Microchip - Getty Images

Nuove frontiere

Così la Cina aggira le sanzioni americane usando i chip a buon mercato

Pietro Minto

Nell’ottobre del 2022, il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha imposto pesanti sanzioni commerciali contro Pechino, che ha creato la "chiplet", una tecnica di progettazione che consente di produrre processori potenti assemblando chip meno avanzati

Nell’ottobre del 2022, il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha imposto pesanti sanzioni commerciali contro la Cina, con l’obiettivo di ostacolarne lo sviluppo dei chip, componenti fondamentali per qualsiasi prodotto elettronico. Da allora i legami commerciali con la Cina delle aziende statunitensi del settore, tra cui le leader globali Intel e Nvidia, sono severamente regolati, in una decisione con cui il governo statunitense ha voluto colpire soprattutto lo sviluppo di intelligenze artificiali, che necessita di chip e componenti particolarmente avanzati.
 

La Cina è quindi alla ricerca di alternative ai chip statunitensi, oltre che di modi per aggirare le sanzioni. Da una parte, il paese ha investito molto nello sviluppo di chip avanzati prodotti localmente, con risultati inaspettati e promettenti: lo dimostra lo smartphone Mate 60 Pro di Huawei, uscito lo scorso settembre e dotato di un chip che, tecnicamente, l’azienda cinese non dovrebbe avere. Si tratta del Kirin 9000s, un processore avanzato da 7 nanometri ritenuto troppo avanzato per le possibilità industriali cinesi, tanto da spingere gli Stati Uniti a indagare su un possibile aggiramento delle sanzioni da parte di Pechino. Secondo Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes e autore di “Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologica” (Feltrinelli, 2022), “le sanzioni hanno creato un enorme incentivo per lo sviluppo di una filiera interna” ed è probabile che “Huawei lancerà anche un nuovo prodotto significativo sull’intelligenza artificiale, anche se non potrà avvicinarsi a Nvidia”.
 

La seconda strada prevede il raggiungimento di prestazioni migliori con l’utilizzo delle risorse disponibili, in una tecnica di progettazione che viene chiamata “chiplet” e consente di produrre processori molto potenti assemblando insieme tanti chip meno avanzati che vengono stampati sullo stesso strato. In un sistema simile, ogni chiplet ha una funzione precisa – come la memoria o l’elaborazione dei dati – ed è collegato ad altri chiplet in un sistema unico, che ha prestazioni complessive molto migliori e risulta anche più economico da produrre. La rivista Technology Review del Mit li ha inseriti tra le tecnologie da tenere d’occhio nel 2024, soprattutto perché sembrano in grado di mantenere in vita la crescita descritta dalla legge di Moore, una delle più importanti dell’informatica.
 

La legge prende il nome da Gordon Moore, il cofondatore di Intel, che nel 1965, agli albori del settore, notò una particolarità dei chip: il numero di transistor che contenevano raddoppiava ogni anno (in seguito il dato fu aggiornato a due anni). Con i transistor, ovviamente, aumentava anche la loro potenza mentre il loro prezzo scendeva. La legge è ritenuta fondamentale perché è stata in grado di anticipare e descrivere la curva esponenziale a cui ci ha abituati il progresso informatico. Da allora il settore ha fatto passi da gigante: Intel produce da tempo chip contenenti 100 milioni di transistor per millimetro quadro mentre il chip M2 di Apple ne contiene in tutto 40 miliardi. Le prestazioni di quest’ultimo processore, che insieme al precedente M1 ha aperto una nuova fase per Apple, sono state rese possibili proprio dall’approccio modulare tipico dei chiplet. Non sorprende quindi che la Cina voglia puntare sulla tecnologia, anche se rimangono delle criticità. Non basta infatti unire chiplet diversi per creare processori più potenti: servono tecniche molto sofisticate di confezione, una tecnologia che viene chiamata “advanced packaging” e che sarebbe tra le priorità cinesi, secondo la Technology Review.
 

Questo sviluppo degli eventi era in parte prevedibile ed era già stato ipotizzato da alcuni addetti ai lavori. “Se leggiamo con attenzione i documenti della Casa Bianca del 2021,” ha detto Aresu, “vediamo che il tema dei chiplet era già presente, così come era noto il ruolo dell’azienda cinese Jcet, quindi un investimento in questo campo era prevedibile.” Anche Samsung e Intel, oltre che il colosso taiwanese Tsmc, si interessano da tempo a questa tecnologia, che rischia di rappresentare una falla nel sistema di sanzioni imposte dagli Stati Uniti. È quello che Aresu indica come il principale difetto di questi provvedimenti, che dimostrano “una certa fissazione con la narrazione dei cosiddetti ‘nanometri’ e dei chip ‘avanzati’, mentre esistono moltissime tecnologie ‘non avanzate’ che hanno un uso di grandissima importanza, dalla difesa all’automotive”.
 

Investimenti a parte, ogni sanzione e divieto implica la nascita di zone grigie, come quella denunciata da Gina Raimondo, segretaria al Commercio statunitense, che consentirebbe alle aziende cinesi finite nella lista nera di aprire altre società per poter accedere ai prodotti americani. La stessa Raimondo, lo scorso dicembre, ha criticato Nvidia per aver venduto nel mercato cinese dei processori per le IA depotenziati, con tanto di minaccia di ulteriore blocco. Ma il rischio principale per gli Stati Uniti è che le sanzioni finiscano per rafforzare la filiera cinese, già leader in altri settori tecnologici cruciali come quello delle batterie al litio. Il settore dei semiconduttori è infatti essenziale nella strategia di Xi Jinping, anche per via dei suoi legami con altri settori industriali in grande crescita, come quello delle auto elettriche.

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