Joe Biden e Bibi Netanyahu - foto Ansa

L'analisi

Perché il sostegno americano verso Israele è e rimarrà saldo

Alissa Pavia

Le recenti critiche di Biden a Netanyahu e i dubbi di alcuni rappresentanti del Congresso sembrano minare i rapporti tra gli Stati Uniti e lo stato ebraico. Ma gli americani rimarranno risoluti nel finanziare Israele

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden negli scorsi giorni ha fatto sapere a un comitato di donatori democratici americani che la sua frustrazione verso il primo ministro israeliano sta crescendo. Nonostante stia cercando di far ratificare al suo Congresso un pacchetto di aiuti economici pari a 14.3 miliardi di dollari, Biden ha dichiarato che Netanyahu sta perdendo consensi a livello internazionale e che i “bombardamenti indiscriminati” sulla striscia di Gaza stanno causando una frattura anche in quei paesi dove il supporto a Israele è tenace. Biden ha poi aspramente criticato il governo attuale di Netanyahu, che ha definito il più conservatore di sempre, accusandolo di non voler perseguire la soluzione dei due stati e due popoli, soluzione che gli americani credono sia l’unica via possibile per una pace duratura nella regione.

Non è la prima volta che i due leader si trovano in disaccordo. Durante il periodo della crisi giudiziaria, quando Netanyahu ha messo alle strette la Corte suprema israeliana varando una legge che ne limitava i poteri, il presidente Biden ha fatto sapere che Netanyahu non sarebbe stato accolto alla Casa Bianca “prossimamente”. Nel 2015, Netanyahu fece uno smacco all’allora vice presidente Joe Biden quando apparve di fronte al Congresso americano senza l’approvazione dell’allora presidente Barack Obama per tentare di sviare gli accordi sul nucleare iraniano.

Nonostante ciò, subito dopo gli attacchi del 7 ottobre da parte di Hamas, Biden ha subito dichiarato il totale impegno americano a difendere Israele e che il sostegno dell’Amministrazione Biden è “incrollabile”. Ha poi seguito le parole con i fatti, inviando due portaerei nel Mar Mediterraneo orientale come atto preventivo nel caso in cui attori terzi come Iran e Hezbollah avessero voluto approfittare della situazione temporanea di debolezza dello stato ebraico per sferrare un colpo congiunto. A sole due settimane dall’inizio della guerra, Biden si è poi recato in Israele per dimostrare il proprio supporto al popolo israeliano, un segnale forte che non ha dato nemmeno all’Ucraina dove si è recato in visita solamente un anno dopo l’inizio della guerra.

Tuttavia, il supporto americano verso Israele non è sempre inequivocabile come può sembrare. Il legislativo è infatti da tempo più fratturato rispetto all’esecutivo sul supporto verso Israele, con i membri di ambedue i partiti che esprimono la loro volontà di bloccare i finanziamenti a Israele. Nel 2016 l’Amministrazione Obama firmò un memorandum per l’erogazione di 3.4 miliardi di dollari annui a Israele fino al 2026, continuando il mantenimento dei supporti militari sanciti fin dalla nascita dello stato ebraico. A oggi, infatti, Israele rimane il principale paese destinatario di finanziamenti americani seguito dall’Egitto. Ma alcuni membri del Senato americano come il senatore del Vermont Bernie Sanders hanno in passato affermato una volontà di rivedere gli accordi finanziari di Washington con lo stato ebraico. Nel febbraio 2023 infatti, Sanders ha introdotto un emendamento al National Defense Authorization Act chiedendo il condizionamento degli aiuti militari statunitensi a Israele. Pochi giorni fa Sanders ha poi reiterato la sua posizione quando ha chiesto a  Biden di tagliare gli aiuti proposti a Israele di 10,1 miliardi di dollari definendo le azioni dell’esercito israeliano a Gaza una “atrocità di massa” di cui gli Stati Uniti sono complici.

Sanders rappresenta solamente uno di tanti democratici che si oppongono con fermezza al rapporto privilegiato che gli Stati Uniti dimostrano nei confronti di Israele. Infatti, un gruppo sempre maggiore di democratici, composto fra le altre dalla nota Alexandria Ocasio-Cortez, e dalle parlamentari di fede musulmana Rashida Tlaib e Ilhan Omar, si stanno muovendo per bloccare gli aiuti, votando a sfavore di emendamenti volti a rafforzare i legami, e alzando le loro voci di dissenso in pubblico. A luglio infatti la presidente del Congressional Progressive Caucus Pramila Jayapal definì pubblicamente Israele uno stato razzista, spingendo poi il Congresso americano a passare una risoluzione denunciando l’antisemitismo e riaffermando il supporto bipartisan a Israele.

Ma non sono solamente i democratici a dissentire del rapporto privilegiato che detiene Israele. Anche un numero minoritario ma non meno cospicuo di repubblicani si oppone ai finanziamenti americani, affermandosi su una linea più isolazionista rispetto ai democratici, linea storicamente presa dai repubblicani fin dalla Prima guerra mondiale quando i repubblicani “inconciliabili” si opposero all’entrata statunitense nella Società delle Nazioni. Anche il senatore del Kentucky Rand Paul ha più volte osteggiato i finanziamenti a Israele, citando costi esorbitanti per il bilancio americano, sposandosi quindi alla visione isolazionista del partito. A ottobre il senatore si astenne dalla risoluzione affermando il suo supporto a Israele, e nel 2021 bloccò per ben quattro volte i finanziamenti per l’Iron Dome, il sistema antimissilistico israeliano.

C’è chi quindi comincia a insospettirsi che il supporto americano nei confronti di Israele possa  tramontare, specie in questi giorni in cui vediamo un Congresso spaccato sugli aiuti economici verso Israele e Ucraina, aiuti che il Partito repubblicano sta ostacolando per spingere Biden a essere più fermo sull’immigrazione illegale dal Messico. C’è anche chi crede che nel 2026, quando il Congresso dovrà rivalutare il memorandum d’intesa firmato dall’Amministrazione Obama, troverà maggiore opposizione. Ma è difficile immaginare, se non pressoché impossibile, un Congresso che si rifiuti di finanziare Israele. Anche durante i tempi più duri per il rapporto israelo-americano durante l’Amministrazione Obama, che ricordiamo fu l’unico presidente americano ad astenersi da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che condannava gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, gli americani sono rimasti inequivocabilmente al fianco di Israele, dimostrando ancora una volta la risolutezza e fermezza di questo rapporto. Si può immaginare quindi un’opposizione, come è giusto che vi sia in una democrazia, ma gli americani rimarranno risoluti nel finanziare Israele ancora per molto tempo

 


 

Alissa Pavia è direttrice associata Atlantic Council, un think tank americano con sede a Washington, D.C. il cui scopo è "Promuovere la leadership americana e promuovere accordi internazionali basati sul ruolo centrale della comunità atlantica nell'affrontare le sfide del XXI secolo"

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