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La bozza

Cosa prevede l'ultimo accordo su cessate il fuoco a Gaza e ostaggi. Il piano per Rafah 

Fabiana Magrì

La proposta più realistica sul tavolo prevede uno stop al conflitto di sei settimane durante il quale tutti gli ostaggi israeliani a Gaza verrebbero liberati, con la garanzia di ulteriori negoziati per una tregua permanente. Intanto si studia come evacuare gli sfollati

Tel Aviv. La bozza dell’accordo tra Israele e Hamas è nella “fase finale”, secondo un funzionario del Cairo che ha parlato di un progresso “relativamente significativo”. La proposta più realistica sul tavolo prevede un cessate il fuoco di sei settimane durante il quale tutti gli ostaggi israeliani a Gaza verrebbero liberati, con la garanzia di ulteriori negoziati per una tregua permanente. I vertici dei servizi segreti statunitensi ed egiziani – il direttore della Cia William Burns e quello del Mukhabaràt Abbas Kamel – e il primo ministro del Qatar Sheikh Mohammed bin Abdulrahman al Thani ne hanno parlato prima con la delegazione israeliana – i capi del Mossad David Barnea e dello Shin Bet Ronen Bar e il consigliere di politica estera del governo, Ohir Falk, per la prima volta presente nella negoziazione – inviata all’ultimo momento dal premier Benjamin Netanyahu. Poi hanno atteso l’arrivo degli inviati di Hamas, rappresentati dal numero due di Yahya Sinwar, Khalil al-Hayya, arrivati da Doha. (Magrì segue nell’inserto III)

La cautela, espressa da qualunque fonte vicina ai negoziati, è d’obbligo. Ma le aspettative questa volta sono concrete. Il Forum delle famiglie degli ostaggi ha rivolto un appello a Mossad e Shin Bet di “tornare dal Cairo con un accordo”. L’annuncio dell’imminenza dell’operazione di terra a Rafah, anticipata dal successo della missione di salvataggio dei due prigionieri israeliani Fernando Marman e Louis Har, ha apparentemente smosso le agende di tutti, alleati e nemici. “Diciamo che questa operazione non sarebbe stata eseguita se non fossimo bloccati nella trattativa per salvare tutti i nostri ostaggi”, ha commentato l’ex comandante dello Yamam David Tsur in un briefing per la stampa cui ha partecipato il Foglio. “Ma purtroppo – ha aggiunto – vediamo che si tratta di una trattativa molto cinica e complicata per raggiungere questo obiettivo. Sappiamo che le distanze sono enormi. Non credo che la prima risposta all’accordo di Parigi fosse ragionevole”.

Nell’apparecchiare il tavolo delle trattative, Israele non ha dimenticato le preoccupazioni per la popolazione civile espresse in modo sempre più duro dagli Stati Uniti. A quanto ha riferito il Wall Street Journal, il piano per l’evacuazione degli sfollati nell’ultima città di Gaza prima della barriera con il Sinai sarebbe stato elaborato e presentato all’Egitto negli ultimi giorni. I luoghi individuati per mettere al sicuro gli abitanti di Gaza sono 15, ognuno con 25 mila tende, tra il nord di Rafah e la periferia sud di Gaza City. Secondo fonti egiziane citate dal Wall Street Journal, Israele stima che i costi dei campi e delle relative strutture mediche sarebbero a carico degli Stati Uniti e dei paesi arabi. Le indiscrezioni, per il momento, sono state accolte da un “no comment” dell’ufficio di Netanyahu ma Tsur, che è stato anche comandante del Magav, la polizia di frontiera, è sicuro che il coordinamento con l’Egitto sia in atto. L’operazione a Rafah sarà la più grande e decisiva dopo Khan Yunis. E ha importanti ricadute sul corridoio Filadelfia, i 14 chilometri di zona cuscinetto all’interno della Striscia che va da ovest a est fino a Kerem Shalom e insiste sui due unici checkpoint attivi, Kerem Shalom e Rafah appunto, per gli aiuti umanitari in entrata a Gaza. “Sfortunatamente – dice l’analista militare che ha gestito il confine per due anni – il presidente egiziano al Sisi e il primo ministro Netanyahu non si parlano molto. Ma a livello di intelligence, anche se è passato del tempo, c’è un’ottima collaborazione con il partner dall’altra parte”. La sinergia operativa nasce dalla comprensione delle reciproche esigenze, secondo Tsur, di “fermare il contrabbando” attraverso i tunnel che passano sotto la barriera tra Gaza e il Sinai. “So che gli egiziani stanno lavorando su questo, ma sicuramente quello che vediamo ora a Rafah non è sufficiente e dovranno fare di più. Ed è qualcosa che stiamo coordinando con gli egiziani”, dice. 

In un commento sul principale quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, Nadav Eyal scrive che “gli americani e l’intera regione presto vedranno il successo dell’Idf nella Striscia di Gaza per quello che è. I fatti parlano da soli. Ma gli alleati di Israele non se ne accorgeranno se Gerusalemme non riuscirà a plasmare una realtà migliore una volta che avremo in mano la maggior parte delle carte”. La questione, per il commentatore esperto in affari internazionali e medio oriente, era e rimane “se Israele avrà i mezzi per capitalizzare i risultati ottenuti per produrre una nuova realtà. Una realtà in cui gli aiuti umanitari non finiscono nelle mani di Hamas. Una realtà in cui Hamas non è in grado di risorgere dalle ceneri per iniziare a ricostruire le sue capacità”. Un fallimento della leadership politica israeliana sul dopoguerra a Gaza, sulla capacità di “fare ciò che è necessario affinché Gaza non ritorni a essere una minaccia”, potrebbe fare la differenza tra “vincere le battaglie e perdere la guerra”, dice ancora. Ora che, sostiene Eyal, le proposte per un accordo appaiono più realistiche, così come la possibilità di normalizzare i rapporti con altri attori decisivi nella regione, “Israele ha una rara finestra di opportunità – e la capacità – di sfruttare la guerra per produrre un cambiamento profondo e positivo”. 

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