Euporn - Il lato sexy dell'Europa

La campagna dei Verdi con lo spettro del Green deal

Mancano 122 giorni alle elezioni europee

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Nel 2019 c’erano i Fridays for Future, oggi ci sono i trattori. Storia del progetto simbolo dell’Ue, delle anime ecologiste e di un dilemma che può cambiare l’Europa

Sono nata nel giorno dell’Europa, il 9 maggio, e combatterò per questo continente fino alla mia morte, dice Terry Reintke nel suo video in cui si presenta: 36 anni, tedesca, al Parlamento europeo dal 2014, è la metà femminile del ticket elettorale dei Verdi europei. La metà maschile è Bas Eickhout, 47 anni, olandese, arrivato a Strasburgo nel 2019 assieme all’onda verde che ha permesso ai Verdi europei di conquistare 72 seggi, diventare la quarta forza nel Parlamento europeo, avere un ruolo centrale nei calcoli della coalizione Ursula e anche nel cuore della presidente della Commissione. Reintke e Eickhout sono stati nominati al congresso dei Verdi europei a Lione, nel fine settimana, e hanno rilasciato dichiarazioni incoraggianti, con i loro migliori sorrisi, ma i sondaggi dicono che il 2019 sarà ricordato come l’anno dell’exploit irripetibile. Basta guardare le piazze europee per capire il perché: allora c’era Greta Thunberg, oggi ci sono i trattori. Allora c’erano i Fridays for future, i cartelli verdi e blu con su il mondo da salvare, la lotta generazionale dei ragazzi contro i loro genitori e nonni vissuti senza sensibilità ambientale, la carta d’identità ecologica con la propria impronta a testimoniare quanto ognuno di noi sia causa di inquinamento, e poi le borracce, la carta riciclata, i tutorial per separare l’immondizia, le biciclette, l’energia solare. Oggi ci sono i trattori, le balle di fieno, le mucche-icona, le storie dei sacrifici della vita agricola, in balia del tempo, delle stagioni, senza possibilità di distrazioni, con remunerazioni basse, le normative europee a schiacciare ogni possibilità di iniziative e di guadagno, e la concorrenza spietata dentro al mercato europeo e alle sue porte, come dimostra il famigerato pollo ucraino che costa la metà del pollo europeo e che si aggira nel nostro continente come un spettro, simile al famoso idraulico polacco di inizio secolo. I Verdi europei cercano in realtà di mostrare solidarietà agli agricoltori: li uniscono, dicono, molte battaglie, come quelle per la giustizia sociale, per i diritti dei lavoratori, per la lotta ai grandi gruppi dell’agroalimentare che condizionano le politiche e gli investimenti e rendono grama la vita dei contadini. Ma per quanto i Verdi europei ci provino, e per quanto i punti di contatto esistano, gli agricoltori non possono sentir parlare del Green deal, che è il progetto più importante portato avanti dai Verdi che fino a poco tempo fa aveva un consenso trasversale e che invece ora è trattato quasi fosse uno sconosciuto persino dalla sua madrina, la presidente Ursula von der Leyen. E’ il disamore per il figlio prediletto di questa legislatura europea il motivo della mestizia che si respira nella casa dei Verdi.


I candidati. Terry Reintke e Bas Eickhout sono gli Spitzenkandidaten dei Verdi europei e la loro elezione al Congresso ha da un lato confermato quali sono i pesi forti della costruzione del mondo ambientalista europeo e dal lato mostrato la difficoltà di ampliare questo mondo. C’erano altre due candidate a guidare il partito per le elezioni europee: Benedetta Scuderi, italiana dei Giovani europei, ed Elina Pinto, del Partito progressista lettone. La loro presenza faceva parte di quella che alcune delegazioni al congresso di Lione hanno definito “la strategia dell’allargamento”, cioè  rappresentare dentro al partito europeo più paesi e non lasciare il monopolio ambientalista ai partiti storicamente più forti e conosciuti. Dal 2019, i Verdi europei hanno accolto nove nuovi partiti e due sono stati accolti proprio a Lione, ma i voti vengono assegnati alle delegazioni nazionali sulla base del loro peso politico ed è qui che la volontà inclusiva si schianta: tedeschi, olandesi, francesi, sono loro che contano. Lo stesso Eickhout lo ha detto a un giornalista di Euractiv: “Dal punto di vista geografico non c’è equilibrio, ma abbiamo dimostrato di poter fare campagna per l’Europa intera, pure se è vero che noi due eletti non rappresentiamo bene questo allargamento”. Ma questi sono mugugni da congresso, passano: il problema sono le proiezioni che dicono che dei 72 seggi oggi occupati dai Verdi europei ne resteranno circa 50. La Reintke ricorda  che anche nel 2019 c’era la paura delle destre e dell’onda nera che poi non si è formata, ma oggi le destre sono più forti e soprattutto nelle piazze non c’è Greta ma movimenti contrari al Green deal, e anche gli altri partiti che hanno appoggiato il Green deal sono diventati ora molto molto cauti.
   

I Verdi hanno scelto i loro Spitzerkandidaten, pragmatici. I sondaggi però dicono che perderanno un terzo dei seggi

 
O noi o Ecr. Philippe Lamberts è un eurodeputato belga. E’ l’attuale copresidente dei Verdi al Parlamento europeo, ma non sarà candidato alle  europee del 6-9 giugno. Lo abbiamo incontrato prima del Congresso e ci ha detto che nel prossimo Parlamento europeo, la coalizione tra Partito popolare europeo, Socialisti&Democratici e liberali di Renew “non sarà sufficiente” Avere quaranta seggi in più della maggioranza assoluta del Parlamento europeo non basterà ad assicurare la conferma di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione. Nel 2019, l’ex ministra della Difesa tedesca era passata per appena nove voti, malgrado il sostegno degli eurodeputati del PiS polacco e del Movimento 5 stelle italiano. Chi può dare stabilità alla prossima Commissione? Secondo Lamberts, sono proprio i Verdi. Ma a una condizione. “La prima richiesta è la continuazione del Green deal”. Von der Leyen e il presidente del Ppe, Manfred Weber, hanno di fronte un dilemma: “La scelta è tra l’Ecr e noi”, dice Lamberts. L’Ecr è il gruppo delle destre sovraniste ed eurocritiche, che include Fratelli d’Italia, i polacchi del PiS, gli spagnoli di Vox e da ieri anche i francesi di Reconquête (il partito di Éric Zemmour e Marion Maréchal, la nipote di Marine Le Pen). Se von der Leyen e Weber sceglieranno l’Ecr, “il Green deal è morto. Non continuerà”, dice Lamberts. Il problema per le aspirazioni dei Verdi di entrare nella maggioranza europea è proprio quello. Tutti i segnali puntano nella direzione di una retromarcia, o almeno di un’impasse sul Green deal. Di fronte alla collera dei trattori, von der Leyen ha fatto una serie di concessioni agli agricoltori sulle politiche climatiche e ambientali: ha accettato di sospendere l’obbligo di mettere a riposo il 4 per cento dei terreni coltivati e ha annunciato il ritiro di una proposta per dimezzare l’uso dei pesticidi entro il 2030. La Commissione ha di fatto escluso l’agricoltura dagli sforzi più significativi che dovranno essere fatti per ridurre le emissioni del 90 per cento entro il 2040. Il Ppe di Weber ha sabotato la legge sul ripristino della natura e cerca di ricostruire la sua immagine di partito degli agricoltori. Sia von der Leyen sia il Ppe  hanno fatto eco alle richieste di alcuni governi di una “pausa” nella legislazione ambientale. Weber vuole fermare l’emorragia di voti verso l’estrema destra e la destra sovranista, cavalcando gli stessi temi. La speranza dei Verdi, che vogliono governare e salvare il Green deal, è che questa cautela sia soltanto una mossa da campagna elettorale. Secondo Lamberts, i Verdi devono fare tutto il possibile per “essere l’opzione preferita di von der Leyen se fa un secondo mandato”.
 

“La scelta è tra l’Ecr e noi”, ci dice il verde Lamberts. La decisione sarà di von der Leyen, se dovesse fare un secondo mandato


Un altro problema. Per essere un’opzione per von der Leyen, la famiglia ecologista deve essere unita e soprattutto affidabile, cioè deve essere pronta a fare compromessi pragmatici e ad accettare di fare concessioni agli altri membri di una futura coalizione. La loro storia dice tutto il contrario. Già nel 2019 Lamberts aveva  cercato di portare i Verdi nella “maggioranza Ursula”, salvo venire smentito dai suoi deputati. Al momento della nomina, il gruppo ecologista votò contro von der Leyen, perché ritenuta non sufficientemente “green”. Durante tutta la legislatura, i Verdi sono rimasti con un piede dentro e un piede fuori dalla coalizione formata da Ppe, S&D e Renew. Nel 2024 il programma dei Verdi europei prevede un “Patto verde e sociale” (Green social deal) che punta su investimenti massicci per stimolare la transizione climatica e proteggere le condizioni di vita dei cittadini. Il testo appare meno massimalista che i manifesti passati. Ma le componenti radicali continuano ad avere un peso significativo nella famiglia. In effetti i Verdi sono divisi sostanzialmente in due. Da una parte ci sono i partiti nazionali verdi pragmatici, che sono o sono stati di recente al governo, soprattutto nei paesi nordici. I Grünen in Germania, GroenLinks nei Paesi Bassi, Vihreät in Finlandia, Ecolo e Groen in Belgio. Dall’altra ci sono i duri e puri, come Europe Écologie Les Verts in Francia, che flirtano con programmi rivoluzionari da estrema sinistra (blocco dei prezzi, tassazione dei profitti straordinari delle grandi imprese, aumento di salari e sussidi, referendum contro l’aumento della pensione a 64 anni). Ci sono  anche micro partiti personalistici come i verdi italiani perennemente guidati da Angelo Bonelli (tra gli ecologisti europei c’è un certo malumore perché ritengono che lo spazio elettorale in Italia sia soffocato da Bonelli). La tedesca  Reintke e l’olandese Eickhout sono considerati pragmatici: nessuno dei due ha speranze di diventare presidente della Commissione o commissario, ma dovrebbero essere scelti come co-presidenti del gruppo nella prossima legislatura al Parlamento europeo.

 

Oltre i calcoli elettorali e i trattori, il Green deal rappresenta un incubo per la classe media perché la transizione ecologica è molto costosa – basta vedere i costi ancora inaccessibili della auto elettriche – anche se è difficile quantificarla perché di questi costi non c’è certezza. Ricorderete il caos in Germania, ad autunno, quando la coalizione semaforo che comprende i socialdemocratici, i Verdi e i Liberali, quasi implose a causa della legge che costringeva i tedeschi a cambiare le caldaie alimentate con i combustibili fossili con quelle a pompa di calore. Si arrivò a dire che era in corso una “guerra culturale” sulle caldaie, che di certo è un’espressione eccessiva e pure abusata, ma che dimostra quanto sia lunga la strada tra le intenzioni e la realtà, ancor più se  bisogna percorrerla da soli, evitando i trattori. 


(ha collaborato David Carretta)