Quant'è "furbo" il 101esimo Giro d'Italia

Giovanni Battistuzzi

Il percorso del Giro 2018 non è durissimo, ha alcune pecche, ma strizza l'occhio a molti. Perché potrebbe essere un'edizione da ricordare. Con Froome al via?

Dicono che la bicicletta sia un mezzo sociale. Non mette barriere tra chi la pedala e chi le sta attorno. Eppure non c'è nulla di meno sociale della bicicletta nella sua massima espressione sportiva, quella ciclistica. Chi corre cerca la solitudine, chi le osserva, dal bordo strada o dal divano, spera nella stessa cosa, nell'uomo solo al comando, nella sfida che si risolve con l'assolo di uno e disgregamento del gruppo. E' per questo che la dimensione privilegiata del ciclismo è la verticalità, che l'impresa è di per sé esclusiva, eleva uno e uno soltanto, gli altri li relega a contorno, ed è in salita che questa si materializza nella sua forma migliore. Cento volte colline, montagne e montarozzi hanno trasformato i ciclisti in sherpa. Cento volte sono state, loro malgrado, santuari e luoghi di martirio, culle di sogni o prigioni di incubi. Cento volte più una, centunesima edizione del Giro d'Italia. Quella che il 4 maggio partirà da Gerusalemme e che il 27 maggio terminerà a Roma. Quella che una volta ancora segnerà il terminar della primavera di milioni di appassionati, di chi la bici la usa per far la spesa oppure per girarci la domenica, di chi in ogni caso, quando si alza sui pedali, vede la sua strada trasformarsi nello Stelvio o nel Pordoi, la sua maglia tingersi di rosa, la sua andatura diventare scattante e ondeggiante come un Pantani, come un Merckx, come un Bartali. E' il Giro d'Italia, bellezza. Ognuno ha il suo, quello dei suoi sogni. Piaccia o meno ora abbiamo anche quello del 2018.

 

La centunesima edizione è stata presentata oggi, il serpente d'asfalto è stato svelato con oltre un mese di ritardo rispetto al Tour de France, ma tant'è, di mesi ne mancano ancora diversi e l'attesa, di solito, genera interesse.

 


L'altimetria di tutte le tappe del 101esimo Giro d'Italia


 

E così se della partenza tutto si sapeva con largo anticipo, Gerusalemme e poi altre due tappe in Israele, del percorso verso la maglia rosa qualcosa era uscito, almeno per quanto riguarda i suoi passaggi più importanti. Ci sarà l'Etna alla sesta tappa, lo Zoncolan alla quattordicesima, il Colle delle Finestre a due giorni dalla conclusione. Ma se dei totem già quasi tutto si sapeva, sono le strade per raggiungerli a interessare di più, perché i monumenti sono cartoline, luoghi di battaglia, ma è nel mezzo che gli agguati possono essere portati. E di trappole nel risalir dalla Sicilia alle Alpi ce ne sono. E non poche.

 

Il Giro 101 non è impossibile e non sarà ricordato come il più duro della storia. Porta con sé mancanze evidenti, come le altitudini rarefatte, i duemilametri che sono giudice intransigente di crisi e vele ammainate, come le montagne infinite, ma forse, per una volta, potrebbe essere una non mancanza. E potrebbe esserlo perché questo Giro strizza l'occhio a talmente tante cose che questa può passare in secondo piano.

 

E' un percorso furbo, ma nella maniera più intelligente possibile, perché movimentato e difficilmente controllabile, perché disegnato in modo tale da essere faticoso già nella prima settimana a tal punto che nella prima settimana può essere già perso. Due tappe che sono un budello di strade siciliane, che sono salite da ritmo e cervello, di quelle che non perdonano l'approssimazione, perché non irte, ma malvagie, perché da cadenza e non da danza sui pedali. E poi salitelle che salite non sono ma che restano sulle gambe e se queste non girano bene si rischia di fermarsi in coda al gruppo a leccarsi le ferite.

 

E' un percorso furbo che lo porta oltre i confini d'Europa, che ha già fatto parlar di sé per i soliti boicottatori d'Israele.

 

E' un percorso furbo che ritorna in Italia in Sicilia e lì ci resta per tre giorni, strizzatina d'occhio a Nibali, che poi il sud Italia lo risale senza saltarlo, che lo percorre nella sua dorsale appenninica, che regala arrivi in salita che sono ricordi di un tempo, Santuario di Montevergine e Gran Sasso – lì Pantani nel 1999 conquistò la prima vittoria di tappa e la sua prima maglia rosa di quell'edizione –, per non cadere nella solita polemicuccia del "al Sud il Giro non ci viene mai".

 

E' un percorso furbo perché associa salite mitiche a nuove proposte, serie di ascese e discese buone per crear scompiglio, che potrebbero essere fughe e inseguimenti, scatti e controscatti. E tanti arrivi in salita, come piace al pubblico. E poco importa se questi non sono garanzia di spettacolo, se molte volte, si pensi alla tappa di Bormio dell'ultima edizione del Giro, è nello spettacolo del lato meno nobile della montana che gli agguati possono essere portati a compimento. In ogni caso, strizzatina d'occhio agli scalatatori.

 

E' un percorso furbo perché non è eccessivo, non dà l'idea di essere massacrante – anche se probabilmente lo sarà, ci sono soltanto tre tappe soltanto a basso coefficiente di difficoltà –, e tiene così aperta la possibilità di una doppietta, quella mitica, Giro-Tour. E strizzatina d'occhio a Chris Froome che ha già dato appuntamento alla partenza da Israele.

 

Dicono che la bicicletta sia un mezzo sociale e lo è davvero. Avvicina le persone, non pone confini metallici tra chi pedala e il resto. Tutti sperano che questa socialità rimanga prerogativa della dinamica urbana. Il ciclismo è solitudine e questo percorso ne promette abbastanza. Ultima strizzatina d'occhio. Speriamo allo spettacolo.

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