Henry Kissinger (foto Ap, via LaPresse)

1923-2023

La gran stoffa di Henry Kissinger

Giuliano Ferrara

Con le sue procedure ciniche e le sue idee di conciliazione tra diversi e opposti, in tutto questo caos inestricabile è entrato per la via reale, con il peso dello statista ineguagliato nel Novecento

Henry Kissinger, come prima di lui Metternich e Castlereagh, da lui studiati per tempo, ha testimoniato in cento anni di vita che l’esistenza storica dell’umanità, l’unica esistenza che si conosca una volta esperita l’interpretazione dei sogni, è una inevitabile sottrazione aritmetica: il benessere di stati, nazioni, comunità, individui meno (-) le sofferenze necessarie a produrlo. Ora non sono pochi quelli che trattano la sua eredità intellettuale e pratica come un’ipocrisia, perché la procedura realista smentirebbe la retorica idealista, ma si vorrebbe sapere quale formula sia mai meno ipocrita di quella kissingeriana. Sotto l’impulso potente e coerente della politica americana nella fase culminante e finale della Guerra fredda, una guerra fino a prova contraria provvisoriamente vinta dal mondo libero e individualista e provvisoriamente perduta dal mondo della tirannia collettivista, tutto è provvisorio nel tempo, tutto è sempre in precario equilibrio, hanno sofferto in tanti: i vietnamiti del nord e del sud, i cambogiani, i laotiani, i bengalesi, i cileni, gli argentini e molti altri popoli e individui che non si saprebbe contare. Ma si è frattanto messo un limite alla povertà e alla fame in Asia e in Africa, si sono offerte prospettive di pace a Israele e agli arabi confinanti, che le hanno accolte a Camp David, ai palestinesi, che le hanno rigettate a Oslo, si è liberata mezza Europa, si è chiuso il Gulag che ha lasciato il posto a forme meno diffuse e disperate di repressione autocratica, si sono difese le istituzioni democratiche e liberali che consentivano e consentono il dissenso radicale più estremo, si è promossa la globalizzazione dei mercati e la tecnologia fino al vertice dubbio ma promettente dell’intelligenza artificiale. La sottrazione ha funzionato e Henry Kissinger, con le sue procedure ciniche e le sue idee di conciliazione tra diversi e opposti e di contrappeso tra le forze e gli interessi, in tutto questo caos in apparenza inestricabile è entrato per la via reale, con un peso individuale, quello dello statista, probabilmente ineguagliato nel Novecento.

       

Nel suo umorismo ebraico diceva che “per le cose illegali procediamo in fretta, per quelle incostituzionali ci vuole più tempo”. Il realista non è mai un formalista, il suo tempo non è quello del profeta o dell’idealista sempre alla caccia dell’elusivo dover essere, che esclude dal conto il mistero del male. Nei suoi ultimi saggi, quando parla di De Gaulle o di Sadat o di Thatcher o di Lee, mostra perfino una vena di sentimentalismo, che poi sarebbe il corrispettivo della insopportabilmente contemporanea empatia, ma sa sempre correggerlo in tempo con una salutare repulsione per l’inefficacia, che spesso copre sogni luminescenti e grandi ambizioni millenaristiche, qualche volta fa da schermo alla più schietta stolidità. La sua mondanità, con una punta di frivolezza, si consolidò in quella lunga parte della sua vita in cui da statista si fece lobbista, senza cambiare l’ossatura della sua cultura e della sua antropologia pessimista e conservatrice, mutando quando necessario le idee, almeno nei dettagli che contano, badando sempre che fossero ascoltate dalle persone giuste. L’Italia di Bobbio, il suo opposto simmetrico nell’inefficacia formalista fatta persona filosofica, e degli azionisti, il paese che siamo, la patria dei più vaghi umanesimi postmachiavelliani e antimachiavelliani, luogo più genericamente umanitario che solidamente rinascimentale e cinquecentesco, avrà modo di liquidare come un sortilegio maligno della cattiva politica l’eredità di un pensiero che Kissinger ha incarnato da rifugiato, da soldato, da americano naturalizzato, da professore, da uomo di stato. Il cinico conosce la differenza tra bene e male, non è necessariamente indifferente, ma sa usare la bilancia, come fecero contro ogni eroismo napoleonico e rivoluzionario i creatori della Santa Alleanza e i direttori d’orchestra che consolidarono il sistema europeo degli stati o i padri della Repubblica americana, la città sulla collina costruita sulle sofferenze degli indiani e degli schiavi afroamericani. Kissinger era di quella stoffa.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.