Il secondo anniversario

Zelensky e noi

Paola Peduzzi

Prima l’ha sottovalutato Putin, ora lo fa parte dell’occidente. Che errore. L'inversione dell'onere della prova ha molto a che fare con la disinformazione del Cremlino. Il documento visto dal Washington Post, i putiniani in ascolto e una soluzione

Chuck Schumer, leader del Partito democratico al Senato americano, è arrivato a Kyiv per le celebrazioni dei 730 giorni dall’invasione su larga scala dell’esercito di Vladimir Putin e per raccogliere “prove dettagliate e forti” per dimostrare al Congresso a trazione trumpiana che blocca gli aiuti militari all’Ucraina che, se ben equipaggiati, gli ucraini possono vincere.

La missione primaria di Schumer, la più importante, è un’altra: ribadire il sostegno del governo americano alla difesa dell’Ucraina – un sostegno duraturo della maggior parte del Senato e della maggior parte dell’opinione pubblica americana ed europea. La minoranza trumpiana, ostile e cinica, è ancora appunto minoranza. Ma il fatto che Schumer debba portare a casa le prove del fatto che la  risposta alla domanda “l’Ucraina può vincere?” è “sì” mostra che cosa è cambiato nell’ultimo anno di guerra: allora si celebrava il fatto che Putin avesse sottovalutato Volodymyr Zelensky e gli ucraini; oggi Zelensky e gli ucraini sono ancora sottovalutati, ma da parte dell’occidente. Per quanto questa sia una constatazione mesta, non è del tutto tragica. Resta più probabile che, ben rifornita, l’Ucraina vinca piuttosto che Putin si fermi in seguito a un improbabile negoziato che oggi, nonostante le tante elucubrazioni, rimane senza connotati.

Ma l’inversione dell’onere della prova, in un anno, ha molto a che fare con i mezzi che Putin ha utilizzato oltre alle bombe sull’Ucraina e che sono stati amplificati da chi pensa che sostenere l’Ucraina sia  un capriccio politico e non una battaglia esistenziale. Questa settimana, il Washington Post ha visionato più di cento documenti redatti da un’intelligence europea che dimostrano che il Cremlino ha “ordinato a un gruppo di strateghi politici di utilizzare i social media e le fake news per spingere il tema ‘Zelensky è isterico e debole, ha paura di essere messo ai margini e quindi fa fuori i personaggi più pericolosi’”, in particolare il popolare generale Valeri Zaluzhny. Il risultato sono “migliaia di post e centinaia di articoli con notizie false creati dalle fabbriche di troll e circolati in Ucraina e in Europa”, con lo scopo “di destabilizzare la società ucraina”.

Il progetto è nato già da circa un anno, il suo responsabile è il vicecapo di gabinetto di Putin, Sergei Kiriyenko, che ha istruito la sua vice, Tatyana Matveeva, perché diventasse il suo braccio operativo. Gli obiettivi specifici erano quattro: screditare la leadership militare e civile di Kyiv; dividere l’élite ucraina; demoralizzare le truppe ucraine; disorientare il popolo ucraino. Negli incontri di monitoraggio del progetto organizzati su base settimanale, l’efficacia si valutava in condivisioni sui social e dati sulla popolarità dei leader ucraini. Anche “l’aumento di scontri pubblici” era considerato un buon indicatore. Uno dei messaggi che hanno avuto più successo, in questa classifica perversa compilata dai russi, è stato un video falso circolato su Telegram in cui i leader ucraini dicevano che lo scopo ultimo della guerra era combattere “fino all’ultimo ucraino”, cioè sacrificare tutto il popolo arruolabile per soddisfare la determinazione isterica di Zelensky di non fare la pace (cioè accettare la resa) con Mosca. Telegram è stato il canale privilegiato di questa campagna di disinformazione, ma è andato anche molto bene su Facebook (che non ha risposto alla richiesta di commenti) il filone: gli occidentali vogliono sostituire Zelensky con Zaluzhny; anche quello “la democrazia è stata liquidata” da Zelensky è andato forte, soprattutto quando c’è stato tutto il pretestuoso dibattito sulle elezioni ucraine posticipate. Gli esempi citati nei cento documenti sono tanti, c’è anche il refrain sulla stanchezza occidentale, gli alleati che abbandonano l’Ucraina e naturalmente Kyiv che non può più vincere. C’è anche questo dettaglio: i russi erano disposti a pagare fino a quasi 40 mila dollari per piazzare commenti pro russi nei principali media europei: non si sa se i tentativi abbiano avuto successo, ma almeno qualche trattativa c’è stata se un funzionario russo coinvolto nel progetto ha dichiarato di aver offerto “anche il 20 per cento in più”.

Leggere tutta la storia recente ucraina con la lente della disinformazione è sbagliato, ma anche ignorarla lo è. Non è la prima volta che vediamo all’opera la macchina putiniana della distorsione della realtà: non essendo riuscito a uccidere Zelensky né a farlo scappare, Putin ha deciso di stritolarlo con le bombe e minandone popolarità e reputazione. Se gli ucraini restano uniti, pur avendo democraticamente opinioni diverse e anche pessime sul loro presidente, in occidente le cose sono andate diversamente. Per questo Schumer deve rispondere alla domanda: “L’Ucraina perderà la guerra? Se diamo loro le armi, possono invece vincerla?”. La ragione per cui la risposta non è più quella che è stata è che il mondo trumpiano – contiguo alle operazioni di disinformazione russe – ha lasciato intendere che le armi agli ucraini sarebbero sprecate. Di nuovo, la notizia è mesta ma non del tutto tragica: diamogliele, le armi, che Zelensky le sappia usare è già provato.
 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi