Il baratto ideologico

All'orgine dell'ostilità trumpiana nei confronti di Kyiv. Ce li abbiamo 70 euro?

Una indagine dentro al mondo conservatore americano per capire perché gli alleati di Trump lo seguono su una posizione filo russa che non è mai stata mainstream nel partito. Il prossimo voto al Congresso e un'analisi sul contributo europeo per compensare l'eventuale riduzione di aiuti da Washington

Paola Peduzzi

Il Congresso americano ha chiuso la settimana extra di lavoro senza aver votato né sugli aiuti all’Ucraina (e a Israele e Taiwan) né sulla sicurezza del suo confine sud: “Si prende una vacanza dalla storia”, titola il suo editoriale il Wall Street Journal, augurandosi che dopo le feste un accordo e un voto ci siano perché altrimenti “il fallimento sarebbe un disastro per l’interesse nazionale americano e per la sicurezza”. Il quotidiano conservatore indugia sulle responsabilità del presidente democratico Joe Biden, che non ha inviato armi adatte e sufficienti a Kyiv prima di quest’ultimo pacchetto e che non ha un piano per affrontare l’aumento del flusso di migranti in America, ma ricorda anche che il sostegno a Kyiv, ancorché in linea con quel che il mondo conservatore tradizionalmente pensa del ruolo degli Stati Uniti nel mondo a difesa delle democrazie, è conveniente dal punto di vista economico e necessario dal punto di vista della sicurezza: “A destra, i critici del sostegno all’Ucraina si lamentano del fatto che l’aiuto a Kyiv possa bruciare tutte le riserve di armi americane che possono un giorno servire nel Pacifico o altrove. Ma questa è un’altra ragione per dare il via libera a un investimento supplementare”, perché queste armi vengono prodotte in America – e quindi contribuiscono alla crescita interna – e gli arsenali americani devono comunque essere rimpolpati.

Il mondo conservatore sembra però inconvincibile, anzi continua a fornire argomentazioni contrarie alla difesa ucraina partendo dalla denigrazione del presidente Volodymyr Zelensky e arrivando a negare che la sicurezza del-l’Ucraina è la sicurezza di tutto il mondo libero.

C’entra naturalmente la posizione di Donald Trump e dei parlamentari a lui fedeli che ripropongono ogni genere di nefandezza – falsa – su Zelensky con l’obiettivo di descriverlo come il capo corrotto di un paese corrotto che sperpererà i soldi dei contribuenti americani. Ci sono storie che attecchiscono più di altre, come documenta Shayan Sardarizadeh, meticoloso reporter di Bbc Verify, ma per sapere quali sono i trend anti ucraini che prendono più piede basta ascoltare le dichiarazioni del senatore conservatore dell’Ohio J.D. Vance (il quale, tra le altre cose, si oppone agli aiuti a Kyiv pur rappresentando uno stato in cui ci sono fabbriche di armi che potrebbero creare più posti di lavoro e si inalbera, con tanto di lettera furiosa, con la Casa Bianca quando vende aziende del settore della difesa all’estero).

La retorica anti Zelensky, però, è soltanto una parte della storia. David Frum, saggista e commentatore di area conservatrice, si è posto una domanda giusta: “I repubblicani dicono che un accordo sull’immigrazione è il prezzo per il sostegno all’Ucraina. Ma quando mai si fissa un prezzo che può finire per boicottare qualcosa che si vuole davvero? I repubblicani non direbbero mai che un taglio delle tasse deve aspettare che si trovi un accordo sull’immigrazione. Soltanto l’Ucraina è trattata come una questione su cui si può barattare, come se fossimo a una fiera”.

Così Frum va a indagare le origini di questo baratto. Parte dalle relazioni tra Trump e il presidente russo, Vladimir Putin, ricordando che prima dell’arrivo di Trump alla Casa Bianca, i repubblicani erano straordinariamente più falchi nei confronti della Russia rispetto a quanto lo fossero i democratici. Tutto cambia durante la presidenza Trump, quando si apre l’inchiesta sulle interferenze straniere (e soprattutto russe) nel voto del 2016, quando l’ex presidente inizia a selezionare collaboratori e ministri che hanno legami con la Russia e soprattutto quando c’è il primo impeachment, che dalla maggioranza degli elettori repubblicani è considerato ingiusto perché alla fine l’Ucraina ha ottenuto le armi e gli aiuti che voleva pure se inizialmente Trump aveva minacciato di sospenderli per avere informazioni compromettenti sui Biden, e perché Trump aveva il compito, da presidente, di svelare tutte le malefatte dell’establishment, in particolare di quello liberal. Frum dice che questo è il mondo “undernews”, il sottobosco dell’informazione in cui “l’Ucraina è uno stato mafioso pro Biden che ha brutalmente vittimizzato Trump”.

I sospetti nei confronti di Kyiv e di Zelensky nacquero allora, per ragioni che hanno a che fare unicamente con Trump e non con l’ordine globale o la difesa delle democrazie, e l’arrivo del nuovo speaker del Congresso, il trumpiano Mike Johnson, sono diventati indirizzo politico. Johnson fa rimpiangere l’ex speaker Kevin McCarthy che non ha mai voluto emanciparsi dai ricatti dei trumpiani, ma che ha cercato di fare il più possibile per l’Ucraina: Johnson non è ricattato, è d’accordo con Trump, tant’è vero che votò soltanto il primo pacchetto di aiuti a Kyiv, all’inizio del 2022, ma già dal secondo ha votato contro, dicendo che i confini dell’America erano ben più caotici di quelli ucraini e che l’aumento dei prezzi dell’energia avrebbe messo in ginocchio il paese.

La domanda che resta senza risposta è: perché? Trump ha i suoi interessi personali, ma gli altri? Qualche indicazione arriverà certamente con l’inizio delle primarie, ma intanto i leader democratici e quel che resta dei repubblicani moderati hanno appuntamenti fitti per dare all’Ucraina quel che serve e per provare a spiegare, finché ce ne sarà bisogno, che se Putin vince l’interesse nazionale americano – per non parlare della sicurezza – non ne risulterà affatto rafforzato.

Gli europei intanto possono fare la loro parte: Simon Kuper, editorialista del Financial Times, ha scritto un articolo spaventoso sulle conseguenze di una possibile vittoria della Russia. Alla fine però dice che il costo di ogni cittadino europeo dei paesi della Nato per compensare gli aiuti che forse non arriveranno più copiosi dall’America è di 70 euro per anno. Ce la possiamo fare.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi