Palestinesi nel sud della Striscia si dirigono verso il campo profughi di Al Nusairat (Foto Ansa) 

la conversazione

Occupare Gaza e distruggere Hamas: gli imperativi di Israele

La soluzione a due stati a un punto morto, il valore della forza in medio oriente, la situazione politica interna e i rapporti dello stato ebraico con l’America e l’Europa. E poi  l’Iran e i timori per i suoi missili. La versione di Reuel Marc Gerecht

Gerry Baker, caporedattore del Wall Street Journal, nel suo podcast Free Expression ha dialogato con Reuel Marc Gerecht. Fellow della Foundation for the Defense of Democracies, autore di vari libri sulla politica del medio oriente ed ex agente di collegamento della Cia, Gerecht parla dell’inevitabilità di un’occupazione di Gaza, della necessaria distruzione di Hamas, della situazione politica interna in Israele e del progressivo allontanamento di Israele da Stati Uniti ed Europa. La conversazione è avvenuta  prima dell’attacco notturno dell’Iran con droni e missili che aveva come obiettivo Israele.


Gerry Baker: Israele sta perdendo la guerra? L’idea sembra inverosimile e anche leggermente terrificante. Le forze di difesa israeliane hanno già eliminato migliaia di combattenti di Hamas e ucciso molti dei suoi leader spingendosi dentro Gaza. Il lavoro non è finito e l’amministrazione Biden sta aumentando la pressione sul primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu affinché accetti un cessate il fuoco e interrompa la campagna per sradicare il gruppo terroristico che il 7 ottobre ha massacrato 1200 israeliani. Questo, anche se Hamas si tiene stretto un centinaio degli ostaggi dicendo inoltre, in risposta a una proposta di accordo mediata dagli Stati Uniti, di non sapere nemmeno che fine abbiano fatto 40 di questi. Eppure, in qualche modo, mentre gran parte dei media mondiali ritraggono Israele come l’aggressore e l’amministrazione Biden sembra preoccupata di perdere il sostegno degli elettori pro palestinesi alle elezioni di novembre, lo stato ebraico è sottoposto a forti pressioni da parte del suo presunto alleato più stretto affinché cessi la campagna militare. Se Israele viene bullizzato in questo modo e gli viene impedito di infliggere una vera sconfitta al nemico che è deciso a distruggere Israele, potrà mai vincere la sua più ampia lotta per la sopravvivenza? Cosa significherà se l’unica democrazia della regione non sarà in grado di affrontare un nemico sostenuto dal regime teocratico ed espansionistico dell’Iran? Sappiamo che Israele ha ucciso migliaia di combattenti di Hamas. Ha eliminato una parte della leadership. E il governo sembra deciso ad andare a Rafah a finire il lavoro. Come valuta i risultati ottenuti finora da Israele? E cosa resta da fare perché raggiunga i suoi obiettivi?

Reuel Marc Gerecht: Come ha detto, penso che abbiano danneggiato Hamas in modo massiccio. Ora, un’organizzazione del genere ha la capacità di riprendersi e credo che la cosa più importante per gli israeliani sia trovare tutte le scorte di armi dei terroristi, altrimenti saranno costretti a tornare a Gaza ogni due settimane. Israele ha un problema che crescerà di dimensioni, ma gli israeliani preferirebbero davvero non occupare Gaza, ma non vedo come possa funzionare qualsiasi altra linea d’azione. Gli americani, è chiaro, non verranno a salvarli. E nemmeno gli europei. E certamente non gli arabi del Golfo. Non ci saranno mercenari dell’Anzac a sorvegliare Gaza. Quindi penso che la scelta inevitabile sia per gli israeliani di rimanere lì per un po’. Per questo è indispensabile che trovino quelle scorte di armi. E’ imperativo che prendano il controllo di Rafah. E’ imperativo che si assicurino che i tunnel verso l’Egitto, che sospetto siano ancora attivi, vengano definitivamente chiusi.

GB: Rispetto al piano di Netanyahu di entrare a Rafah c’è un’enorme pressione diplomatica esercitata dagli Stati Uniti. E sappiamo che i danni collaterali per i civili sarebbero pesanti. Pensa che questo ritardo sia tattico? Pensa che sia destinato a placare l’amministrazione Biden? Lei ha detto che è essenziale entrare a Rafah. Cosa stanno aspettando?

RMG: Innanzitutto, credo che gli israeliani, Netanyahu e lo stato maggiore dell’Idf siano nervosi all’idea di andare lì. Sarà una battaglia molto, molto difficile e poi hanno subito crescenti pressioni da parte degli americani. Credo che gli americani siano giunti alla conclusione che gli israeliani non possono eliminare Hamas a Gaza e che questa battaglia a livello di pubbliche relazioni potrebbe essere ancora più catastrofica. La guerra urbana è estremamente difficile, quindi è naturale che Israele esiti. Tuttavia, se non lo faranno presto, credo che potrebbero perdere lo slancio e questo sarebbe un grave errore. Sappiamo che ci sono ingenti scorte di armi. Gran parte della leadership è lì e l’idea che sta circolando alla Casa Bianca secondo cui gli israeliani non possano entrare a Rafah, ma attaccarla periodicamente per eliminare la leadership di Hamas, credo sia sciocca. Non funzionerà. Penso che dal punto di vista delle pubbliche relazioni sarebbe quasi altrettanto negativo o peggio, dovrebbero entrare un’infinità di volte, e invece devono farla finita subito.

GB:  Lei ha detto che gli Stati Uniti pensano che Israele non potrà sconfiggere Hamas, certamente non in questo modo. A causa delle vittime civili e, direi, a causa del peso dell’opinione pubblica altamente parziale contro Israele, tra i palestinesi è aumentato il sentimento anti-israeliano. Un po’ come abbiamo sempre detto che la guerra contro l’Iraq ha aiutato Al-Qaeda a reclutare uomini. Per ogni civile ucciso, probabilmente si creano altri 10 combattenti di Hamas. Che idea si è fatto di questo e della fattibilità dell’obiettivo israeliano di distruggere Hamas?

RMG: Se gli israeliani fossero disposti ad andare lì e occupare Gaza – cosa che non vogliono assolutamente fare perché l’occupazione è tossica, ma penso che dovranno farlo – se occupano Gaza, se chiudono tutti i tunnel e si assicurano che le scorte di armi siano distrutte, sì, potrebbe continuare un’insurrezione di basso livello per un bel po’ di tempo. Ma sarà di basso livello, non diventerà una minaccia seria per Israele. Gli israeliani devono prendere una decisione e, comprensibilmente, sono riluttanti. Non hanno presentato un piano per il dopoguerra per ragioni molto comprensibili: quando si esaminano le alternative, nessuna di esse è molto gradevole. Ora, non mi convince molto l’argomentazione secondo cui questo creerebbe una generazione di terroristi. Penso che si possano distruggere le organizzazioni terroristiche. La storia islamica è piena di insorti e quasi tutti hanno perso. Quando si scontrano con una forza risoluta, questa forza di solito trionfa. Ci sono alcune eccezioni, ma di solito trionfa la potenza più forte. Penso che Israele abbia difese piuttosto solide. Certo, c’è una preoccupazione per la Cisgiordania. Non so quali siano i dispiegamenti in questo momento, ma credo che ci siano più unità dell’Idf in Cisgiordania che in Israele. Se lì dovessero scoppiare ulteriori violenze, sarebbe il tipo di insurrezione potenzialmente molto problematica. Inoltre, l’utilizzo di così tante unità dell’Idf per controllare o fermare quel tipo di disordine significherebbe anche che non possono andare in Libano, e se non vanno in Libano, tutti quegli israeliani, tra i 65 e i 100 mila, che sono dovuti fuggire dalle zone di confine settentrionali, non torneranno indietro. E così avrebbero uno scontro a basso rendimento con Hezbollah, che è esattamente ciò che vuole l’Iran.

GB: Se ha ragione, se Israele deve davvero occupare Gaza, che conseguenze avrebbe sul piano diplomatico più ampio? Cosa direbbero gli Stati Uniti?

RMG: Penso che gli Usa sarebbero ostili, ma credo che ci sia una consapevolezza, crescente, che non ci sono alternative. Molti americani, e certamente il governo, sembrano voler tornare alla vecchia formula: riavviare i negoziati di pace verso una soluzione a due stati. Io penso che sia una soluzione morta.

GB: Con chi parlerebbero? Abbas ormai è fuori. 

RMG: Non conosciamo la popolarità di Fatah, l’organizzazione principale dell’Olp. Sospetto che sia bassa quasi quanto quella di Abbas. E’ del tutto plausibile che se si tenessero elezioni libere, Hamas potrebbe vincere. Ci siamo abituati all’idea di una soluzione a due stati, ma credo che la risposta sia che gli israeliani debbano semplicemente arrangiarsi, cavarsela, e questo non piace a nessuno. Israele è ovviamente in difficoltà con l’Europa, ma tutto questo è inevitabile, gli israeliani devono concentrarsi sul modo migliore per assicurarsi di non avere missili provenienti da Gaza diretti in Israele e di ristabilire un confine sicuro e di chiudere la strada. Questo è fondamentale. Bloccano i rifornimenti dall’Egitto perché pensano che l’esercito egiziano si sia dimostrato profondamente incompetente e inaffidabile e non possono correre di nuovo questo rischio.

GB: Cosa ne pensa delle condizioni politiche all’interno di Israele? Sappiamo che Netanyahu è estremamente impopolare, da tempo, e certamente, almeno fino a quando non avremo un resoconto completo, molti israeliani lo ritengono responsabile dei fallimenti della sicurezza. Ovviamente Hamas è responsabile di ciò che è accaduto il 7 ottobre, ma in termini di politica interna israeliana, Netanyahu è chiaramente visto come responsabile. Se ci fossero le elezioni, Netanyahu probabilmente verrebbe spodestato. Tuttavia, è ovvio che esiste un governo di coalizione mentre la guerra continua. Se la situazione di oggi si protrarrà a lungo, Netanyahu resterà lì? 

RMG: Trovo la politica interna israeliana sconcertante, perché gli israeliani sono capaci di una scissione politica senza fine. E Netanyahu, anche se è certamente diventato un peso, ha molti attributi del non-morto. E’ estremamente difficile sbarazzarsi di lui e non credo che la sua rimozione, sebbene consigliabile, cambierà alcuni fatti fondamentali. Ci saranno alcuni cambiamenti estetici. Migliorerà immediatamente un po’ l’alleanza di Israele con gli Stati Uniti. Sarà piacevole per l’Europa, ma i fondamenti con cui gli israeliani devono fare i conti non credo cambieranno, anche se mi piacerebbe dare la colpa a Bibi Netanyahu per molte delle cose brutte che sono successe dal 7 ottobre. Penso che, a essere onesti con lui, gran parte di queste cose fossero al di fuori del suo controllo. 

GB:  E gli Stati Uniti? Per un osservatore esterno la Casa Bianca sembra aver sostenuto fortemente Israele fin dall’inizio. Biden è stato molto deciso, sia dal punto di vista retorico che logistico, inviando il supporto navale nella regione. E poi, in modo costante, soprattutto con l’aumento delle vittime civili e della pressione pubblica e politica interna, sembra aver fatto marcia indietro. A parte la politica interna, crede che gli Stati Uniti abbiano un approccio coerente in termini di aspettative?

RMG: Credo che l’obiettivo generale di Biden sia stato e rimanga fare il meno possibile in medio oriente, non di più. E poi c’è l’ulteriore complicazione delle elezioni di novembre e Jake Sullivan è certamente uno dei consiglieri per la sicurezza nazionale più attenti alla politica che ci siano mai stati. Quindi pensa sempre alla politica interna, e credo che queste persone si sveglino ogni giorno e si chiedano: cosa potrebbe accadere in medio oriente che aiuti Donald Trump? E credo che nella loro mente la risposta sia: la guerra. Perciò cercheranno di ridurre l’escalation, non di inasprirla. Cercheranno di evitare di impegnarsi ulteriormente. Ad esempio, il loro tardivo abbraccio alla normalizzazione israelo-saudita è un veicolo per ridurre la presenza degli Stati Uniti in medio oriente, non per aumentarla. Ora, credo che per il momento sia defunta comunque percorreranno questa strada perché, almeno in teoria, risolve alcuni dei loro problemi. Ma credo che vogliano semplicemente evitare, per quanto possibile, un maggiore impegno degli Stati Uniti nel problema israelo-palestinese. Certamente eviteranno di entrare in qualsiasi tipo di guerra con l’Iran. C’è quindi un tema coerente. In questo senso, è coerente. Non avrà successo a medio o lungo termine, ma potrebbe avercelo a breve termine, e credo che sia l’unica cosa che gli interessa, ovvero che non ci siano grossi problemi prima di novembre.

GB: Se Biden dovesse essere rieletto a novembre, questo dovrebbe preoccupare chi di noi considera Israele, con qualche giustificazione, non solo il nostro più grande alleato nella regione, ma anche il baluardo della democrazia e dei nostri valori e principi? 

RMG: E’ sotto minaccia. Lo vediamo nella direzione in cui va la sinistra americana, mentre la posizione della destra americana sul medio oriente è un po’ più complicata. Alcuni israeliani ritengono di aver ricevuto armi sufficienti per iniziare una guerra in Libano. Altri sono un po’ più cauti sulla reale consistenza delle scorte e su ciò che sarebbe necessario. Quindi l’amministrazione Biden non ha una sola idea, ma almeno due, forse di più. Quindi, per gli scopi di Israele, sospetto che sia una buona cosa. Ma la direzione in cui sta andando il Partito democratico, la sinistra, credo sia probabilmente non verso il sionismo di vecchia scuola di Biden. Penso che questo sia in via di estinzione ed è un problema per Israele perché l’alleanza di Israele con gli Stati Uniti è sempre dipesa da una posizione bipartisan. E certamente, per gli israeliani più anziani, è un po’ sconcertante perché il fondamento di questa relazione è sempre stato con il Partito democratico, non quello repubblicano.

GB:  Se guardiamo la regione più in generale, e quindi Teheran. Israele ha colpito e ucciso importanti figure militari iraniane nell’ambasciata a Damasco, membri chiave dell’Irgc. L’Iran ha giurato di fare una rappresaglia. Cosa si aspetta?

RMG: Penso che gli iraniani continueranno con una sorta di guerra di basso livello contro Israele, cosa che hanno trovato piuttosto soddisfacente. Credo sia sempre importante ricordare che il leader supremo, Ali Khamenei, è stato piuttosto preciso nel descrivere come vede lo svolgimento della guerra: Israele perirà attraverso un lungo confronto, attraverso una lenta emorragia di felicità israeliana e di investimenti stranieri. Non muore in una catastrofe nucleare, né in un’enorme battaglia tra i due stati. Quindi, utilizzando questo standard, penso che la politica iraniana, questo asse di resistenza, abbia avuto un discreto successo e mi aspetterei che continuassero, ma non vogliono un’escalation. Gli iraniani hanno certamente dimostrato di essere spaventati dall’escalation israeliana e, poiché gli israeliani sono diventati un po’ biblici a Gaza, penso che gli Hezbollah siano nervosi per il fatto che la stessa cosa possa accadere a loro. E anche gli iraniani sarebbero nervosi, perché Hezbollah è il loro figlio prediletto. E’ un figlio indispensabile e non credo che Nasrallah voglia tornare indietro e ripetere quello che è successo nel 2006, quando fu costretto a fare un mea culpa a causa del disgusto dei libanesi. Non credo che vogliano assistere a un’altra grande invasione di terra, per cui vogliono mantenere un basso livello di guardia, e credo che questo dia loro molta soddisfazione. Per gli israeliani, d’altra parte, la situazione è brutta.

GB: Pensa che l’Iran risponderà all’attacco di Damasco?

RMG: Sì, devono farlo. Ho letto un po’ i siti web dei Corpi delle Guardie Rivoluzionarie, che di solito sono i migliori in questo campo, e penso che non vogliano fare qualcosa che provochi gli israeliani a fare un attacco diretto all’Iran. Quindi, idealmente, vorrebbero far saltare in aria qualche struttura diplomatica israeliana o americana, il che darebbe loro molta soddisfazione. Ora, questo è sempre più difficile da fare che da dire, quindi... La verità sull’Iran è che i suoi proxy sono piuttosto bravi in medio oriente, mentre non lo sono altrettanto al di fuori del medio oriente. Le reti di intelligence dell’Iran sono abbastanza buone, a volte eccellenti, nella regione. Non sono altrettanto valide al di fuori, quindi gli obiettivi che possono scegliere sono in qualche modo limitati. Non credo che vogliano fare qualcosa che porti l’amministrazione Biden ad attaccare direttamente l’Iran. C’è poi il fattore del programma nucleare iraniano: a che punto è? La mia opinione è che siano molto, molto vicini alla realizzazione di un’arma, che abbiano tutto ciò che serve ma che magari il leader supremo non abbia dato il via libera per assemblare finalmente un dispositivo. Se questo è vero, penso che a questo punto ovviamente non vogliano provocare nulla che possa degenerare in attacchi alle loro strutture nucleari. E’ un duello interessante, in particolare con Israele, perché gli iraniani hanno così tanti missili in Libano che potrebbero aver spostato, con successo, dei missili a medio raggio in Siria. E’ difficile saperlo perché gli israeliani in Siria li bombardano costantemente. Hanno circa 100.000, 150.000 missili. Potrebbero aver già dissuaso Israele con armi convenzionali, e questo è già qualcosa. Un nemico armato con armi convenzionali sta dissuadendo un nemico che ha delle armi nucleari. Quindi dobbiamo vedere. Penso che gli israeliani abbiano ancora la capacità di intensificare lo scontro abbastanza rapidamente, ma so che l’Idf è profondamente preoccupato per la capacità missilistica che forse gli Hezbollah e gli iraniani potrebbero avere verso Tel Aviv, prima che l’aviazione israeliana sopprimi i lanciatori.

GB:  Israele ha fatto abbastanza per dimostrare ai suoi numerosi nemici nella regione non solo la sua volontà, ma anche la sua capacità di contrattaccare e di mantenere la sua sicurezza? Oppure gli eventi degli ultimi sei mesi hanno in qualche modo cambiato il quadro, che si tratti della tensione Iran-Israele, dei proxy dell’Iran? Ci dia un quadro generale di come vede l’equilibrio di potere e il modo in cui si è o non si è spostato negli ultimi sei mesi.

RMG: In questo momento, devo dire che la battaglia a Gaza, la guerra, ha avvantaggiato Israele nei confronti di Hezbollah, che è la più grande preoccupazione di Israele, credo, al di fuori di uno scenario in cui i palestinesi in Cisgiordania e gli arabi israeliani dovessero intraprendere un’intifada. Gli Hezbollah, con tutti i loro missili, sono la più grande minaccia per Israele. E credo che la guerra a Gaza, essendo stata così distruttiva, abbia probabilmente avuto un effetto didattico positivo. Ora, per quanto riguarda il programma nucleare, non credo che la guerra di Israele contro i proxy dell’Iran abbia alcun effetto sul programma nucleare. Lo abbiamo visto nel 2006, dopo che gli israeliani hanno distrutto Hezbollah. Gli iraniani hanno immediatamente iniziato a espandere il programma nucleare. Sappiamo che è stato allora che hanno avviato il loro sito nucleare clandestino in Siria. E’ anche il momento in cui hanno avviato il sito sotterraneo di Fordow, vicino a Qom. Quindi gli iraniani hanno risposto aumentando il ritmo del nucleare, come logicamente ci si aspetterebbe. Quindi, da un lato, sì, questa guerra credo abbia aiutato la causa di Israele contro i suoi principali nemici locali. La diplomazia con cui gli israeliani speravano di fare una differenza significativa a livello regionale, in primo luogo con i sauditi e con gli Accordi di Abraham, credo sia fallita e probabilmente in modo permanente. Però non sono d’accordo con coloro che pensavano che in qualche modo la speranza di normalizzazione avrebbe fatto una grande differenza strategica per Israele. Non sono d’accordo, penso che sia stato in gran parte un miraggio, ma comunque ha dimostrato che l’Mbs non è affidabile e che l’intrusione dei cinesi in medio oriente, il successo della diplomazia che ha portato al Rappashmol iraniano e saudita, il fatto che gli Houthi non abbiano lanciato missili contro l’Arabia Saudita, dimostra che gli americani sono certamente meno influenti nella regione e che i governi locali se ne sono resi conto e che l’alleanza tra Iran, Cina e Russia è destinata a crescere. E’ diventata molto più stretta e non vedo perché non possa diventare ancora più profonda con il passare del tempo. Non è un bene per chi pensa che questo sia un male per l’Occidente e per gli Stati Uniti e il medio oriente. La prognosi non è affatto rosea. Dipende quindi se si vuole enfatizzare il lato positivo. L’aspetto positivo è che sì, per Israele la guerra a Gaza è stata una medicina per chi vorrebbero causargli un danno immediato. Ma in prospettiva, la strada è ancora molto difficile per Israele, soprattutto se pensa che ci sia ancora tempo per bloccare il programma nucleare iraniano.

GB:  Come dicevo, potremmo avere altri quattro anni di Biden, o altri quattro anni di Trump. Se lei fosse il loro consigliere, qual è la cosa giusta da fare per gli Stati Uniti date le circostanze che ha descritto?

RMG: Ho una visione primitiva su chi va a uccidere dei cittadini statunitensi, come hanno fatto ripetutamente gli iraniani, e cioè l’idea che si dovrebbe far piovere su di loro il fuoco dell’inferno. Penso che sia ormai tempo di farla pagare agli iraniani per le loro macchinazioni. Se potessi riavvolgere il nastro storico, vorrei davvero che George Shultz avesse vinto il dibattito nell’amministrazione Reagan nel 1983 dopo i bombardamenti degli americani a Beirut, in cui Shultz sostenne la necessità di una risposta diretta contro l’Iran. Lui perse, Casper Weinberger vinse. In quel momento penso che la storia sarebbe stata un po’ diversa se gli americani avessero effettivamente agito contro la Repubblica islamica. Anche in questo caso, penso che sia troppo tardi. La Repubblica Islamica, il regime clericale, ha certamente meritato di essere punito severamente per le sue azioni. Tuttavia, non mi sembra che questo sia avvenuto. Penso che gli americani, per ragioni molto comprensibili, ne abbiano abbastanza del medio oriente, e credo che l’orientamento, sia a destra che a sinistra, sia quello di fare di meno, non di più. Non vedo quindi un cambiamento fondamentale. Penso che si tratti di capire se gli americani si ritireranno lentamente oppure rapidamente.

(Traduzione di Giulio Silvano)

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