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l'editoriale del direttore

La guerra da vincere sull'antisemitismo

Claudio Cerasa

Il grande appello dei progressisti israeliani ai progressisti europei: basta boicottaggi, non isolate Israele

Yair Golan è un generale e un politico israeliano. E’ stato vicecapo di stato maggiore delle Forze di difesa israeliane, ha guidato il Comando del fronte interno e di quello settentrionale, è stato deputato dal 2019 con Unione democratica e poi con Meretz, un partito progressista israeliano, e nel 2024 ha unito Meretz e Laburisti fondando “I Democratici”, di cui è leader. Yair Golan è uno dei politici d’opposizione, in Israele, più in vista, più intervistati, più apprezzati da chi non ama Benjamin Netanyahu, e qualche giorno fa è stato invitato a Bruxelles dal Partito socialista europeo, nel corso del Congresso del Pse, per parlare di presente, di futuro, di progressismo e di libertà. Yair Golan ha scelto di dedicare il suo tempo a un tema su tutti, lo stesso tema a cui giorni fa aveva dedicato alla Knesset un discorso appassionato un altro Yair, che di cognome fa Lapid e che anche lui presidia in Israele i banchi dell’opposizione. Il messaggio trasferito da Golan ai colleghi progressisti europei è tanto semplice quanto dirompente: non isolate Israele.

   

Yair Golan sa che la guerra che Israele, pur nella tragedia assoluta di Gaza, ha vinto in medio oriente rappresenta solo una delle facce dei conflitti con cui lo stato ebraico deve fare i conti. Sul lato militare, la forza dell’esercito ha permesso a Israele in questi due anni di affermarsi su tutti i fronti. Sul lato culturale, però, se così vogliamo chiamarlo, la guerra che Israele deve provare a vincere è quella che riguarda un obiettivo più difficile della pace a Gaza: difendere ciò che lo stato ebraico rappresenta e combattere i rigurgiti del nuovo antisemitismo che si è diffuso in giro per il mondo, non a causa di Israele ma a causa degli antisionisti che hanno trasformato l’odio contro lo stato ebraico in una maschera utile a rendere l’antisemitismo più presentabile rispetto al passato. Golan, davanti ai suoi cugini progressisti d’Europa, ha detto che nonostante il ritorno degli ostaggi a casa, il trauma del 7 ottobre è ancora vivo. E ha spiegato che per uscire da quel trauma non basta assecondare la propria fede politica, schierandosi contro chi governa. Serve un salto di qualità. Serve sostenere la società civile in Israele. Serve “interagire con noi”. In sintesi: “Non isolateci”. Golan, infilando un dito dentro all’occhio del progressista anti israeliano, categoria molto diffusa tra i cultori della nazificazione del popolo ebraico, dice che “boicottare Israele, le università e le istituzioni culturali non aiuta, anzi danneggia, perché spesso proprio in quei luoghi si insegnano e si difendono il pensiero critico e i valori democratici”. Difendere Israele, però, vuol dire anche altro. Vuol dire fare di tutto per combattere l’antisemitismo, perché criticare Israele è legittimo, ma giocare “con l’antisemitismo no”. Golan sostiene che la destra modello Netanyahu voglia indebolire il tessuto democratico di Israele attraverso colpi di mano giudiziari, attacco alla libera stampa, la concentrazione del potere “nelle mani di una ristretta élite messianica di estrema destra”. Ma mentre dice questo, Golan prova anche ad aprire gli occhi ai suoi interlocutori progressisti ricordando che Israele resta ancora oggi quello che in molti vogliono negare.

 

Resta cioè una democrazia, l’unica del medio oriente, dove si può discutere, dove si può litigare, dove si può sfidare il potere senza rischiare di essere fatti fuori come capita in un regime islamista. E avere “un Israele democratico non è solo un bene per gli israeliani: è condizione necessaria per ogni speranza di pace nella regione”. E dunque: la democrazia, dice Golan, è il fondamento della stabilità, la stabilità è la condizione della sicurezza, e la sicurezza deve tradursi in pace. E per avere un Israele in sicurezza occorre non isolare Israele. Occorre non boicottarlo. Occorre ricordare che difendere le democrazie, in ogni dove, dovrebbe essere l’essenza dell’essere democratici e progressisti. Non solo in Israele: anche in tutto il resto del mondo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.