Carlo III (LaPresse)

Buckingham Palace

God save the king. Il cancro di Re Carlo e una storia di destini incrociati

Alberto Mattioli

Ha aspettato di fare quello per cui era nato per settant’anni e 214 giorni. E oggi, dopo nemmeno due anni di regno, è piombata la sentenza: Carlo III è malato. Un qualcosa che cambia radicalmente la prospettiva e rende il monarca simile all’ultimo dei sudditi, trasformando la speranza di fare la storia in quella di vivere

Il destino è in una successione di date. Charles Philip Arthur George Mountbatten-Windsor, duca di Cornovaglia, duca di Rothesay, conte di Carrick, signore delle Isole eccetera, nacque il 15 dicembre 1948: sul Regno Unito e su parecchi altri territori regnava suo nonno, Giorgio VI, mentre sua madre Elisabetta ne era l’erede. Carlo diventò a sua volta erede al trono quando ci salì Elisabetta, il 6 febbraio 1952, anche se fu nominato principe del Galles nonché conte di Chester solo nel 1958 e investito undici anni dopo, per la precisione il 1° luglio 1969, il giorno in cui Diana Spencer compì otto anni, con una bizzarra cerimonia pseudo medievale che ricordava un (brutto) film fantasy, orchestrata da suo zio Tony Armstrong-Jones nel castello di Carnarvon. Particolarmente micidiali furono considerati il baldacchino in plexiglas trasparente sotto il quale era posizionata la Regina e la terrificante corona che quest’ultima conficcò quasi a forza sulla testa di Carlo (per forza, con quelle orecchie a bloccarla), che peraltro riuscì nell’impresa di giurarle fedeltà in inglese, d’accordo, e anche in gallese, una lingua praticamente composta soltanto di consonanti. 

Elisabetta II è morta l’8 settembre 2022 e, insomma, Carlo ha aspettato di fare quello per cui era nato per settant’anni e 214 giorni. Se sua madre detiene il record di sovrana che ha regnato più a lungo nella storia britannica e si piazza in seconda posizione in quella europea, dopo Luigi XIV, a Carlo spetta quello di erede di più lungo corso. Un’attesa interminabile, forse snervante, apparentemente infinita, vissuta nella curiosa posizione di chi, per svolgere la propria missione sulla terra, deve aspettare la morte di chi ti ci ha messo. E poi, nel caso di Carlo, en attendant non godrò. A differenza del suo trisnonno Edoardo VII, che per decenni attese il passaggio a miglior vita di mamma Vittoria dandosi alla pazza gioia fra attrici, cavalli, champagne (ironia della sorte, il suo affetto più stabile fu miss Alice Keppel, un’antenata di Camilla) e al netto delle note infelici vicende coniugali, Carlo, che è una persona fondamentalmente seria, deve aver sentito più volte l’assurdità della sua situazione. Aveva una missione da compiere, un destino già scritto, e non da lui, che però sembrava non dovesse mai arrivare, un deserto dei tartari dove si aspetta qualcosa che non si verificherà mai.

 

Poi l’immortale è morta, e Carlo è diventato Carlo III, ovviamente preparatissimo, desideroso di fare bene, finalmente sereno negli affetti a parte le bizze del secondogenito (eppure il vecchio Filippo di Edimburgo l’aveva detto, con il suo buonsenso politicamente scorretto, Harry avvisato mezzo salvato: “Le attrici si frequentano, non si sposano”), molto compreso nel ruolo come ha dimostrato all’incoronazione il 6 maggio scorso, un compromesso abbastanza riuscito fra tradizione e innovazione, e in ogni caso impeccabilmente interpretato. E adesso? Nemmeno due anni di regno, e piomba la sentenza: Carlo III, Re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, signore di Man, Capo del Commonwealth, Difensore della Fede eccetera eccetera, soffre di un cancro. I dettagli sono che non è, pare, la prostata per la quale era stato ricoverato e che il Re “rimane totalmente ottimista” e “non vede l’ora di tornare il prima possibile al servizio pubblico”. Ma che non sia una bazzecola lo dimostra il fatto stesso che Buckingham Palace l’abbia annunciato (con un tweet, o tempora o mores) e la generale costernazione che la notizia ha provocato fra i sudditi, a cominciare dal primo ministro Rishi Sunak (dal quale Carlo, che politicamente è il più chic dei radical chic, ecologista ante litteram e, come tutti i Windsor, fautore di un “conservatorismo compassionevole” già morto con la Thatcher, è peraltro lontanissimo).

 

Insomma, puoi finalmente fare il tuo lavoro, dimostrare chi sei e quanto vali, la prospettiva è quella di un regno, se non “victorious, happy and glorious” come da Inno nazionale, non sono più i tempi, ma sereno sì, o almeno dignitoso, e dentro il tuo corpo scopri qualcosa che cambia radicalmente la prospettiva, ti rende simile all’ultimo dei sudditi, trasforma la speranza di fare la storia in quella di vivere. Un cancro è sempre una sfida, e una sfiga. Carlo già ci era simpatico per la dignità con la quale ha sostenuto un ruolo ingrato per decenni; adesso, ancora di più. E anche se lo faranno tutti ma proprio tutti i giornali, lasciatelo scrivere anche a noi: God save the King.

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