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Quanto è dura la convivenza con gli inglesi dopo il divorzio

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Guardiamo le liti a casa Windsor e vediamo quelle sulla Brexit. Storie di un rapporto che precipita, di telefonate senza risposta e di un gatto che piange

Vi ameremo sempre, titolava ieri il Mirror, uno dei pochi giornali inglesi ad aver sottolineato la mano tesa della Regina Elisabetta nei confronti dei principini, Harry e Meghan, dopo la loro intervista a Oprah Winfrey. “Vi ameremo sempre” è una frase che spesso anche noi europei abbiamo sentito e abbiamo detto, in questi anni di preparativi al divorzio con il Regno Unito, e di scoperta di nuove regole di convivenza. “Vi ameremo sempre” sembra una frase che devi dire quando ormai c’è poco altro da fare, quando il disamore, percepito o effettivo che sia, ha fatto tutti i suoi danni, e si può giusto provare a non lasciarsi urlando. I principi sembrano non farsene niente, di queste dichiarazioni di tregua: da quando è cominciato questo episodio dell’enorme, imperdibile, adorabile soap opera che è la monarchia britannica, non riusciamo a non pensare che i ragazzi siano la versione reale e pop dell’Inghilterra durante la Brexit, e la Regina sia l’Unione europea, che ne ha viste tante, che ha sbagliato molto, che è stata accusata di ogni cattiveria e freddezza, che ha provato a tenere insieme la famiglia allargata, vuoi con le regole (spesso obsolete), vuoi con la saggezza e l’esperienza, “per i tuoi pochi anni e per i miei che sono cento”. E dev’essere per questo che la guerra a casa Windsor ha i toni, la rabbia e a volte persino i profili dei personaggi della guerra a bassa intensità in corso tra l’Ue il Regno Unito, anche se è stato firmato un accordo, anche se ci eravamo detti che ci saremmo amati sempre. Un esempio? Guardiamo David Frost e vediamo il principe Carlo. Frost, nomen omen, era stato uno degli interlocutori più difficili per l’Ue, perché non voleva compromessi, voleva soltanto che fosse riconosciuto l’eccezionalismo inglese. A un certo punto era stato messo da parte, a favore di negoziatori più concilianti. Ora è tornato, deve decidere assieme all’Ue le regole di convivenza a divorzio già firmato, e s’è ricominciato a litigare. Pare di vedere il principe Carlo che, dice suo figlio Harry, a un certo punto “ha smesso di rispondermi al telefono”, e anzi gli ha detto: metti tutto per iscritto e mandami un testo, come fa Frost, che si fida pochissimo degli europei, e pensa che ci sia sempre una trappola da qualche parte.
Così, saltando dai Windsor alla Brexit, abbiamo provato a capire quali sono i problemi di questa convivenza, e magari le sue possibili soluzioni.

 


 Londra ha rimesso Frost a gestire le relazioni con l’Ue. Sembra il principe Carlo, che ha smesso di rispondere al telefono a Harry



Tra la Brexit e la guerra dei Windsor. Il regno è spaccato in due (a proposito: come si chiamerà quest’isola se non c’è più la monarchia?), la lite reale è una questione identitaria, ha a che fare con il futuro e con il passato. Secondo i dati di YouGov, il 36 per cento degli inglesi simpatizza con la Regina, il 22 con la duchessa e il duca di Sussex, il 28 con nessuno dei due, l’8 per cento, non si sa come, sta con tutte e due. Il 6 non lo sa. Ma se si scende nel dettaglio, e gli intervistati vengono divisi per età, il 48 per cento dei giovani tra i 18 e 24 anni simpatizza con Meghan e Harry, il 55 per cento degli over 65 invece sta con la famiglia reale. Anche i conservatori sono dalla parte della Regina, al 64 per cento. Più divisi i laburisti: il 15 per cento sostiene Elisabetta, il 38 Harry e Meghan, il 32 nessuno dei due. Come ha titolato Axios – in America hanno preso molto a cuore l’intervista tanto che Hamilton Nolan sul New York Times in un articolo nella sezione opinion si è sperticato  in consigli assolutamente non richiesti su come sfilare la corona dalla testa della regina  – “Megxit is Brexit all over again”. Infatti tra i sostenitori della Brexit, il 71 per cento ha definito l’intervista inappropriata, i remainer sono più schierati dalla parte della coppia. C’è quindi un legame litigioso, chi ha sostenuto la Brexit sostiene i Windsor, uno dei marchi dell’eccezionalismo inglese. Chi voleva rimanere nell’Ue sta con i fuggitivi. Ma oltre ai reali, sono tante le cose che fanno accapigliare europei e inglesi.     


La decisione unilaterale inglese. Londra, e più probabilmente proprio David Frost, ha deciso di allungare il cosiddetto “periodo di grazia” previsto dai protocolli irlandesi — nessun controllo sull’unica frontiera di terra esistente tra l’Ue e il Regno Unito, cioè il confine nordirlandese — da fine marzo a fine ottobre. Londra ha preso questa decisione senza consultarsi con Bruxelles, e siccome già i rapporti sono inaciditi dalla questione dell’approvvigionamento dei vaccini, Bruxelles non l’ha presa bene. Anche perché, in perfetto stile Frost, il negoziatore ha anche scritto un articolo sul Telegraph per dire sostanzialmente all’Europa di smetterla con i suoi atteggiamenti ostili. E’ stato talmente duro, che molti imprenditori britannici hanno protestato: non ci conviene fare troppo i gradassi, perché già gli scambi con l’Europa sono diventati più costosi e lenti (e infatti sono crollati), non conviene tirare ulteriormente la corda. Ma ogni azione ha una conseguenza, e l’approccio unilaterale è spesso sinonimo di sfiducia, quindi il vicepresidente della Commissione europea, Maros Sefcovic, ha detto che le strade potrebbero essere due: una procedura di infrazione ai sensi dell’accordo Brexit, che potrebbe concludersi con una sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue; una procedura di risoluzione delle dispute che coinvolgerebbe un organismo arbitrale indipendente. Il premier Boris Johnson, che vuole fare questa volta il poliziotto buono, ha detto di essere sicuro che si troverà un modo per andare d’accordo, ma ha aggiunto una postilla che ha fatto di nuovo infuriare gli europei: sarò “piacevolmente sorpreso quando il buon senso inizierà a prevalere”. Il buon senso europeo, ovviamente, che secondo Londra è il grande assente di questa prima fase di convivenza. 


La ratifica degli accordi futuri. Poiché il clima è quello che è, il Parlamento europeo è tentato di rinviare la ratifica  dell’accordo sulle relazioni future, soprattutto l’intesa di libero scambio che ha consentito di evitare dazi e quote tra le due sponde della Manica: in questo modo sarebbe Johnson a essere costretto a mostrare maggiore buon senso sull’Irlanda del nord. Di fatto, la posizione debole è la sua: quel confine è il punto in cui tutte le ambizioni di isolamento “senza frizioni” collassano. Non che altrove stiano bene, certo: commerciare con il Regno Unito è diventato molto difficile (esempio Italia: le esportazioni verso il Regno Unito sono scese del 38 per cento, mentre le importazioni britanniche sono crollate del 70 per cento). L’Observer domenica ha raccontato l’approccio “dal tocco più leggero” che gli inglesi stanno prendendo in considerazione per contrastare questi primi effetti poco rassicuranti: la leggerezza consiste nel diminuire i controlli sulle importazioni dal continente a partire dal primo aprile. Non è detto che ciò avvenga, in mezzo all’ennesima crisi di disamore e sfiducia è ancora più difficile, ma nell’establishment inglese un po’ di buon senso c’è ancora. Michael Gove, che è sempre stato uno molto deciso sulla Brexit e che ora che è stato sostituito da Frost ci sembra addirittura una colomba, aveva detto all’inizio di febbraio: “Quando un aereo decolla, capita a volte di ritrovarsi in mezzo a delle forti turbolenze. Alla fine il comandante dice: mantenete le cinture allacciate, ma godetevi il gin tonic con le noccioline. Ecco, non siamo ancora al momento del gin tonic e delle noccioline”.

 


Un funzionario europeo parla di “allerta permanente”. Per un brexiteer famoso manca ancora un po’ a “gin tonic e noccioline”



 
L’allerta permanente. Dal punto di vista britannico, secondo gli analisti, uno degli errori è stato credere che la Brexit fosse un evento. Invece è un processo lungo, articolato e soprattutto lento. Tutto sta nel tipo di relazioni che Unione e Regno Unito riusciranno a creare in questi anni, come si modelleranno i rapporti. La partenza non è stata semplice, e secondo Maddy Thimont Jack dell’Institute for Government di Londra la domanda è se ci sarà una competizione sana o se sarà tutto uno scontro, tutto un litigio su qualsiasi argomento. Per il momento si possono vedere i rischi e quello più grande è che tra Londra e Bruxelles si instauri un rapporto di “allerta permanente”. L’espressione l’ha usata un funzionario europeo in un’intervista al Financial Times. Non c’è nulla di peggio che doversi difendere continuamente dai propri vicini e non ci sarebbe nulla di più sciocco: protrarre i litigi tra europei e inglesi vuol dire anche far contenti russi e cinesi, le potenze che guardano con interesse ai nostri battibecchi.  Secondo João Vale de Almeida, ambasciatore dell’Ue a Londra, non c’è ancora una ricetta per andare d’accordo, c’è però un punto di partenza: andare avanti, c’è vita dopo la Brexit.  E se lo dice lui, ambasciatore in un'ambasciata alla quale il governo britannico non ha voluto riconoscere lo status diplomatico completo, viene da credere che questa convivenza non sia poi così impossibile.      

 

 

Mentre aspettiamo di vedere come torna la pace tra europei e inglesi e tra la Ditta reale e la coppia Harry-Meghan, cioè come si imparerà a convivere, i nostri pensieri vanno al gatto di Downing Street, Larry. Lui, come l’Unione europea e come la Regina, ne ha viste tante, ha imparato a convivere con moltitudini diverse di umani e ora persino con un cagnolino: ora deve abituarsi a un new normal con i suoi attuali coinquilini. E’ stato chiesto a tutti quelli che lavorano nella residenza del primo ministro di non dare alcunché al gatto: Larry è ingrassato durante il lockdown e deve stare a dieta. Si è commentato da solo, nel suo account su Twitter: piangendo. 

 

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