l'accordo e la bozza

Frasario contro la propaganda di Hamas

Micol Flammini

Quanti sono gli ostaggi, l’accordo sulle linee rosse con gli Stati Uniti, come procedono i negoziati al Cairo e come prende le decisioni il gabinetto di guerra in Israele. Chiarimenti

Lunedì, dopo che Hamas aveva proditoriamente annunciato di aver accettato la proposta di accordo mediata da Egitto e Qatar, la notizia è corsa veloce. Gli abitanti di Gaza sono usciti  a festeggiare, gli israeliani si sono riversati per le strade speranzosi,  mentre l’opinione pubblica internazionale si affannava a ripetere che tutto era fatto, Hamas aveva accettato. Israele, già sapendo che sarebbe stato additato come l’uccisore di ogni speranza di tregua, aveva informato che non si trattava della stessa proposta di accordo di cui era a conoscenza, che le differenze non erano poche, ma che avrebbe continuato a trattare senza allentare la tensione su Rafah. Le spiegazioni non sono bastate, ormai il titolo della giornata era: Hamas accetta e Israele rifiuta. Il portavoce del dipartimento di stato Matthew Miller è intervenuto a chiarire la posizione degli Stati Uniti e ha detto che Hamas non ha accettato un accordo, “ha risposto con emendamenti o controproposte”. Ieri le delegazioni erano al Cairo, dove non si è mosso nulla, si studia ancora una proposta che possa portare al cessate il fuoco e alla liberazione degli ostaggi, mentre tutto attorno la confusione è grande, le parole e le frasi hanno perso il loro significato soffocate da una nebbia di comunicazioni errate. Abbiamo messo in fila alcune delle frasi dette, ridette e sbagliate e delle parole che necessitano di chiarimenti.

Israele non ha lanciato l’offensiva totale contro Rafah. L’esercito ha chiesto ai civili che si trovano nella parte orientale della città del sud della Striscia di evacuare, con l’intenzione di iniziare una serie di operazioni contro le postazioni da cui Hamas ha lanciato un attacco contro il valico di Kerem Shalom. Contemporaneamente, Tsahal ha preso il controllo del valico di Rafah,  arrivando a controllare parte del corridoio  Philadelphia, che collega la Striscia all’Egitto. L’operazione è stata circoscritta e togliere a Hamas il controllo del valico serve anche a ridurre il potere dei terroristi di disporre degli aiuti umanitari che entrano principalmente proprio dall’Egitto. Prendendo il valico e non la città di Rafah, Israele ha dimostrato che può agire contro Hamas, che ha la potenza per arrivare ovunque e vuole usare questa dimostrazione come arma negoziale.
 

Non sarà Israele a occuparsi del valico. Tsahal dovrà garantire la sicurezza dell’ingresso dei camion carichi di rifornimenti, altrimenti sarà facile per i terroristi tornare a controllare la zona e fare razzia degli aiuti. Secondo fonti della stampa americana e israeliana i piani per il futuro immediato del valico sono due e non riguardano Gerusalemme. Secondo Axios il piano è di affidare il controllo a civili palestinesi che non sono collegati a Hamas, che dovranno essere in grado di ispezionare ciò che entra e che esce, di gestire gli ingressi dei camion. Secondo Haaretz invece è più probabile che Israele decida di affidare il controllo del valico a una compagnia americana privata.
 


Gli Stati Uniti non hanno smesso di sostenere Israele. Per il presidente americano Joe Biden l’operazione al valico di Rafah non è il superamento di una linea rossa. Gli Stati Uniti vogliono evitare una catastrofe umanitaria,   il confine tra la Striscia e l’Egitto non è densamente popolato, quindi il rischio per i civili è limitato. Gli Stati Uniti hanno sospeso la consegna di armi che possono essere usate durante un attacco contro la città. Nel dettaglio, la spedizione che è stata ritardata dall’Amministrazione Biden include 1.800 bombe da duemila libbre (900 chili) e 1.700 bombe da 500 libbre (oltre 200 chili). Gli Stati Uniti hanno così voluto segnalare che sono preoccupati per l’operazione a Rafah.  Come ha confermato ieri il segretario alla Difesa Lloyd Austin, non si tratta di una decisione definitiva, ma la posizione sull’obbligo di Israele di badare alla sicurezza dei civili non cambia.
 

Hamas non ha accettato la proposta di accordo che gli Stati Uniti avevano definito in precedenza “estremamente generosa”. In questi giorni le delegazioni sono al Cairo e si ragiona su una bozza che tutte e due le parti dovranno approvare. Una proposta non è un accordo definitivo. Al Cairo in questo momento sono riunite delegazioni di basso livello, quando Israele penserà che l’intesa è più vicina allora manderà i capi delle agenzie di intelligence, dello Shin Bet e del Mossad. Ieri Hamas ha detto che è pronto a combattere per quanto sarà necessario e ha sparato otto razzi da Rafah contro Israele.
 

Gli ostaggi vivi sono più di trenta, secondo le informazioni di intelligence di Israele. Hamas non dà informazioni sugli ostaggi, sa che lasciare gli israeliani all’oscuro sullo stato  dei prigionieri li mette nella condizione di non sapere per cosa stanno negoziando. Hamas sostiene di tenere prigioniere circa dieci persone, ma di poterne raggiungere una trentina tra i dispersi. Secondo l’intelligence israeliana gli ostaggi vivi sarebbero più di trenta, per questo insiste.
 


Le differenze tra Israele e Hamas non riguardano soltanto il cessate il fuoco, ma proprio la liberazione degli ostaggi. I terroristi non fanno differenza tra prigionieri vivi e morti, Israele vuole che vengano liberati prima i vivi e poi chiede la restituzione dei corpi. Hamas vuole liberare tre ostaggi ogni sette giorni, Israele vuole che le liberazioni avvengano almeno ogni tre giorni.
 

Il “no” di Israele alle condizioni di Hamas non è una posizione di Netanyahu, ma di tutto il gabinetto di guerra, di cui fanno parte anche politici dell’opposizione, come Benny Gantz. Le decisioni relative ai negoziati e alle operazioni militari vengono prese da tutto il gabinetto da cui gli elementi estremisti e contrari a un’intesa con Hamas sono esclusi. Netanyahu può aver paura che l’accordo porti i suoi alleati di estrema destra a lasciare il governo, ma finora le decisioni non sono state personali. L’organo che le ha prese è nato dopo il 7 ottobre e gli israeliani continuano a fidarsi. Anche se non hanno più fiducia in Bibi, in Gantz vedono una garanzia. 
Micol Flammini

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  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.