nessun negoziato

Per Putin Kyiv disarmata è un'occasione

Micol Flammini

Nell'intervista elettorale il capo del Cremlino dice che vincere è questione di vita o di morte, accusa l'occidente di tradimento e ritira fuori il rischio nucleare, alternando vittimismo e minaccia

Anche la Russia è in campagna elettorale. Sembra un paradosso in un contesto in cui si conosce già il risultato, in cui non ci sono dibattiti, gadget, bandiere, manifesti di un  partito o dell’altro, maschere, magliettine con la faccia di un candidato o dell’altro. Sulla scheda elettorale i candidati saranno quattro, ma si vede soltanto Vladimir Putin. Non esistono confronti, ma soltanto discorsi del capo del Cremlino, che ieri ha rilasciato un’intervista a Dmitri Kiselev, il volto più istituzionale della propaganda televisiva. Venerdì verranno aperti i seggi in Russia, si voterà fino a domenica e il presidente russo si è fatto vedere ancora una volta in atteggiamento elettorale, promettendo, rivendicando successi, minacciando, parlando di storia. Lunga parte dell’intervista è dedicata all’economia, perché è sui conti che i russi votano e sono mesi che il Cremlino insiste sui grandi successi dei conti russi nonostante le sanzioni. Ma Putin in campagna elettorale ha fatto anche promesse: salari più alti, meno tasse, infrastrutture. Ha detto ai russi che se ora tutto va bene andrà anche meglio perché i soldi ci sono. Kiselev, nel domandare a Putin dove troverà i soldi per fare tutto ciò che ha promesso, ha definito il piano del presidente “un paese dei sogni” e il capo del Cremlino ha spiegato che in sei anni – esattamente la durata del suo mandato – tutto cambierà. Tra sei anni Vladimir Putin avrà settantasette anni, conta di rimanere al suo posto, di aver preso l’Ucraina e di essere andato oltre. 


Basta una frase nell’intervista per capire che non ha alcuna intenzione di fermarsi, il progetto è ampio. Kiselev gli domanda se ci saranno trattative con l’Ucraina e con gli Stati Uniti e Putin, come sempre, parte da lontano per arrivare ancora più lontano. Parte da Istanbul, quando nel 2022 una delegazione ucraina e una delegazione russa si incontrarono per trattare, quegli incontri vennero interrotti dopo la scoperta di Bucha, che diede il senso di una guerra contro ogni civile ucraino: non era più questione di missili, ma di torture. Putin racconta a Kiselev che era stato raggiunto un accordo che David Arakhamia, il capo delegazione degli ucraini, aveva firmato. Mancavano i dettagli.  Ora quella bozza è conservata tra i faldoni del Cremlino con sopra la firma di Arakhamia che rappresenta, secondo Putin, l’inaffidabilità di Kyiv: il Cremlino racconta che  i colloqui vennero interrotti perché l’ex premier britannico Boris Johnson voleva una sconfitta della Russia  “sul campo di battaglia”. Poi Putin va indietro nel tempo, parla dell’allargamento della Nato, delle promesse tradite nel 2014, degli accordi di Minsk, degli occidentali che armavano “il regime di Bandera” mentre parlavano di tregua. Quindi, dice il presidente russo, Mosca non vuole più promesse e sarebbe “ridicolo” negoziare ora soltanto perché Kyiv non ha più munizioni: vuol dire che questo è il momento di approfittarsi della debolezza dell’Ucraina non certo di negoziare, è il tempo di andare avanti, non certo di fermarsi. Un esercito di Kyiv più armato, più forte, in grado di avanzare rappresenta, su ammissione di Putin, la prima garanzia per portare Mosca a negoziare, non il contrario. 


Il capo del Cremlino racconta che gli avversari utilizzerebbero una pausa dai combattimenti per riamarsi, quindi non conviene una tregua, lui vuole andare avanti e un avversario debole è proprio quello di cui ha bisogno. Putin continua a parlare di promesse tradite dall’occidente, delle sirene per convincerlo ad accordarsi, parla dei tradimenti che lui e il popolo russo hanno subito. Kiselev gli domanda: “Vladimir Vladimirovich, in qualche modo sembriamo troppo nobili. Succederà che ci inganneranno ancora?”. Il capo del Cremlino assicura che è proprio quello che vuole evitare, ma per questo servono garanzie. E’ ossessionato da Emmanuel Macron, che evita di nominare, come fa sempre con coloro che considera nemici o traditori, e sull’eventualità di truppe francesi in Ucraina dice che “i soldati occidentali sono presenti da tempo” e le parole degli alleati occidentali di Kyiv servono soltanto a spaventare Mosca. La seconda ossessione è la Polonia, che secondo Putin è pronta con i suoi soldati a entrare in Ucraina per riprendere le regioni “che considera storicamente sue e che le sono state tolte l dal padre delle nazioni, Joseph Vissarionovich Stalin, e trasferite all’Ucraina”. 


Putin vuole vincere, è pronto a tutto anche “alla guerra nucleare”, “se loro lo vogliono”. La minaccia nucleare all’inizio dell’invasione faceva effetto su molti leader internazionali e opinioni pubbliche, dal suo ultimo discorso alla nazione il capo del Cremlino ha ricominciato a parlarne: “Le armi esistono per essere usate”, ha detto Putin. Sostiene che per la Russia vincere sia questione di vita o di morte, per l’occidente si tratta soltanto di migliorare le sue posizioni. Quando parla di Russia, Putin parla di se stesso. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.