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Con il nuovo Patto di stabilità l'Europa potrà condizionare il bilancio dell'Italia

Stefano Firpo

L'accordo raggiunto all'ultimo Ecofin prevede più flessibilità, ma in cambio Bruxelles chiede il controllo sulla politica economica degli stati

Il recente accordo sul nuovo Patto di stabilità e crescita dà alla Commissione europea un forte potere di indirizzo e monitoraggio sulla politica di bilancio dei paesi ad alto debito in Europa, e ne muterà in modo significativo gli equilibri di finanza pubblica nei prossimi anni. Il compromesso a metà che si è trovato fra l’impostazione proposta dalla Commissione, sotto la regia del commissario per l’Economia Paolo Gentiloni, e le richieste della Germania, sostenute dal ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, è certamente migliore rispetto alle vecchie regole del Patto di stabilità che si era dovuto congelare durante la pandemia. 

Tuttavia l’esito è peggiorativo rispetto alla proposta della Commissione e rischia di rendere particolarmente gravosi i sentieri di aggiustamento delle finanze pubbliche per alcuni paesi europei ad alto debito – fra cui l’Italia. La proposta iniziale della Commissione europea si basava su una valutazione indipendente di sostenibilità del debito per concordare – con i singoli stati membri con debito elevato – sentieri di aggiustamento su un lasso temporale fra i quattro e i sette anni.

Il parametro di aggiustamento e monitoraggio era individuato nella spesa primaria netta e non più nel rapporto deficit/pil così da ridurre al minimo gli effetti pro-ciclici e mutuare il “metodo Pnrr” su spesa, investimenti e riforme. Questa impostazione, nella trattativa all’Ecofin, ha dovuto fare concessioni alla Germania che ha ottenuto l’introduzione di alcune “salvaguardie” su deficit e debito. Si tratta di meccanismi tesi a garantire sempre e comunque una riduzione di debito per tutti i paesi ad alto debito (ovvero con rapporto debito/pil superiore al 90 per cento) pari all’1 per cento annuo e una correzione sul deficit (pari allo 0,4 per cento annuo su un periodo di aggiustamento di 4 anni o dello 0,25 per cento su un periodo di 7 anni) applicabile a tutti gli stati membri fino a raggiungere un deficit strutturale dell’1,5 per cento. Così si perde la possibilità di stabilire sentieri di aggiustamento differenziati da paese a paese e si reintroducono quegli elementi di pro-ciclicità che caratterizzavano il funzionamento del vecchio Patto. 

Per evitare che i tagli di bilancio potessero mordere fin da subito, la Commissione, sotto la forte pressione delle Francia, ha anche concesso che per i paesi che nel 2024 entreranno in procedura di infrazione per eccesso di deficit, la riduzione annuale minima del deficit pari allo 0,5 per cento potesse beneficiare, solo per i primi tre anni di applicazione, dello scomputo di alcune voci di spesa, fra cui la spesa per interessi sul debito, le spese del Pnrr e i cofinanziamenti nazionali dei programmi europei, portando in tal modo la correzione del deficit nei primi 3 anni nell’intorno dello 0,3 per cento. 

Il risultato finale, se da un lato concede all’Italia, o meglio all’attuale governo italiano, maggiore flessibilità nel sentiero di aggiustamento dei prossimi tre anni, dall’altro lato renderà molto sfidante per la prossima legislatura la correzione di bilancio. Dalle prime stime, per l’Italia sarà necessario produrre avanzi primari di bilancio superiori al 4 per cento per rispettare, a partire dal 2027, le nuove regole europee rafforzate dalle salvaguardie introdotte per volere tedesco. Vale la pena qui ricordare che l’avanzo primario nel nostro paese è rimasto quasi costantemente al di sotto del 2 per cento del pil negli ultimi 20 anni. Prendendo i numeri della Nadef, il 2023 si chiuderà con un disavanzo primario intorno all’1,5 per cento, mente per il 2024 l’avanzo primario è atteso ancora con un bel segno meno davanti. Bisogna risalire fino alla seconda metà degli anni ’90, al tempo in cui l’Italia era impegnata in una fortissima correzione di bilancio per entrare nell’euro, per ritrovare livelli di avanzo primario superiori al 4 per cento. In soldoni significa che nel prossimo futuro occorrerà produrre una correzione straordinaria di bilancio nell’ordine di 80 miliardi di euro. 

Vi è poi un ulteriore aspetto passato sottotraccia. Il piano di aggiustamento del debito che dovrà essere pattuito con la Commissione si baserà, come detto, su riduzioni della spesa pubblica strutturale. Questo vuol dire che la Commissione potrà fortemente condizionare la politica di bilancio dei governi dei paesi più indebitati e con essa la stessa politica economica, verificando le spese che si intendono tagliare, gli investimenti da mantenere e le riforme da implementare per raggiungere questi obiettivi. Insomma verrà riproposto il metodo Pnrr. Solo che questa volta la Commissione potrà dire la sua non solo sui denari che essa stessa ha messo in campo con Next Generation Eu, ma anche sui denari che il contribuente versa nelle casse di uno stato membro. Un dettaglio non da poco, che rafforza come non mai il potere di controllo nelle mani della Commissione sulle politiche di bilancio degli stati e che avrebbe potuto far alzare qualche sopracciglio a chi ha a cuore concetti come sovranità nazionale e autonomia strategica che tanto hanno acceso il dibattito e il voto contrario sul Mes.

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