Stay strong, Ukraine

Il collasso valoriale dei repubblicani americani è uno schiaffo a Kyiv e un guaio globale, Trump o no

Paola Peduzzi

Il progetto di Putin è dimostrare che può sconfiggere l'America e i suoi alleati: i conservatori fanno finta di niente, perché la difesa dell'Ucraina è un affare di Biden. Il costo di questa resa ideologica e le parole del presidente americano al G7

Il destino degli aiuti militari americani all’Ucraina – vitali – sarà definito da un negoziato che con la difesa di Kyiv contro l’aggressione russa non c’entra nulla e, comunque vada (e si spera che poi, tra il voto al Senato e quello al Congresso, vada bene: ne va della sicurezza di tutta l’Europa), questo è l’elemento politico e ideologico che rileva, nell’America di oggi e in quella che si delineerà l’anno prossimo alle presidenziali.

Il Partito repubblicano, che ha interiorizzato il trumpismo per ragioni di opportunismo elettorale a discapito della propria tradizione e, peggio, dei propri valori, ha deciso che i fondi richiesti dall’Amministrazione Biden per sostenere l’Ucraina sotto attacco da quasi ventidue mesi (e per sostenere Israele e Taiwan: ma su questi due fronti, i repubblicani non questionano, è Kyiv il problema, perché sono riusciti nell’operazione oscena di trasformare la difesa dell’ideale democratico nella “guerra di Biden”, quindi in una cosa da contrastare perché la vuole un presidente democratico) possono essere discussi soltanto se il Partito democratico vota un piano per l’immigrazione deciso dai repubblicani.

Non tutti i conservatori sono convinti che questo negoziato sia utile, necessario e nemmeno giusto: lo stesso capo dei repubblicani al Senato, il senatore Mitch McConnell, ha cominciato il suo discorso della resa valoriale dicendo “nessuno sostiene la difesa dell’Ucraina quanto me”, ma. In questo “ma” c’è l’ennesima capitolazione – ce ne sono state tante: questo è il partito che ha candidato ed eletto politici che credono che l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio del 2021 fosse giustificato – di fronte non tanto e non solo a Donald Trump, ma al suo metodo di gestione del potere e della politica: i tribunali decideranno se Trump è un criminale, ma per valutare l’effetto del suo metodo non bisogna arrivare a delle sentenze, si vede già quanto scricchiola il sistema istituzionale americano. Soprattutto: si vede quanto opportunismo e cinismo abbiano avuto il sopravvento sul Partito repubblicano che subordina la sopravvivenza di un paese alleato, democratico, libero alla risoluzione di un problema come l’immigrazione che da quarant’anni almeno non ha mai trovato soluzione.

I repubblicani dicono che la malizia e l’inefficacia sono di Biden e dei democratici, che si preoccupano dei confini ucraini più di quelli americani e che infilare la sicurezza sull’immigrazione in un pacchetto che comprende la difesa di paesi alleati sia stato un trucco malevolo che va sfruttato. Ma tutto si può dire di questo presidente americano tranne che non abbia a cuore la difesa dei valori democratici di cui l’America – e il Partito repubblicano soprattutto – si è fatta garante ormai da decenni in tutto il mondo, come ha ribadito ieri all’incontro del G7. E di nuovo: un conto sono gli scontri politici, che sono per loro natura brutali e strumentalizzabili, un altro è negare i mezzi di sopravvivenza dell’Ucraina, cioè di fatto dare una chance a Vladimir Putin e al suo progetto di sovvertimento dell’ordine globale liberale. Nell’ultimo numero del magazine Atlantic dedicato al pericolo del ritorno di Trump, Anne Applebaum ricorda che “fin dall’inizio Putin ha sperato che l’attacco all’Ucraina potesse dimostrare che la potenza americana e gli alleati dell’America possono essere sconfitti, non solo in Ucraina ma ovunque. Lo spera ancora, per questo la guerra continua a essergli utile”.

Il Partito repubblicano vuole ignorare questa minaccia, non comprende più né l’approccio realista alla politica estera né quello idealista – umanamente poi degli ucraini che ci difendono tutti, e muoiono, non ne parliamo.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi