Wikimedia Commons 

Estremismi

Che cos'è il movimento Khalistan e perché è sostenuto dai servizi pachistani

Francesca Marino

Il gruppo terrorista, è nato ed è sempre stato accostato alle istanze geopolitiche di Cina e Pakistan, che lo supportano per creare problemi all'India

Barmpton, Ontario, lo scorso 4 giugno. Un corteo lungo cinque chilometri marcia per le strade cittadine con tanto di carri allegorici al seguito. Sul carro principale un tableu mette in scena l’omicidio dell’ex premier Indira Gandhi: una figura femminile con le mani alzate e vestita con un sari bianco insanguinato e un gruppo di uomini col turbante le punta contro i fucili. Alle spalle, un cartello che recita: “Vendetta per l’attacco al Darbar Sahib”. E cioè al famoso Golden Temple di Amritsar, in India, profanato dalle truppe indiane durante la cosiddetta Operazione Blue Star ordinata da Indira Gandhi, poi uccisa dalle sue guardie del corpo di religione Sikh.

La morte di Indira Gandhi il 31 ottobre 1984 ha scatenato una delle pagine più nere della storia recente indiana, aperto una caccia ai Sikh nel paese e ha anche provocato la nascita di vari gruppi estremisti poi decimati dal defunto (e anche lui Sikh) superpoliziotto KPS Gill. Il Khalistan Movement, però, non rientra tra questi. Perché il gruppo non solo non è nato in India ma con l’India (e anche con l’Operazione Blue Star) ha sempre avuto molto poco a che fare. L’annuncio della nascita del Khalistan movement è stato fatto il 12 ottobre 1971 sul New York Times: “Oggi lanciamo la crociata finale fino al raggiungimento della vittoria... Siamo una nazione a pieno titolo”, recitava l’articolo con cui il movimento rivendicava una nazione separata dall’India. 

Sin dalla sua fondazione il movimento ha sempre avuto molto più a che fare con la diaspora Sikh che con il Punjab indiano, in cui conta pochissimi seguaci. E ha sempre avuto a che fare, più che con il sostegno popolare, con le istanze geopolitiche. Specialmente con le istanze geopolitiche di paesi come la Cina e il Pakistan, che da anni supportano in vari modi il movimento soltanto per creare problemi all’India. Sedi privilegiate del movimento sono, oltre alla parte la pachistana Lahore, il Canada, l’Inghilterra e l’Italia. 

In Italia il Khalistan movement, che formalmente non è un gruppo terroristico ma che al terrorismo si sovrappone e in esso spesso sconfina, ha trovato nel corso degli ultimi anni terreno fertile e ha cominciato, con la benedizione dei servizi pachistani, a essere molto attivo sul territorio. I rappresentanti della comunità Sikh si uniscono regolarmente alle manifestazioni organizzate dai pachistani in sostegno del Kashmir portando cartelli con su scritto “Khalistan Kalsa”, alla presenza del pachistano Lord Nazir Ahmed (fino a quando non è stato privato del titolo di Lord per un sordido scandalo di abusi sessuali), che sostiene apertamente il Khalistan e ha lanciato un paio d’anni fa una nuova campagna chiamata “Kashmir2Khalistan”. La campagna è apertamente sostenuta anche da un altro gruppo, che è stato dichiarato fuorilegge in India ma non nel resto del mondo. L’organizzazione si chiama “Sikhs for Justice” e promuove una raccolta di firme per domandare l’indipendenza del Punjab dall’India: ma, curiosamente, non gli importa nulla dell’indipendenza del Punjab pachistano.

L’Italia, che possiede la più numerosa comunità Sikh europea dopo il Regno Unito, è diventata un hub privilegiato per l’organizzazione, e per coloro che raccolgono denaro e consensi nei gurudwara e nelle riunioni religiose e non della comunità. Solo che il denaro raccolto non soltanto adopera gli stessi canali che da anni nell’Italia del nord vengono adoperati da gruppi jihadi pachistani per finanziare le loro attività in India e altrove, ma raggiunge strane destinazioni. Per esempio, provenivano dall’Italia i fondi usati per finanziare l’omicidio in India, nel 2018, di cinque leader politici punjabi contrari al Khalistan movement, e probabilmente pure quelli usati da gruppi terroristici pachistani per una serie di attentati negli ultimi anni in India. L’anno scorso Sikhs for Justice ha tenuto a Roma, in Canada e in Inghilterra un referendum per l’indipendenza tra la comunità Sikh che, a suo dire, ha raccolto numerosissimi consensi. Il fatto è che nessuno li prende sul serio: “Se il popolo del Quebec si volesse separare dal Canada, non andrebbe in Russia a fare un referendum”, dice Shinder Purewal, professore di Scienze politiche alla Kwantlen Polytechnic University di B.C. Aggiungendo che “il referendum è soltanto simbolico, e non ha alcun rapporto con la realtà sul campo”. E infatti mentre il Khalistan movement continuava a denunciare le discriminazioni in India a danno dei Sikh, il 2 giugno Ajay Banga assumeva la carica di presidente della Banca mondiale mentre Taranjit Singh Sandhu, ambasciatore indiano negli Stati Uniti, portava a spasso Narendra Modi in visita ufficiale. Con buona pace di Justin Trudeau e dei khalistani.

Di più su questi argomenti: