il vertice

A Davos Zelensky ricorda che i conflitti “congelati” sono persi

Paola Peduzzi

Putin con i suoi alleati ha rubato 13 anni di pace al mondo intero, dice il presidente ucraino al World Economic Forum. È ora di sconfiggere il predatore

Volodymyr Zelensky ha iniziato con un ritornello il suo discorso al World Economic Forum di Davos: “Don’t escalate”, non intensificate la reazione, non provocate, non fate più del minimo necessario per resistere. Questo è quel che si è sentita dire l’Ucraina prima dell’invasione di Vladimir Putin e poi dopo, mentre le forze russe intensificavano eccome la loro brutalità, provocavano eccome, straziavano la resistenza ucraina in ogni modo possibile, da terra, dal mare, dal cielo soprattutto. Zelensky ha ricordato i tanti “don’t escalate” e ha spiegato che Putin però capisce soltanto l’escalation: quando le sanzioni picchiano duro, quando le armi colpiscono precise, quando mezzi russi come  due aerei da ricognizione – preziosi perché in piccole quantità – vengono abbattuti sul Mare d’Azov, quando la linea del fronte resta ferma e gli ucraini non avanzano, certo, ma nemmeno i russi. Questo capisce Putin, un “predatore” che  distrugge quel che non riesce a conquistare e che non si accontenterà di un conflitto “congelato”.  

 

“Congelato” è l’altro termine che ha scandito il discorso del presidente ucraino a Davos, perché la tentazione di congelare il conflitto così com’è, con una parte di territorio ucraino occupata, è andata di pari passo con la cosiddetta stanchezza occidentale che si nutre della speranza di poter considerare ferma la guerra in Ucraina, come è accaduto dopo l’invasione del 2014 e l’annessione della Crimea. Oggi sappiamo che gli otto anni degli accordi di Minsk e del gran dibattito su che armi fornire all’Ucraina con i russi in casa – letali, non letali – sono serviti a Putin per riorganizzare un’invasione su larga scala. E “se qualcuno pensa” che questa voracità da predatore “riguardi soltanto l’Ucraina, si sbaglia di grosso”, ha detto Zelensky, riportando quel che dicono i servizi di intelligence occidentali sulle ambizioni di Putin,  e dicendo: ha rubato al mondo intero “tredici anni di pace”. 

 

A Davos, il presidente ucraino ha riportato il suo piano di pace, la Peace Formula, che chiede il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina, il pagamento dei danni causati dall’attacco russo e un processo per crimini di guerra. Il piano è stato visto e discusso da molti paesi, la Svizzera ha detto di voler ospitare una conferenza di pace, ma il suo ministro degli Esteri ha precisato che dovrebbe parteciparvi anche la Russia. A quasi due anni dall’aggressione, il dibattito è tornato quello dei primi tempi, in cui si credeva che Putin fosse in qualche modo convincibile e quando Zelensky parla di “pace stabile e duratura” gli viene rinfacciato di porre condizioni estreme. Da Mosca Putin gongola, lo ha fatto anche oggi dicendo che la Russia non può essere sconfitta e definendo le operazioni degli ucraini in Crimea, nel Mar Nero e nel Mare d’Azov  una “distrazione” per i propri alleati, che così non vedono quanto la controffensiva sia fallimentare. Non è così: sul campo la controffensiva va lenta ma l’offensiva russa fa altrettanto – migliaia di uomini mandati a morire per qualche chilometro di macerie conquistato – e le operazioni speciali degli ucraini hanno danneggiato in modo evidente i mezzi russi, altro che distrazione. Ma Putin sa che ci sono orecchie in ascolto in occidente – quelle di Donald Trump sono le più vistose, ma anche in Europa ci sono – e intanto costruisce la sua economia di guerra, che va dal rilancio della produzione interna di quel che prima si importava alla rete d’appoggio dei paesi che violano le sanzioni e che fanno arrivare in Russia il materiale necessario alla macchina da guerra fino agli sponsor tout court, l’Iran, la Cina, la Corea del nord, i paesi del sud globale rintanati nella loro finta neutralità. 

 

La Russia si è organizzata per la guerra lunga ed è per questo che Zelensky deve rinnovare il proprio appello all’unità occidentale, alla copertura aerea che chiede dal primo giorno e alle armi che possano dare una svolta alla iniziativa da terra. L’Ucraina ci mette il capitale umano e una forza riformatrice che raramente si è vista in un paese che ogni giorno deve ricostruire un pezzetto tirato giù da un attacco russo, e il giorno successivo di nuovo da capo. Kyiv ha anche ottenuto di fare un passo deciso dentro l’Europa, nonostante la guerra: potremmo dire “don’t escalate” a chi mette in dubbio la forza della resistenza ucraina, ha detto Zelensky: la volontà politica è tutto, anche in occidente.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi