Howard Jacobson (foto Epa, via Ansa) 

"Si è scatenato un pregiudizio universale nei confronti di Israele", ci dice Howard Jacobson

Nicola Mirenzi

Per lo scrittore britannico l'antisemitismo è tornato: "Sono tornati nei discorsi bugie antichissime, di quando i cattolici credevano che gli ebrei andassero alla ricerca del sangue dei bambini. Oggi sono le immagini dei piccoli di Gaza uccisi a essere usate allo stesso modo"

Il tono con cui lo dice è quello dello sconforto e dell’ira. “Israele è uno stato fondato da rifugiati politici. Gente scampata allo sterminio nazista. Come lo si può tacciare di essere uno stato coloniale, al modo in cui fanno nelle piazze, nelle università, nei circoli intellettuali di sinistra. Fuggire dai pogrom, trovare un riparo alla persecuzione, non è un atto di conquista, né un gesto predatorio. Significa mettersi in salvo. E’ sconcertante il livello di mistificazione raggiunto”. Howard Jacobson è uno scrittore britannico che non entra facilmente nell’arena dell’impegno politico. Ha vinto il Man Booker Prize nel 2010, il secondo nella storia a ottenerlo con un romanzo umoristico, L’enigma di Finkler (in Italia tradotto da La Nave di Teseo).

E’ percepito come un uomo di sinistra più che di destra. Ma precisa al Foglio: “Io parlo da romanziere. Non da militante schierato. Ascolto le parole che circolano nel discorso pubblico. Adolescenti che nelle strade urlano ‘Israele stato genocida’, ‘terrorista’, ‘regime che pratica l’apartheid’. E nessuno può pensare abbiano maturato i loro giudizi dopo anni di ricerche indipendenti sul tema. Sta succedendo di nuovo: si è scatenato un pregiudizio universale nei confronti di Israele, fatto insieme di bugie antichissime e di teorie alla moda”.

C’è anche un suo intervento nell’ultimo numero della rivista The New Statesman che ha chiesto a importanti scrittrici e scrittori di raccontare “cosa significa essere ebreo oggi”, dedicando la copertina alle loro risposte. Jacobson ha raccontato che suo suocero, un uomo di sinistra, che aveva combattuto contro Franco e i fascisti in Spagna, quando Israele vinse la Guerra dei sei giorni, gli disse: “Non saremo mai perdonati per questo. La sinistra odia il vincitore”. “Anche se il vincitore è ebreo?” chiese ingenuamente lui. “Specialmente se è ebreo”, lo gelò il suocero. In realtà però la sinistra prese le parti di Israele al momento della fondazione dello stato. “Fino a un certo punto sì, fu dalla sua parte. In fondo, i kibbutz erano una realizzazione del sogno socialista. Una speranza per tutto il movimento operaio”. Tutto cambia proprio nel 1967, quando “l’Unione Sovietica si schierò dalla parte dei paesi arabi, agitando la propaganda anticoloniale, e la sinistra mondiale si accodò acriticamente alla linea di Mosca”. C’è traccia di questo traumatico rovesciamento anche in Italia. Il sempre citato banalmente Pier Paolo Pasolini scrisse su Nuovi Argomenti, disgustato: “In questi giorni, leggendo l’Unità ho provato lo stesso dolore che si prova leggendo il più bugiardo giornale borghese. Che aiuto si dà al mondo arabo fingendo di ignorare la sua volontà di distruggere Israele?”.

Oggi però l’Unione Sovietica non c’è più, la decolonizzazione è compiuta, eppure in piazza a Roma le femministe di “Non una di meno” hanno tracciato una linea diretta tra il maschio assassino e l’oppressore coloniale sionista. “Ai miei tempi io sono stato rieducato dal femminismo”, dice Jacobson. “Perciò faccio ancora più fatica a comprendere come possano le femministe di oggi sorvolare sul fatto che gli uomini di Hamas abbiano stuprato le donne israeliane prima di ucciderle”. Dato il continuo rimando che questi gruppi politici fanno ai concetti chiave dei post colonial studies, così in voga nelle università americane, uno psichiatra della cultura potrebbe chiamarla, la loro, sindrome post coloniale da stress. Ma Jacobson ha poca voglia di scherzare. “Sono tornati nei discorsi bugie antichissime, risalenti addirittura Medioevo, quando i cattolici credevano che gli ebrei andassero alla ricerca del sangue dei bambini. Oggi sono le immagini dei piccoli di Gaza uccisi a essere usate allo stesso modo. Come prova che gli ebrei desiderano la loro morte. Quasi che la guerra a Gaza fosse un pretesto per soddisfare la sete di sangue innocente che hanno. Siamo arrivati a questo punto” dice affranto. “Che un ebreo è di nuovo chiamato a difendersi dall’accusa di vivere per uccidere i bambini degli altri”.

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