Open Arms in partenza da Larnaca (foto Ansa)

operazioni rischiose

Per Ue e Usa la missione di Open Arms a Gaza è un esperimento da studiare

Luca Gambardella

La nave umanitaria è arrivata davanti alle coste di Gaza e si appresta a sbarcare 200 tonnellate di aiuti. "Europei e americani ci seguono con attenzione per vedere come fare con la loro Amalthea", dice la portavoce dell'ong. L'Onu avverte che vanno aperti i canali terrestri

La nave dell’ong spagnola Open Arms è arrivata questa sera al largo del nord di Gaza, concludendo la prima parte della missione umanitaria Safeena (vuol dire barca in arabo). Il piano ambizioso prevede ora la fase più complessa: scaricare le 200 tonnellate di cibo sulla terra ferma, distribuendo il materiale in sicurezza. È la prima volta dal 2005 che una nave è autorizzata a consegnare materiale umanitario direttamente a Gaza e le incognite su come evolverà questa prima missione sono diverse. Finora, l’ong ha tenuto il riserbo sui dettagli logistici proprio per tutelare l’incolumità dell’equipaggio, evitare assembramenti di persone e infiltrazioni di terroristi sulla costa che complicherebbero le operazioni. Responsabile della raccolta e della distribuzione di farina, riso, legumi e carne ai palestinesi nel nord della Striscia è la World Central Kitchen (Wck), l’organizzazione umanitaria dello chef stellato José Andrés che gestisce 60 cucine sparse per la Striscia. L’imprenditore di Barcellona ha condiviso alcune informazioni su X, fra cui un video che mostra delle ruspe intente a costruire un molo in un punto imprecisato della costa di Gaza usando i detriti delle abitazioni distrutte dai bombardamenti israeliani. “Potremmo fallire, ma il vero fallimento sarebbe non averci provato!”, ha scritto Andrés. 

    

   

In effetti i margini di errore sono minimi, mentre le attenzioni di Stati Uniti ed Europa sono rivolte all’esito di questa operazione umanitaria definita dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, una “missione pilota”. Perché nel frattempo, Stati Uniti, Ue, Regno Unito ed Emirati Arabi Uniti studiano l’altra operazione, denominata Amalthea, che condivide con quella privata metodi e obiettivi: fare arrivare a Gaza aiuti umanitari via mare, secondo fonti europee, ingrandendo il molo che in questi giorni è in fase di costruzione e che sarà usato da Open Arms. “Ma le operazioni restano assolutamente distinte, la nostra è una missione della società civile, privata”, spiega al Foglio Veronica Alfonsi, responsabile della comunicazione di Open Arms. 

   

Talmente privata che gli unici interlocutori statuali delle due ong sono stati Cipro – da dove è salpata la nave martedì scorso – e Israele, che controlla la navigazione al largo della Striscia e che ha già ispezionato il carico umanitario al molo di Larnaca. Lo scorso 8 marzo, in visita nella città cipriota, von der Leyen aveva accennato a una “partnership iniziata oggi con Wck”. “Siamo a Cipro da tre settimane e abbiamo passato gli ultimi 20 giorni a organizzare gli aspetti logistici. Non abbiamo avuto alcun aiuto dall’Ue per la nostra missione – ribadisce Alfonsi – ma abbiamo la sensazione che ci stiano osservando per capire come muoversi con Amalthea”. I piani delle ong prevedono un impegno per compiere anche altri viaggi. José Andrés ha annunciato ieri che, nel caso in cui la missione di Open Arms avesse successo, sarebbe pronta a partire da Larnaca una seconda nave molto più grande, il cargo Jennifer che batte bandiera della Guinea Bissau e con una capacità di migliaia di tonnellate. 

  

C’è poi il tema dei finanziamenti di Safeena. Secondo il sito di Wck l’operazione riceve denaro dagli Emirati Arabi Uniti. “Non mi risulta. I fondi per il cibo arrivano da Wck, con cui abbiamo collaborato anche in passato consegnando aiuti umanitari in Ucraina navigando lungo il Danubio”, ribatte al Foglio Alfonsi. Interrogato in proposito, il ministero degli Esteri di Abu Dhabi glissa a proposito della missione di Open Arms, ma ribadisce il suo sostegno all’apertura di un corridoio umanitario via mare verso Gaza e alla missione Amalthea. World Central Kitchen non ha invece risposto a una richiesta di informazioni inviata dal Foglio. 

 

Jens Laerke, dell’Ufficio di coordinamento per le questioni umanitarie dell’Onu, ha ricordato che “gli gli aiuti arrivati via mare o con lanci dal cielo non possono sostituire quelli via terra nel nord di Gaza”. Il corridoio navale non basta a risolvere la crisi umanitaria, come ha ricordato ieri Janez Lenarcic, commissario Ue per le Crisi umanitarie: “Sull’apertura di rotte marittime e aeree voglio essere chiaro: lo stiamo facendo solamente perché Israele non vuole aprire vie d’accesso terrestri”. Israele però ha dato la sua benedizione all’apertura del corridoio navale: “Ci assicureremo che gli aiuti siano consegnati a chi ne ha bisogno e non a chi non ne ha”, ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant. “L’apertura del corridoio marittimo aiuterà a distruggere Hamas”.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.