Quanto spende il Cremlino per divorare la mente dei russi

Micol Flammini

La guerra dell’informazione contro i cittadini segue tre categorie.  Un’inchiesta  racconta chi sono i collaboratori della propaganda, quanto il budget e quali i filoni

Roma. I progetti del Cremlino sono tutti a lungo termine, la pianificazione è necessaria affinché il  quinto mandato di Vladimir Putin, la guerra e l’annessione fedele e graduale dei territori occupati in Ucraina siano percepiti dai russi  come dei  successi indiscutibili. Il sito di inchiesta estone Delfi ha ottenuto dei documenti del Cremlino in cui viene evidenziata la spesa che il potere russo è disposto a fare e sta facendo perché la mente dei russi assorba e approvi le iniziative del presidente. La strategia è molto semplice, il potere russo semina e distrae e tutto passa con convinzione attraverso  una guerra dell’informazione che  Putin combatte contro i suoi stessi cittadini e per la quale spende fino a  1,1 miliardi di euro. Questa somma è divisa in tre categorie: elezioni presidenziali, informazione ideologica e zone occupate. 

 

La quota maggiore è destinata al lavaggio del cervello dei cittadini russi attraverso televisione, cinema, serie tv, videogiochi, annunci su internet: 631 milioni di euro è la cifra prevista per  la distruzione dell’opinione pubblica russa. L’informazione paga e il Cremlino paga l’informazione, così, secondo i documenti raccolti da Delfi, il presentatore e propagandista russo Vladimir Solovev ha ricevuto 15 milioni di euro dal bilancio statale russo nel 2023 e quest’anno la cifra dovrebbe aumentare a 30 milioni. Non tutto però passa per telegiornali o salotti televisivi, tanto può fare anche l’arte, soprattutto in un momento in cui il mercato cinematografico russo è impermeabile ad  alcune produzioni occidentali. Il Cremlino ha creato una vasta rete di organizzazioni che pensano a film da far uscire – circa due al mese – e che hanno come argomento la difesa dei valori tradizionali e il patriottismo. Nel periodo elettorale è prevista l’uscita di un film il cui personaggio principale è un giovane artista che abbandona la sua vita per combattere in Ucraina. Nel palinsesto non mancano film storici, compresa una serie televisiva dedicata alla vita di una spia nella Repubblica democratica tedesca che allude alla vita  del presidente russo, che ha lavorato con il   Kgb  a Dresda, all’epoca nella Germania orientale. Su Putin hanno sempre fatto un certo effetto i  film avventurosi su uomini disposti a tutto per la patria, la sua passione per lo spionaggio è nata proprio da agenti ritenuti leggendari, operazioni mitiche e patriottiche e rimase molto deluso quando la sua vita nel Kgb venne relegata a operazioni più amministrative  che di azione.

 

La squadra di ministri ombra della propaganda si occupa di programmi, di quando è bene far uscire i film in una messa in scena continua volta ad alterare la realtà russa. Quando Putin annunciò la sua candidatura alle elezioni che si terranno il 17 marzo, lo fece proprio con una messa in scena: il colonnello Artem Zhoga, comandante del battaglione Sparta della sedicente Repubblica popolare di Donetsk, lo pregò di candidarsi perché in tempi difficili la Russia aveva bisogno di lui. Il siparietto fittizio mostrato e rimostrato in televisione non era destinato al mondo esterno, ma a un pubblico che subisce il trattamento-propaganda da anni con una dose  aumentata dal 2022. Molto di questo lavoro di costruzione e distruzione di una coscienza russa è nelle mani di Sergei Kirienko, uno degli artefici di Putin oggi messo a dirigere il progetto presidenziale nei territori occupati. Ma l’analisi del budget e di quanto denaro è destinato a ciascuna delle tre categorie sottolinea una cosa: la guerra dell’informazione non è improvvisata e, al Cremlino, è la mente dei russi che interessa ancora più di ogni altra cosa. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.