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l'editoriale del direttore

Quattro magnifiche storie sull'occidente che mostra i muscoli contro il pensiero illiberale

Claudio Cerasa

Cinema con Israele, vescovi tedeschi e imprenditori contro l'Afd, politici contro l’antisemitismo degli atenei. Piccoli ma coraggiosi segnali contro il pensiero unico oscurantista

Pensiero unico, ti spiezzo in due. L’immagine da boxeur offerta ieri dal presidente francese Emmanuel Macron ha acceso la nostra curiosità e ci ha spinti a interrogarci con toni non seriosi su tutto ciò che quello scatto può rappresentare, in una stagione in cui i grandi e piccoli leader democratici sono chiamati ogni giorno a rafforzarsi per rispondere alle minacce veicolate dai molti bulli illiberali che si affacciano in giro per il mondo.

I possibili significati di quello scatto li trovate oggi nel nostro girotondo (consigliamo vivamente alla signora Brigitte Macron di non leggere il commento di Mariarosa Mancuso). Ma la particolarità di quel fotogramma è che arriva in una fase politica e storica interessante durante la quale è possibile apprezzare alcuni tentativi eroici di mostrare i muscoli contro i nuovi mostri del pensiero illiberale.

Negli ultimi due giorni, giorni durante i quali molte università in giro per il mondo hanno continuato a impedire agli amici di Israele di esprimersi, giorni durante i quali molti politici in giro per il mondo hanno continuato a ricordare all’Ucraina che l’occidente non sosterrà una democrazia assediata per sempre, giorni durante i quali gli amici di Putin hanno mostrato di non avere alcuna vergogna a manifestare il proprio affetto riguardo all’eccellente sistema democratico russo, vi sono state occasioni importanti durante le quali i nemici del pensiero unico illiberale hanno dimostrato di avere ancora la forza di far valere le proprie idee.

Abbiamo selezionato quattro casi. Due tedeschi, uno francese, uno americano.

I casi tedeschi riguardano due meravigliosi tentativi di dare una sveglia al proprio paese sui rischi veicolati dall’ascesa degli estremismi politici. Il primo è stato messo in campo dalla Conferenza episcopale tedesca (Dbk) che ha esortato i fedeli a non votare per il partito di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD), giudicandone il nazionalismo etnico incompatibile con la fede cristiana (il cardinale Gerhard Ludwig Müller si è molto arrabbiato per questa presa di posizione). Il secondo è stato messo in campo da uno degli imprenditori più famosi della Germania, Reinhold Würth, che ha inviato una lettera a 25 mila dipendenti del suo gruppo esortandoli a non votare per l’AfD: “Faccio appello a tutti i cittadini e anche a voi, cari dipendenti, a riflettere su chi voterete alle varie elezioni”. Estremismo, ti spiezzo in due.

Nelle stesse ore, nella Francia di monsieur le président boxeur, il primo ministro Gabriel Attal, dopo una serie di manifestazioni antisemite a Sciences Po, si è presentato senza preavviso a una riunione del consiglio di amministrazione dell’università affermando che i responsabili dell’ateneo avrebbero dovuto fare qualcosa in più per contrastare le “minoranze attive e pericolose”, desiderose di minare la libertà di parola e di portare avanti atteggiamenti antisemiti.

Potrebbe bastare questo ma, scrollando le rarefatte timeline dell’ottimismo, c’è qualcosa di più e si trova anche una lettera magnificamente feroce firmata da alcuni attori ebrei e altre figure dello spettacolo che ieri hanno criticato duramente il regista Jonathan Glazer, che dieci giorni fa, nel suo discorso in cui celebrava la vittoria dell’Oscar del suo formidabile film “La zona d’interesse” dedicato alla vita famigliare di un comandante di Auschwitz abituato con sua moglie e i suoi figli a vivere con disinvoltura accanto a un campo di sterminio, si è avventurato in un’affermazione spericolata: “In questo momento, siamo qui come uomini che rifiutano la loro ebraicità e l’Olocausto, dirottati da un’occupazione che ha portato al conflitto così tante persone innocenti”. Dieci giorni dopo, mille donne e uomini dello spettacolo ebrei hanno firmato una lettera per criticare il regista premio Oscar: “Rifiutiamo che la nostra ebraicità venga derubata allo scopo di tracciare un’equivalenza morale tra un regime nazista che cercava di sterminare una razza di persone e una nazione israeliana che cerca di evitare il proprio sterminio. Ogni morte civile a Gaza è tragica. Israele non prende di mira i civili. Ha preso di mira Hamas. Il momento in cui Hamas rilascerà gli ostaggi e si arrenderà sarà il momento in cui questa guerra straziante finirà. Ciò è vero sin dagli attentati di Hamas del 7 ottobre. L’uso di parole come ‘occupazione’ per descrivere un popolo ebraico indigeno che difende una patria che risale a migliaia di anni fa e che è stata riconosciuta come stato dalle Nazioni Unite, distorce la storia. Dà credito alla moderna diffamazione del sangue che alimenta un crescente odio antiebraico in tutto il mondo, negli Stati Uniti e a Hollywood. L’attuale clima di crescente antisemitismo non fa altro che sottolineare la necessità dello stato ebraico di Israele, un luogo che ci accoglierà sempre, come nessuno stato ha fatto durante l’Olocausto descritto nel film di Glazer”.

Piccoli ma coraggiosi segnali contro il pensiero unico oscurantista, che ci permettono di ricordare che in occidente a mostrare i muscoli nel quotidiano per fortuna non c’è solo Macron.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.