L'operazione
Ecco come Israele ha liberato due ostaggi a Rafah. Gli impatti sul negoziato
Il ritorno di prigionieri e l’arrivo al Cairo di Burns. Per il premier Netanyahu “solo una costante pressione militare, fino alla vittoria totale, ci porterà al rilascio di tutti gli israeliani nella mani di Hamas". Le due opzioni non alternative
Tel Aviv. La finestra per la riuscita dell’operazione era strettissima. Da tempo l’esercito israeliano preparava l’azione di salvataggio. E il primo ministro Benjamin Netanyahu l’aveva approvata già diversi giorni fa. Nella notte tra domenica e lunedì, precisamente all’1.49, gli agenti dello Shin Bet e le forze speciali dell’unità d’élite antiterrorismo della polizia Yamam si sono avvicinati a un edificio residenziale nel cuore di Rafah. Le informazioni in tempo reale dell’intelligence avevano confermato la presenza, in un appartamento al secondo piano, di due ostaggi, Fernando Simon Marman (61 anni compiuti in cattività) e Louis Har (70). Tre terroristi, ha dettagliato il portavoce militare di Tsahal, Daniel Hagari, in un briefing poco dopo l’alba, li sorvegliavano sul posto. Altri erano sparsi nell’edificio e in quelli intorno. I soldati israeliani hanno sfondato la porta dell’appartamento con gli esplosivi e in pochi istanti hanno ucciso i tre di guardia. Entro un minuto dal salvataggio, l’Aeronautica israeliana ha coperto l’operazione con massicci attacchi aerei dal cielo sulla zona.
Sotto il fuoco nemico, i soldati proteggevano i due ostaggi liberati facendo loro da scudo con i propri corpi. Negli intensi scontri a fuoco e combattimenti lungo il percorso, un centinaio di palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano: “Terroristi di Hamas”, ha detto Tsahal. L’organizzazione islamica parla di “orribile massacro contro civili indifesi e bambini, donne e anziani sfollati”. I veicoli blindati dell’esercito hanno infine caricato a bordo gli israeliani e li hanno condotti alla zona sicura da dove un elicottero militare li ha portati in Israele, allo Sheba Medical Center di Ramat Gan dove si trovano sotto osservazione. Marman e Har sono apparsi in buone condizioni di salute, a detta sia del personale della struttura sanitaria sia dei famigliari. Stupore, commozione e incredulità sono state le prime reazioni dei parenti. “Se sono sani nello spirito e nel corpo, è ancora difficile da sapere. Ma sembrano interi”, ha detto il genero di Louis Har, Idan Bejerano, a Channel 12. Il suocero, ha aggiunto, sembrava addirittura “molto preoccupato per tutti noi”. Dai primi resoconti clinici, è emerso che i due “sono stati affamati per giorni” e “sono tornati a casa molto deboli” e sottopeso. Erano stati rapiti il 7 ottobre nel Kibbutz Nir Yitzhak, proprio a pochi chilometri di distanza dalla città più meridionale della Striscia di Gaza dove sono stati tenuti sotto sequestro per 128 giorni. Hanno entrambi doppia cittadinanza israeliana e argentina. Il presidente Javier Milei, che solo pochi giorni fa aveva visitato Israele, ha diffuso sulla piattaforma X un ringraziamento “alle Forze di difesa israeliane, allo Shin Bet e alla Polizia israeliana per aver completato con successo il salvataggio degli argentini Fernando Simon Marman e Louis Har”.
L’impresa notturna è stata diretta dal Centro di comando centrale in Israele, dove a seguire ogni mossa c’erano il ministro della difesa Yoav Gallant – che l’ha definita “un’impressionante operazione di salvataggio” – e il primo ministro Benjamin Netanyahu che ha parlato di “una delle operazioni di salvataggio di maggior successo nella storia dello stato di Israele”. In giornata il premier ha reso omaggio ai combattenti dell’unità antiterrorismo, insieme con il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, per ascoltare da loro il racconto dei momenti più drammatici e complessi. Netanyahu ha condiviso con i soldati le tre cose a cui ha pensato dopo aver dato luce verde alla missione. “Primo, la sua natura sacra. Secondo, i rischi in relazione alle possibilità, e i rischi c’erano. Terzo, ho pensato a voi, i combattenti. E a cosa sarebbe successo nel momento decisivo. Perché per esperienza so che in quel momento il divario tra la vittoria e la tragedia è di un millimetro”.
Ma la giornata è stata un misto di gioia e tristezza per Israele. La liberazione degli ostaggi non ha mitigato la tristezza per due soldati caduti in una differente parte di Gaza. E naturalmente, come ha voluto sottolineare il Forum delle famiglie dei rapiti, ci sono ancora 130 israeliani in mano a Hamas nella Striscia. Tra loro almeno 31 risultano secondo l’intelligence militare, già morti.
Con l’arrivo del capo della Cia, William Burns, al Cairo – si dibatte ancora la decisione di Israele sulla partecipazione del proprio establishment di sicurezza – si vedrà quale peso sulle trattative avrà il risultato portato a casa dall’esercito. Hamas aveva minacciato che se Tsahal fosse entrato “boots on the ground” a Rafah, avrebbe mandato per aria i colloqui sull’accordo. L’ex comandante dello Yamam David Tsur pensa che le due opzioni – portare avanti contemporaneamente altre operazioni militari di salvataggio e i negoziati – non siano alternative. “Se abbiamo una finestra di opportunità – ha detto in un briefing con la stampa cui ha partecipato il Foglio – ovviamente la useremo. Allo stesso tempo possiamo andare avanti nella negoziazione. Sappiamo che le distanze tra le parti sono enormi e che la risposta che ci è stata data da Hamas all’accordo di Parigi non era ragionevole”.
Per il premier Netanyahu, l’operazione di salvataggio dimostra che “solo una costante pressione militare, fino alla vittoria totale, ci porterà al rilascio di tutti i nostri ostaggi”. Un commento rivolto anche agli alleati di Israele, Stati Uniti inclusi, che stanno esprimendo forte contrarietà a un’operazione estesa a Rafah.
Fabiana Magrì
Isteria migratoria