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I sopravvissuti alla Shoah uccisi dai missili di Teheran, il regime del negazionismo di stato
La storia delle vittime della Repubblica islamica racconta che il terrorismo islamista non ha mai smesso di colpire. La “soluzione finale” vive ancora, rinominata e rilanciata dal fanatismo islamista e dal negazionismo iraniano
“Disintegrazione del mito dell’Olocausto” è il titolo del libro dell’allora presidente dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad. “La risoluzione della questione dell’Olocausto finirà con la distruzione di Israele”, gli fece eco il vice ministro iraniano della Cultura, Mohammad Ali Ramin, uno dei giovani assistenti di Khomeini fin dall’esilio francese nel 1978, per il quale “portando gli ebrei nel mondo islamico l’occidente ha creato una situazione in cui gli ebrei saranno distrutti”. Nel 2020, la Guida suprema Ali Khamenei condensò queste idee in un poster: mostra le persone in festa sul Monte del Tempio a Gerusalemme dopo averlo conquistato. “Soluzione finale”, il titolo. La “soluzione finale della questione ebraica” è l’espressione usata dai nazisti per lo sterminio di undici milioni di ebrei (sarebbero riusciti a incenerirne sei). Questa settimana i missili iraniani hanno ucciso due sopravvissute alla Shoah.
A Petah Tikva, gli iraniani hanno assassinato la sopravvissuta all’Olocausto Yvette Shmilovich, 95 anni, che aveva partecipato al progetto “Good Hands” dell’Holocaust Survivors’ Rights Authority. Riferendosi alla morte di Shmilovich e della sopravvissuta all’Olocausto Bella Ashkenazi, uccisa anche lei dai missili iraniani a Bat Yam, l’Autorità ha affermato in una nota che “il percorso di vita di coloro che sono sopravvissuti agli orrori dell’Olocausto è stato crudelmente interrotto, ma il loro messaggio di coloro che sono risorti dalle ceneri e hanno costruito la loro casa e il loro popolo, continua a vivere tra noi”. Shmilovich e Ashkenazi sono le prime sopravvissute all’Olocausto uccise dalla Repubblica islamica iraniana. Ma Teheran ha proseguito il lavoro iniziato il 7 ottobre dal suo proxy, Hamas. Gina Semiatichova, sopravvissuta al lager di Terezin, viveva nel kibbutz di Kisufim. I terroristi di Hamas l’hanno trascinata dal rifugio in soggiorno, dove l’hanno uccisa con una pallottola alla testa, durante il pogrom del “Sabato nero”.
Anche la vita di Moshe Ridler è finita più o meno com’era iniziata. Ridler, 91 anni, che da ragazzo fuggì da un campo di concentramento nazista, dove la madre e la sorella morirono di tifo, è stato assassinato nel kibbutz di Holit con il suo badante moldavo e altri undici civili israeliani. Tsili Wenkert è sopravvissuta in un ghetto della Transnistria. Suo nipote, Omer, è stato rapito durante l’attacco di Hamas al festival musicale vicino a Re’im. Shoshana Karmin è riuscita a lasciare il ghetto di Budapest, ed è sopravvissuta all’attacco di Hamas nel kibbutz di Magen. E lo scorso dicembre Ludmila Lipovsky, ottantatreenne sopravvissuta all’Olocausto, è stata assassinata in un attacco terroristico con il coltello fuori dalla sua casa di cura a Herzliya. Ecco perché Elie Wiesel prima di morire disse: “L’Iran non deve diventare una potenza nucleare”. Lo scrittore scampato alle camere a gas di Auschwitz lo sapeva meglio di tutti i nostri scrittorini: “Il XX secolo è stato segnato da due ideologie totalitarie: il fanatismo politico a Mosca e il fanatismo razzista a Berlino. Ora ci troviamo di fronte a un terzo fanatismo, il fanatismo religioso”.
Ai primi di giugno, un’altra sopravvissuta alla Shoah, Barbara Steinmetz, è stata bruciata nell’attacco con le bombe molotov a Boulder, in Colorado, da un islamista al grido di “Free Palestine”. I nazisti volevano un mondo “Judenfrei”, libero dagli ebrei. Gli islamisti, un mondo “Israelfrei”, libero da Israele. Gli ayatollah lo chiamano un “mondo senza sionismo”. Endlösung all’iraniana.


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