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Ammazzata un'altra ragazza “svergognata” in Pakistan: dalla sua famiglia. I dati del disonore

Francesca Marino

Ogni due ore una donna viene rapita, seviziata o stuprata. Ogni otto ore, qualcuna è vittima di uno stupro di gruppo. Più del novanta per cento della popolazione femminile è vittima di qualche forma di violenza da parte dei familiari. Per molti pachistani è colpa dei valori occidentali

Di lei sappiamo soltanto che aveva diciotto anni, e che aveva postato sui social una foto in cui appariva in compagnia di un’amica e di un ragazzo. Secondo quanto riferisce la polizia di Kolai-Palas (nel Khyber-Pakhtunkwa, provincia pachistana che confina con l’Afghanistan), il Consiglio degli anziani locale, la jirga, aveva decretato che le due “svergognate” fossero uccise. Una è morta,  ammazzata dalla sua famiglia; le seconda è stata messa sotto protezione dalla polizia. Quasi sicuramente, i colpevoli saranno arrestati e rilasciati. 

Nel 2016 aveva fatto scalpore il caso di Qadeel Baloch, uccisa dal fratello per aver disonorato la famiglia apparendo discinta sui social media. Dopo il delitto, i genitori avevano supplicato i giudici di perdonare il carnefice, in accordo con la legge, che permetteva all’assassino di non scontare alcuna pena pagando alla famiglia della vittima il cosiddetto “prezzo del sangue”. La legge è stata emendata dopo la morte di Qadeel, ma il fratello è stato comunque assolto. 

 

In Pakistan soltanto una minima parte degli autori di questi delitti viene arrestata, e la maggior parte di questi riceve condanne puramente simboliche. Un rapporto di Amnesty International ha rilevato “l’incapacità delle autorità di prevenire questi omicidi indagando e punendo i responsabili”. Secondo i resoconti, circa tre donne vengono uccise ogni giorno per motivi legati all’onore familiare, e più di mille donne l’anno muoiono per delitti travestiti da “incidenti domestici”. Ogni due ore una donna viene rapita, seviziata o stuprata. Ogni otto ore, qualcuna è vittima di uno stupro di gruppo. Più del novanta per cento della popolazione femminile è vittima di qualche forma di violenza da parte dei familiari. Il comportamento femminile considerato come disonorevole comprende relazioni extraconiugali, la scelta di un marito contro il volere dei genitori, la richiesta di divorzio. O, anche, l’essere stata vittima di uno stupro – stupro che nel 2007 è stato finalmente considerato dal Parlamento un delitto da codice penale e non un’offesa contro la morale punibile, quindi, secondo il famigerato Hodood, la legge islamica.

Secondo l’Hodood, la prova dello stupro è a carico della donna che lo subisce. La donna deve poter produrre, per provare di essere stata stuprata, quattro testimoni musulmani e di sesso maschile. Altrimenti, viene processata d’ufficio per adulterio: crimine per cui la stessa legge prescrive la lapidazione. Secondo lo stesso Hudood, in generale, la testimonianza di una donna vale metà di quella di un uomo, e l’adulterio, o il sesso prematrimoniale, vengono considerati un crimine contro lo stato e puniti di conseguenza. Secondo i pii compari dei partiti islamici, inoltre, non esiste la violenza domestica. Attribuire a una donna il diritto di denunciare il marito o di chiedere il divorzio in caso di violenza domestica mina alle fondamenta i sani principi su cui si basa la società pachistana. E quindi, la “nuova legge” rimane più o meno di fatto lettera morta. Quelle che vanno a denunciare violenze domestiche anche gravi vengono rimandate a casa: le botte, se non arrivano alla tortura, costituiscono secondo la cultura dominante parte integrante della normale dialettica di coppia. 

Non si tratta di casi isolati o circoscritti a settori disagiati della società. L’ex premier Imran Khan ha sostenuto più di una volta che “gli uomini non sono robot”. E che l’incremento esponenziale dei casi di stupro (impuniti) nel paese è da attribuirsi quindi ai “valori osceni” propagandati dall’occidente. Aggiungendo che se le donne osservassero rigidamente le regole islamiche in fatto di abbigliamento e condotta, e cioè segregazione totale, non ci sarebbero stupri. L’Imran-pensiero riflette l’opinione della maggior parte dei pachistani che lo confessino apertamente o no. Lo sanno bene quelle relativamente poche coraggiose che in Pakistan marciano ogni 8 marzo al grido di “Mera Jism, Meri Marzi” (mio il corpo, mia la scelta). Quelle che, per la libertà di scegliere, rischiano la vita per ricordare a tutti che non c’è onore nei delitti, e che l’omicidio non è cultura. 

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