Manifestazione in Israele - foto Ansa

Il paradosso

L'occidente non può tollerare che Israele si sottragga al proprio destino

Michele Silenzi

La vittima che rinnega se stessa diviene pietra dello scandalo. Israele però  non solo si sottrae al ruolo di vittima, dentro cui l’occidente l’aveva catalogata, ma addirittura diventa, nell’ottica occidentale, produttore di vittime

In Origine della cultura e fine della storia, uno dei suoi ultimi libri, un ancora lucidissimo Renè Girard, tirando i fili di tanta parte del suo pensiero, così risponde all’intervistatore incredulo che, avendo seguito il suo discorso, gli chiede se, a dispetto delle apparenze, il mondo si stia facendo sempre più cristiano: “Sì, e questo rende il fenomeno ancora più paradossale, perché è più semplice recuperare i princìpi biblici se non si sa che sono biblici […] Quando i nostri intellettuali […] pensavano che gli assolutismi fossero scomparsi, si stavano semplicemente sbagliando: il principio della difesa delle vittime è il nuovo assoluto”.


L’intuizione di Girard, ossia quella di un paradossale cristianesimo divenuto religione universale di difesa della vittima elevata a nuovo assoluto, è illuminante per leggere tanta parte del nostro tempo. Il laicismo onnidiffuso aveva bisogno di una fede. Questa fede è la fede nella vittima che può declinarsi oggi sotto un’infinità di figure: dal gender alle diseguaglianze economiche passando per le apocalissi climatiche. La vittima in tal modo si colloca al centro di qualsiasi predicazione tanto religiosa quanto laica. Una predicazione che si declina attraverso la necessità di empatizzare con le vittime, a tal punto che la vera missione diviene quella di fare in modo che non ci siano più vittime. Questa missione salvifica è la componente religiosa delle nostre società, e tale paradigma vittimario evidenziato da Girard è illuminante per leggere l’atteggiamento occidentale nei confronti di Israele. 


Gli ebrei, vittime assolute del Novecento, forse l’emblema della vittima di ogni epoca per il livello dell’orrore di cui sono stati protagonisti, nella narrazione diffusa hanno ricevuto lo Stato di Israele come una sorta di compensazione per ciò che avevano subito. E Israele è stato “sopportato” nel corso degli ultimi ottant’anni in virtù del tragico destino storico del suo popolo. La vittima aveva nell’ebreo la sua immagine più esatta. Però, si sa, il tempo leviga tutto, sia da una parte che dall’altra. Israele rinnega il proprio ruolo di vittima, rinnega il destino assegnatogli. Vuole vivere secondo le proprie regole. Si sottrae al destino assegnatogli di vittima assoluta facendo una guerra che chi si trova lontano da lì non capisce. In questo modo Israele si sottrae alla narrazione di vittimizzazione totalitaria che innerva le politiche, o almeno le narrazioni politiche (ma dov’è il confine?), dell’occidente. Ma così facendo Israele diviene la vittima che rinnega se stessa, che si sottrae al destino assegnatogli. Intollerabile per un occidente “cristianizzato”, come dice Girard, sotto il dominio della vittima come nuovo assoluto. Così Israele diviene pietra dello scandalo. Israele però non solo si sottrae al ruolo di vittima, dentro cui l’occidente l’aveva catalogata, ma addirittura diventa, nell’ottica occidentale, produttore di vittime. 


La modestia delle parole dei politici europei su Israele, gli sterili appelli al cessate il fuoco indipendentemente dal livello di sicurezza garantito dall’azione militare, mostra la modestia non solo della classe dirigente ma dello spirito di un quadrante sociale e culturale che sembra aver perso il senso stesso della propria esistenza.  Israele, invece, non ha perso il senso della propria esistenza perché da sempre deve combattere per sopravvivere. Israele è lo scandalo perché, luogo supremo dell’occidente, fa ciò che l’occidente non accetta che sia fatto: tutto il necessario, anche con violenza, per sopravvivere (del resto, per combattere, bisogna sapere perché lo si fa). Un tale destino tragico, inteso come necessario sottrarsi al mito della pace perpetua in cui non ci siano più vittime, inteso come riconoscimento del conflitto che sta al cuore della dinamica del mondo, è ciò di cui Israele è testimonianza intollerabile per l’occidente. Israele, infatti, non può essere ridotto all’immagine di un satrapo orientale assetato di conquiste. È la vittima che si rivolta contro il suo destino di vittima. La violenza e le nascite in aumento. Lo spirito di etnie e religioni diverse sempre in contrasto tra loro. La tremenda bellezza delle sue giovanissime soldatesse armate accanto alla libertaria scena gay di Tel Aviv. La sbalorditiva avventura dei coloni, dura e violenta da un lato ma stupefacente per chiunque vada a vedere come hanno fatto fiorire il deserto, vivendo spesso in terribili accampamenti fortificati. È questo vivo strutturale conflitto l’anima stessa di un luogo che è immagine di un destino che non vuole essere ridotto alla pace della vittima.
 

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