Il regista di Sound of freedom, Alejandro Gomez Monteverde (foto Ap)

stati uniti

Lo strano caso del film caro all'universo Maga che piace ai cattolici conservatori

Marco Bardazzi

“Sound of Freedom” sta riscuotendo un grande successo nella destra trumpiana. Una grossa operazione di marketing promossa per lo più da un certo mondo cattolico

Cosa mai può esserci di criticabile in un film che denuncia la pedofilia e fa luce su terribili traffici di minori a scopo sessuale? Di per sé niente, ovviamente: è compito del cinema cercare di scavare anche nelle peggiori perversioni e puntare i riflettori su stati canaglia e istituzioni che non fanno abbastanza per combattere piaghe come questa. Ed è proprio quello che fa “Sound of Freedom-Il canto della libertà”, un film che dopo essere diventato un caso l’estate scorsa negli Stati Uniti, da qualche giorno è sbarcato in Italia ed è protagonista di un significativo passaparola, che riempie sale grandi e piccole. Costato 40 milioni di dollari, il film di Alejandro Monteverde interpretato da Jim Caviezel (il Gesù della “Passione” di Mel Gibson) ne ha già guadagnati 250 in tutto il mondo e continua a crescere come fenomeno lontano dai riflettori del grande pubblico, ma spinto da associazioni e appassionati che in buona parte si riconoscono in alcune realtà del mondo cattolico.

 

Niente di strano, dunque: solo un successo cinematografico. O forse no. In realtà “Sound of Freedom” è parte di un fenomeno più complesso, che ha preso il via esattamente venti anni fa, nel 2004, proprio con la “Passione” di Gibson. L’attore sfidò Hollywood e il mondo dei media proponendo un racconto degli ultimi giorni della vita di Cristo di grande intensità, ma anche molto controverso. Il film fu accusato tra l’altro di mettere in croce più gli ebrei che Gesù e divenne un’opera artistica di riferimento per la destra cattolica. Da allora l’ecosistema dei conservatori americani è molto cambiato, sono nati prima i Tea Party, poi il movimento Maga (Make American Great Again) di Donald Trump e i film “in stile Gibson” sono diventati sempre più un fenomeno identitario. E’ successo con la serie tv “The Chosen”, sempre dedicata a Gesù, accade ora con “Sound of Freedom”. 
Sarebbe forzato bollare il film di Monteverde come “trumpiano”, ma è un dato di fatto che il successo in America è arrivato grazie all’endorsement da pare dell’universo Maga. L’ex presidente lo scorso luglio organizzò una proiezione privata di “Sound of Freedom” per centinaia di ospiti nel suo golf club in New Jersey e lodò a lungo il film, alla presenza di Caviezel. Personaggi di punta del mondo Maga come il senatore Ted Cruz lo hanno promosso dovunque. Ivanka Trump ha twittato il suo sostegno al film. Elon Musk si è offerto di promuoverlo su X. La casa di produzione, Angel Studios, è tra le favorite nelle convention della destra religiosa. Il produttore è Eduardo Verástegui, un attore e cantante messicano che ha avuto un ruolo di consulente nella prima amministrazione Trump ed è una presenza fissa alle Cpac, le conferenze dei conservatori. 

 

Sarebbe scorretto anche indicare – come alcuni hanno fatto sui media americani – un legame diretto tra “Sound of Freedom” e le teorie cospirative americane come QAnon, che sostengono l’esistenza di un deep state a Washington controllato dai democratici che sarebbe coinvolto in traffici di minori. Il mondo di QAnon, alle cui convention è stato ospite anche Caviezel, è stato protagonista dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 e continua ad alimentare teorie folli che inquinano i pozzi della politica americana. Ma nonostante sia un film sulla pedofilia, in “Sound of Freedom” non c’è traccia di riferimenti a QAnon. Anche perché è stato realizzato diversi anni fa, prima dell’esplosione del fenomeno dei cospiratori trumpiani, ed è rimasto a lungo in un cassetto

 

Quindi, è solo un film? In realtà no, è parte di una gigantesca operazione di marketing che va avanti da anni, promossa soprattutto da un certo mondo cattolico, che punta a promuovere prodotti costruiti per essere spinti con la consueta etichetta “ecco quello che non vogliono farti vedere”, accompagnati da una narrazione che li fa sembrare un antidoto al mainstream. Qualunque cosa sia oggi, questo mainstream, nell’era digitale. Un approccio da perseguitati costretti a stare nelle catacombe, che è proprio ciò che crea il passaparola di successo su operazioni che finiscono per assumere una forte connotazione identitaria. Niente di male, basta esserne consapevoli e non pensare che sia “solo un buon thriller”.

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