Javier Mileri (Tomas Cuesta/Getty Images)

L'ideologia

Il pensiero di Milei è radicale, ma non clownesco

Andrea Venanzoni

Le recenti esternazioni del presidente argentino sullo stato come “associazione criminale” hanno indignato anime belle di un certo progressismo. Ma quello che dice non è così diverso dai concetti espressi da Marx

"Solo la superstizione politica immagina ancora oggi che la vita civile debba di necessità essere tenuta unita dallo stato”. La frase non risale a un qualche teorico libertario o anarco-capitalista caro al presidente argentino Javier Milei, le cui recenti esternazioni sullo stato come “associazione criminale” hanno indignato anime belle di un certo progressismo dimentico del suo stesso pantheon dei riferimenti culturali, veri o presunti. È infatti una frase di Friedrich Engels e  Karl Marx ed è tratta dal loro volume “La sacra famiglia”. D’altronde che lo stesso Marx non tenesse in gran conto lo stato, sia nella sua articolazione borghese-capitalistica, da distruggere e superare, sia in chiave teorico-generale è testimoniato tanto dalla mancanza di una organica teoria marxiana dello stato, in aperta rottura con la precedente tradizione filosofica, nella ellissi concettuale che andava da Hobbes a Locke e Kant, quanto nella visione di uno stato inteso come dominio di classe. 


Non per caso, il comunismo dovrà atteggiarsi, nella prospettiva di Marx, quale forza di superamento dello stato di cose. Perché lo stato, annota Marx in “L’ideologia tedesca”, “non è altro che la forma di organizzazione che i borghesi si danno per necessità, tanto verso l’esterno che verso l’interno, al fine di garantire reciprocamente la loro proprietà e i loro interessi” e assieme a Engels ne “Il Manifesto del Partito comunista” si arriverà a paventare la fisionomia funzionale stessa dello stato come un comitato di amministrazione degli interessi borghesi. In realtà, sin dalle teorizzazioni di Jean Bodin e di Thomas Hobbes sulla sovranità, il Leviatano statale ha iniziato ad assumere la morfologia minacciosa e spaventosa, tanto simbolicamente quanto pragmaticamente, di un mostro la cui violenza veniva resa legittima per evitare la paura del vuoto, anarchico, di uno stato di natura devoluto al caos.  

La frase di Milei sulla natura intrinsecamente criminale dell’associarsi umano sotto condizione di stato, mutuata dal pensiero di Murray Rothbard, va certo letta nell’alveo di una tradizione filosofico-politica neo-giusnaturalista e libertaria, ma di certo la stessa non risulta poi così scandalosa e isolata come pure, polemicamente, alcuni vorrebbero far credere. Se per i marxisti a essere “furto”, quindi criminale, è la proprietà privata e lo stato stesso si atteggia quale comitato di interessi, per gli anarco-capitalisti e in generale i libertari, compresi i minarchisti sostenitori di uno “stato minimo”, lo stato è una modulazione violenta di associazione che attraverso la coercizione legittimata dalla produzione legislativa vìola la proprietà privata, nei fatti espropriandola a mezzo della tassazione. Tassazione che Rothbard definisce non casualmente “furto”, assonando, sia pure seguendo linea concettuale radicalmente altra, con il lessico marxiano. 


D’altronde nella sua intervista a Nicola Porro, Milei ha anche reso più evidente, più chiaro e assai meno provocatorio il riferimento al quoziente “criminale” dello stato, citando la teorica del “bandito stanziale”. Come è noto, la stessa risale all’economista Mancur Olson, tra i maggiori teorici della scuola di public choice e tra i massimi assertori della “razionalità strumentale”. Secondo Olson, in un ipotetico stato di natura popolato da predoni nomadi, gli stessi avrebbero interesse a derubare nella maniera più distruttiva possibile, mirando solo a ottimizzare i loro bottini. Ma un ipotetico “bandito stanziale”, ovvero un bandito resosi governante, avrebbe al contrario, anche per fini di mera sopravvivenza politica, interesse a garantire ai suoi sudditi-cittadini un qualche livello di benessere. Se ci si pensa, al netto di alcune salienti diversità politico-filosofiche, si tratta di una visione che assume accenti non dissonanti dalla lotta tra agenzie di protezione connotanti l’origine del momento statale nel pensiero di Robert Nozick e dei minarchisti. 

La frase di Milei, quindi, non aveva nulla di pagliaccesco o di concettualmente gratuito. Nonostante ai polemisti di casa nostra piaccia descrivere il presidente argentino come uno pseudo-grillino, flamboyant e circense, andrebbe ricordato agli stessi come Milei sia persona dal milieu rilevante, in grado di diffondersi nell’analisi  dei dossier, nello studio e nella citazione non fine a se stessa, ma sempre adeguatamente contestualizzata, degli autori che reputa stella polare, in positivo o in negativo, della sua azione politica. Anche quegli autori che agli inorriditi esponenti di certa sinistra culturale dovrebbero essere cari.

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