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La narrazione mileista

Il doppio volto di Milei,  antipopulista e iperpopulista

Loris Zanatta

Insieme all’Economista realista che aggiusta i conti convive il Profeta che promette la redenzione del popolo

Tanti sono gli hater di Javier Milei in Europa quanto gli innamorati in Argentina. Sui primi, alzo le mani: per chi l’America Latina è eterna terra di buoni selvaggi agghindati da buoni rivoluzionari, Milei è un sasso nella scarpa. A loro piacciono i Maduro. De gustibus. Mi soffermo perciò sui secondi. C’è sempre un invitato che rovina la festa. Chi non ha incontrato un rompiscatole in luna di miele? Eccomi qua. Sarà che non amo le ovazioni da stadio e i cori da corteo, che diffido di devoti e convertiti, ma io non mi iscrivo al club degli innamorati di Milei. Comprendo il sollievo per il tramonto kirchnerista, condivido il senso di liberazione. Ma la fine di un orrore non è l’anticamera dell’amore. Il discorso del suo insediamento, per dire, a me è piaciuto a metà. Ossia che a metà mi è dispiaciuto. Tanto ho apprezzato l’antipopulismo economico quanto disprezzato l’iperpopulismo politico.     


Sull’economia, Milei gioca in casa. Così in casa che talvolta esagera. L’eredità ricevuta è drammatica, non c’era bisogno di gonfiarla ancor più. A meno che dipingere l’apocalisse non servisse a giustificare la redenzione: un vecchio trucco. Tant’è: il Milei economico non ha un pelo populista. Quando mai s’era visto un Presidente che annuncia un taglio della spesa di cinque punti del pil in un anno? Altro che promesse demagogiche e clientelari! È un’enormità. Non credo vi siano precedenti. Il bello è che ne trae voti e plausi! Dà la misura del grado di esasperazione. Se poi oltre che necessario sarà anche possibile, vedremo. Dalle prime misure, tra cui più tasse, si direbbe che il Milei di governo non conosce il Milei candidato. Era prevedibile. Il Milei politico è un’altra cosa. Siamo agli albori del mandato e non è il caso di metterlo in croce. Però diciamolo, a futura memoria: la cerimonia di insediamento è stato un rituale populista, il suo discorso inaugurale un inno populista da manuale populista. E se colui che più si proclama antipopulista esibisce con tanta noncuranza tanto spontaneo populismo, abbiamo un problema. 
Sorvoliamo sul discorso dalla scalinata del Congresso, il rituale del balcone. Non è così innocente come sembra.

La democrazia non è “giustizia sociale” né “bene comune”, ma nemmeno la “libertad carajo!” che grida ai quattro venti né la “superiorità morale” ch’egli esibisce. La democrazia è un delicato sistema istituzionale di pesi e contrappesi, un equilibrio instabile di potere popolare e potere costituzionale. È un gioco regolamentato di cui il Parlamento è ingranaggio chiave. Per funzionare deve godere di rispetto e fiducia. Rispetto dovuto alla convenienza comune: rispettando la legittimità del Parlamento, i suoi attori si legittimano tra loro. Il popolo che ha eletto il Congresso è lo stesso che ha eletto Milei. Calpestandone la legittimità, Milei calpesta anche la sua. Che creda eterna la sua gloria? Imparerà presto che è effimera. Ma il contenuto mi inquieta più della forma. La “narrazione mileista” è una parabola messianica, una promessa escatologica. È un profeta religioso o un presidente repubblicano? C’era una volta un “popolo puro” e un paese felice, recita il copione. L’Argentina liberale era il giardino dell’Eden, “la prima potenza mondiale”, boom, “il faro dell’Occidente”, boom boom. Ma d’un tratto, chissà come chissà perché, l’ombra del male oscurò la vallata, il “collettivismo” contaminò il popolo e distrusse la patria. Finché un giorno, patito l’esilio, sofferta la sete, attraversato il deserto, un redentore riscattò il popolo per condurlo alla terra promessa. Qui sì che Milei scioglie le redini della demagogia: vi attende “un’era di pace e prosperità, di crescita e sviluppo, di libertà e progresso”. Sembra Fidel Castro: “Vivrete in paradiso”, disse ai cubani. Come il peronismo, seppur a rovescio: purezza, corruzione, espiazione, redenzione, gloria, amen. A Mauricio Macri fu imputato di non avere un’epica. Se l’epica è questa, help. 


La domanda sorge infatti spontanea: se l’Argentina liberale era un tal paradiso, com’è che cadde vittima dell’inferno peronista? Colpa dei “politici”, spiega Milei. Più banale, impossibile. L’età liberale finì ovunque in Occidente quando le masse bussarono alle porte della politica, quando il liberalismo affrontò la sfida della democrazia. Può non piacere a Milei, di certo non piace a me, ma così è andata. È importante perché dalla diagnosi dipende la terapia: Milei ambisce a democratizzare il liberalismo oppure ne propone una versione tecnocratica che riporti indietro le lancette al liberalismo predemocratico del secolo XIX? Nel primo caso guiderà un intrigante esperimento, nel secondo fallirà e sulle sue rovine rinascerà ciò ch’egli pretendeva di estirpare. Si dirà che in tale relato non c’è niente di male, che è un innocuo esercizio retorico, mera forma che non intacca la sostanza: sovrastruttura, dicevano i vecchi marxisti. Sarà. Ma non credo. Per varie ragioni. La prima è il dogmatismo: se così provvidenziale è la sua missione, se come dice “non ci sono alternative” e dinanzi agli ostacoli si appellerà “al cielo” per attingerne forze “illimitate”, è lecito temere che per così alto fine transigerà sui mezzi. Esagero? Spero. La seconda ragione è il manicheismo. Milei parla al suo popolo, agli “argentini per bene”, al popolo eletto. Gli altri? “Casta” e “socialisti di meerda”. Di nuovo: peronismo rovesciato. Ma se lui incarna il bene e chi dissente il male, la dialettica politica diventerà guerra di religione. Un déjà-vu. La terza ragione è il fideismo. Come pochi Maccabei sconfissero il Re di Siria, dice Milei, così trionferemo noi, così vogliono “le forze del cielo”: un altro “nuovo inizio”, un’altra “nuova era”! Auguri. Come i primi cristiani convertirono l’Impero, diceva Castro, così faremo noi, così la nostra fede. 


La “nuova Argentina”, l’“Argentina potenza” erano slogan peronisti. Cosa accadrà quando il profeta si rivelerà umano e i miracoli si ridurranno a riforme? Quando l’amore sfiorirà e la luna di miele diverrà routine? Come reagiranno le vedove e gli orfani dell’ennesimo Regno di Dio svanito? Chi spiegherà loro che il liberalismo non c’entra con simile provvidenzialismo? Per parte mia, coltivo solo una speranza:  di non avere ragione.
 

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