Nikki Haley - foto Ansa

Primarie flop

Nessuno vs Haley: 1 a 0. La sconfitta della repubblicana in Nevada

Giulio Silvano

La decisione di optare per le primarie anzichè per il tradizionale caucus in Nevada non ha premiato l'ex ambasciatrice Onu che è arrivata seconda dietro "Nessuno di questi candidati". Mentre Trump, assente, continua a esercitare la sua influenza tra i repubblicani locali

Le primarie del Nevada non contano nulla. Chi vota non sceglie davvero i delegati che verranno mandati alla National Convention e che a loro volta sceglieranno il candidato alla presidenza. Nikki Haley è arrivata seconda, con 19.849 voti. Primo è arrivato “Nessuno di questi candidati”, con 39.876 voti. Donald J Trump non ha partecipato. Situazione abbastanza imbarazzante per l’ex ambasciatrice Haley, l’unica che resiste nel campo repubblicano contro Trump. Il manager della campagna di Haley ha subito detto: “Il Nevada non è mai stato una nostra priorità, non ci abbiamo investito”. È stata molto impegnata in South Carolina, il suo stato, quello dove è stata governatrice, dove non vuole assolutamente fare una figuraccia. Sta mettendo tutte le sue uova lì. Vuole arrivare al 5 marzo, al Super Tuesday.  

È chiaro che il suo elettorato non è quello del deserto del Nevada, come hanno dimostrato i numeri nel più scolarizzato New Hampshire, nelle città d’élite della costa est. E non è un caso che, data la sua bolla, sia andata questo week-end a fare uno sketch nel salottino del Saturday Night Live, tempietto progressista o comunque college-educated, dove ha detto: “Ho sbagliato, dovevo dirlo subito che lo schiavismo è stata la prima causa della Guerra Civile”, davanti a un’attrice di The Bear.  Il sistema delle primarie a volte è confuso e complicato. In Nevada si è sempre tenuto un caucus. Ma visto il sistema datato, e le polemiche dopo le elezioni del 2020, si era deciso di fare delle primarie. Il partito repubblicano filotrumpiano però ha deciso di scegliere comunque i suoi delegati attraverso il caro vecchio caucus – dove bisogna andare di persona, e non si può votare per posta o elettronicamente ma alzare la mano e discutere. Così un doppio appuntamento. E al primo Trump non ha nemmeno partecipato – va detto che è molto impegnato coi processi – mentre conta di portarsi a casa i 26 delegati con il caucus dell’ 8 febbraio. Mentre Haley ha scelto di non partecipare al caucus, preferendo le primarie. Una sfida traslata tra i due, non diretta, dove il vincitore è comunque Trump.

I numeri del Nevada non sono indicativi dell’elettorato nazionale – così come non lo erano i numeri dell’Iowa – quanto del potere che Donald ha sul partito. Il chairman del GoP del Nevada è Michael McDonald, trumpiano Doc. Ogni tanto si è pure visto a Mar-a-Lago, la Versailles del populismo arancione. McDonald continua a dire che Joe Biden nel 2020 ha perso, che le elezioni sono state truccate. Ha organizzato tutto il giochetto del caucus per far vincere il suo capo, o almeno è quello che dicono i manager della campagna di Nikki Haley.

I fan di Trump, tra cui il governatore Joe Lombardo, ex sceriffo, hanno esplicitamente detto alle folle: votate “nessuno” piuttosto che Haley, per punirla, per non accontentarla nemmeno con una vittoria simbolica, per toglierle l’arroganza e la combattività che tanto infastidisce l’ex presidente (che vorrebbe infatti smettere di fare campagna per le primarie e pensare alle sue cause). È in questi casi che vediamo quanto il partito sia piegato alla volontà di Trump, così come una parte di Capitol Hill. E infatti nel frattempo i repubblicani alla Camera non riescono a concentrarsi sulle cose importanti (per la nazione, per gli alleati, per chi viene bombardato in Ucraina). Hanno cercato di far partire un impeachment verso il segretario della Homeland Security Alejandro Mayorkas, colpevolizzandolo per la gestione dell’immigrazione, i diecimila al giorno che attraversano arrivando dal Messico e che stanno facendo impazzire anche i sindaci dem oltre ch ei secessionisti del Texas. Basterebbe invece decidere di far passare il pacchetto di aiuti  – a Kyiv, a Gerusalemme, con dentro anche le soluzioni per la crisi al confine – che il Senato ha preparato con grande fatica. Ma anche qui, come nel partito del Nevada, comanda Trump e ha detto: “manteniamo il caos”. È nel caos che ha più speranza di vincere. 

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