che diventa come doveva essere. Alla prima stazione, "La profezia di Simeone", i sopravvissuti erano già pochi, il ritmo era alto, due uomini erano in fuga, Jack Haig e Maximilian Schachmann, dietro i gregari in azione. Alla seconda stazione, "La fuga in Egitto", l'ardore di Haig si era già spento, quello di Schachmann in esaurimento. Alla terza stazione, "Lo smarrimento di Gesù", smarriti erano in molti dietro allo zompettio di pedali e di spalle di Jelle Vanendert. Alla quarta stazione, "Gesù incontra Maria", il belga della Lotto incontra un francese della Quick-Step, uno che si chiama Julian Alaphilippe, ma che non ha alcun tipo di pietà amorevole e che lì dove si muovono gli sherpa si trova a meraviglia. Alla quinta stazione, "Gesù muore sulla croce", Alaphilippe si invola, si eleva, molla i mortali in bicicletta. Alla sesta stazione "Gesù viene fatto scendere dalla croce", la strada finisce di impennarsi, si normalizza, si umanizza, lascia il tempo di un respiro, qualche pedalata, una solitudine rumorosa. L'arrivo. Lo stesso che fu per quattro volte di fila e cinque volte in carriera di Alejandro Valverde, si trasforma in quello di Julian Alaphilippe. L'Imbatido battuto, ma ancora secondo, a trentasette anni che saranno trentotto tra pochi giorni, con una rotula rotta nemmeno dodici mesi fa nel pedigree.

 

 

Lo spagnolo di Las Lumbreras de Monteagudo doveva prima o poi perdere. Lo ha fatto oggi contro un francese da Saint-Amand-Montrond. E probabilmente non poteva andare altrimenti. Perché Sant'Amando era discepolo di San Colombano. Il monaco missionario irlandese per di qui, nel 610, passava, si guardava bene di inerpicarsi sulla collina e proseguiva verso Liegi. Le fonti che ne certificano il passaggio le hanno trovate quest'anno e in una corsa che finisce con un atto di fede, qualcosa vorrà pur dire.

 

La vita in fuga di Cesare Benedetti

Di fede ha provato ad averne anche Cesare Benedetti, ma il suo destino non è quello di primeggiare, è quello di dannarsi l'anima e le gambe. E questo lo fa benissimo. Cesare Benedetti è uno determinato, uno che se le cose le fa, le deve fare per bene. E' partito che era mattino, ha seguito e rintuzzato attacchi altrui, ha preso vento in faccia per un giorno intero e quando si è staccato dall'avanguardia si è messo pancia a terra per aiutare i suoi capitani. C'erano Konrad e Buchmann e McCarthy, non è arrivato molto distante da loro.

 

L'azzardo di Vincenzo Nibali

Per qualche decina di chilometri Vincenzo Nibali ha pedalato con Benedetti in testa alla corsa. Era uscito a 46 chilometri dal traguardo, di forza e di ardore, che tanto su quelle pendenze sarebbe stato battuto e tanto valeva tentare l'azzardo. Un azzardo che per 45 chilometri ha retto, per 40 sembrava possibile, per una ventina sembrava addirittura realizzabile. Una azzardo che sarebbe stato magnifico, ma che poco importa se non è andato a buon fine. La Freccia è diventata uno sprint, un ascensore verso il traguardo, una questione di camosci più che una sfida in bicicletta. Solo far passare l'idea che rischiare è ancora possibile è una grande novità.