Elezioni a Taiwan. Qual è lo scenario migliore per la Cina

Stefano Pelaggi

L'eventuale vittoria di un partito dialogante con Pechino non è detto che sia così positivo per Xi Jinping

Presto saranno disponibili i primi risultati dell'elezione presidenziale a Taiwan, una consultazione elettorale che ha catturato l'attenzione dell'opinione pubblica italiana e internazionale. Taiwan è al centro della contesa egemonica tra Stati Uniti e Repubblica Popolare cinese, mentre le dichiarazioni di Pechino sulla necessità di avviare il processo di riunificazione nello Stretto sono vertiginosamente aumentate negli ultimi anni. Il risultato delle urne a Taiwan viene talvolta descritto come una scelta tra l'indipendenza taiwanese e un percorso di unificazione con la Cina. La difesa dello status quo, ossia la preservazione della sovranità taiwanese, è il minimo comune denominatore tra tutti i principali partiti dell'isola. I due principali partiti, il DPP e il KMT hanno due posizioni distinte rispetto alle relazioni con Pechino. Il DPP è deciso a mantenere una netta distanza dalla Cina ed è storicamente incline a tendenze pro-indipendenza, mentre il KMT esprime una posizione più aperta al dialogo con la Cina, sostenendo la necessità di una cooperazione economica nello Stretto. Tuttavia, nessuna delle due opzioni costituirebbe una situazione favorevole per Pechino.

 

La vittoria del KMT, che appare molto difficile secondo gli ultimi sondaggi, sarebbe un elemento di cambiamento. Ossia con un governo di Taipei dialogante con Pechino ci potrebbe essere spazio per una rottura dell'assordante silenzio che la Cina ha imposto nello Stretto. Un nuovo approccio che dovrebbe partire da significative aperture economiche, come il rilancio dei flussi di turisti cinesi, un passo indietro sui tanti embarghi a prodotti taiwanesi e una cooperazione su alcuni settori tecnologici. Ma anche una serie di aperture politiche come lo stop alla cosiddetta diplomazia degli assegni - gli incentivi economici promossi da Pechino per favorire il riconoscimento diplomatico della RPC - e l'inclusione di Taiwan come osservatore nelle riunioni delle agenzie delle Nazioni Unite. Seguendo un percorso già sperimentato negli anni della presidenza Ma Ying-jeou dal 2008 al 2016.

 

Ma la Cina di oggi è un attore radicalmente diverso rispetto a quegli anni, l'assertività di Pechino rispetto alla questione taiwanese è ormai evidente. Un approccio diverso rispetto alle incursioni nello spazio aereo taiwanese e alla retorica pervasiva del Partito Comunista sulla necessità dell'unificazione è un'operazione complessa e rischiosa. Le aperture durante la presidenza Ma hanno generato una forte reazione nell'opinione pubblica taiwanese, rafforzando il percorso di una identità nazionale lontana dalla matrice cinese. Aprire il dialogo significherebbe mettersi in una condizione di potenziale debolezza per Pechino, in una sorta di attesa per una reazione positiva da parte della società taiwanese. Una risposta che, sulla base dei diversi sondaggi realizzati in questi anni, gli analisti escludono in maniera categorica. L'eventuale vittoria nelle elezioni taiwanesi di un partito dialogante con Pechino implica un cambiamento e la necessità cinese di tentare un'avvicinamento rispetto sia alla popolazione taiwanese, sia al governo dell'isola. Una condizione pericolosa, alla luce della propaganda incessante fatta dal Partito Comunista cinese negli scorsi anni. Un attore assertivo come la Cina di Xi non potrebbe sopportare l'ennesimo rifiuto da parte dei taiwanesi di entrare a far parte dell'orbita di Pechino. Il gelo tra Taipei e Pechino resta la condizione preferibile per la Repubblica Popolare cinese nell'immediato presente.

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