Ansa

In Olanda

Lo schiaffo sovranista dei Paesi Bassi

Giulio Meotti

La vittoria di Geert Wilders è il più grande terremoto politico olandese dall’uccisione di Fortuyn ed è figlia delle contraddizioni culturali dei Paesi Bassi e dell’Europa. Tra Russia, islam e libertinismo

Quando Pim Fortuyn venne assassinato, vent’anni fa, Ian Buruma suonò a morto la campana del “sogno liberale olandese”. Ciò che è accaduto nei Paesi Bassi questa settimana è la più grande esplosione politica nel sonnolento paese dei canali e dei tulipani dall’assassinio di Fortuyn nel 2002 durante la campagna elettorale da parte di un fanatico verde. Geert Wilders conquista 37 seggi su 150, doppia il risultato elettorale del 2021 e ne conquista dodici in più rispetto al secondo partito, la coalizione sinistra-verdi di Frans Timmermans (che potrebbe finire per governare se attorno a Wilders restasse in piedi il cordone sanitario). Fortuyn incarnava  tutte le contraddizioni della cultura olandese. Sociologo apertamente gay, Fortuyn attaccava l’islam perché intendeva a suo avviso frenare l’individualismo, era umanamente e politicamente “queer” e all’islam fondamentalista opponeva non i sagrati o le prediche, ma le  pochette, considerando il permissivismo il cuore della cultura occidentale. Scrisse un libro intitolato “L’islamizzazione della nostra cultura” e promise “una guerra fredda contro l’islamismo”, come la definì in un’intervista al Dagblad.


Quanto a contraddizioni, Wilders non è da meno: ex liberale assistente del commissario europeo Frits Bolkestein (a cui scriveva i discorsi) durante il mandato di Romano Prodi, filoisraeliano (ha trascorso sei mesi in un kibbutz e ha festeggiato il risultato alle urne con la bandiera bianca e blu d’Israele) ma pronto a togliere gli aiuti all’Ucraina, ha invocato la “realpolitik” alla Duma (il capo del politico della Bild Julian Röpcke  ha scritto su Wilders che “un altro stato della Nato cade in mano alla Russia, Putin deve semplicemente sedersi e guardare”), strizza l’occhio agli altri populismi europei ma, a differenza dell’ungherese Orbán, dello spagnolo Abascal e di Meloni, Wilders è favorevole alle nozze gay, all’eutanasia e all’aborto. Un alleato di quei sovranisti (italiani e spagnoli) che da olandese non ha esitato a chiamare “fannulloni”, i paesi indebitati e bisognosi di aiuti finanziari da parte dei “frugali” paesi del nord. L’Olanda, assieme all’Inghilterra, registra l’opinione pubblica più filo Ucraina in Europa. Con buona pace del libertinismo di Wilders rispetto alla Russia. 


Sarebbe facile evocare l’apocalisse antifascista, ma non si capirebbe Wilders senza il grande choc culturale olandese, lo stesso che emerse, seppur in nuce, già al tempo di Fortuyn. E non si capirebbe che le idee di Wilders sul multiculti sono ormai sempre più mainstream in Olanda. Han ten Broeke, del partito del premier Mark Rutte, ha giustificato il bando olandese dei ministri turchi osservando che Erasmo scelse l’Olanda “perché era un paradiso per la libertà”.“Comprare verdura dal marocchino, carne dal turco e olive dal greco: bello, ma non basta. Se vogliamo davvero vivere insieme, anche le persone senza un passato migratorio dovranno fare del loro meglio. Ora sono la minoranza in molte città”. E “La nuova minoranza” è il titolo del libro del professor Maurice Crul (VU University Amsterdam). Ha esaminato sei grandi città di cinque paesi, tra cui Amsterdam e Rotterdam. Ad Amsterdam, soltanto un minore su tre sotto i quindici anni è olandese. Uno smottamento demografico che è una delle spiegazioni del successo elettorale di Wilders, la paura che la cultura olandese si dissolva in un blob generatore di relativismo e ghetti travolto dalla piena numerica. 


Sull’islam, Wilders spinge la retorica al limite, ma solo in Olanda trovi un sindaco marocchino a Rotterdam (un quinto degli elettori  musulmani), Ahmed Aboutaleb, sotto scorta e che dopo Charlie Hebdo si rivolse così alla comunità islamica: “Se  non ti piace la libertà, vattene. Se non vuoi stare qui perché qualcuno pubblica su un giornale una cosa che non ti piace, vai a farti fottere”.  Lo stesso premier liberale uscente, Mark Rutte, ha detto agli immigrati di “essere normali o andarsene”. Gli olandesi si sentono i “fondamentalisti dell’illuminismo”, per usare la brutta formula con cui Timothy Garton Ash attaccò Ayaan Hirsi Ali. Il dibattito sull’integrazione è stato violato non da uno xenofobo, ma da Paul Scheffer, che nel 2000, accademico e testa pensante laburista, scrisse un saggio  dal titolo “Il disastro multiculturale”. Sono stati i liberali di Rutte, non Wilders, a mettere in pratica molte idee di Fortuyn, fino alla messa al bando del burqa. Quel Rutte che al grido di “più integrazione e meno ingressi” ha rivendicato l’eredità di Fortuyn dicendo che “il multiculturalismo ha fallito”. 

“Continuerò a scrivere, perché ho ricevuto molti messaggi da persone che mi chiedono di non fermarmi, ma non scriverò più di islam, assolutamente no”. Questo l’annuncio della scrittrice turca Lale Gül dopo le minacce di morte e la pubblicazione di un romanzo “blasfemo”. Perché nel paese dove la libertà di criticare l’islam può comportare la pena capitale de facto (Theo van Gogh), Wilders l’ha brandita a un prezzo esagerato (“case sicure”, dodici poliziotti di scorta, un’esistenza da esiliato nel proprio paese). Siamo nel paese dove la casa editrice Blossom Books ha tolto Maometto dall’Inferno dantesco in una nuova traduzione della Divina Commedia; dove accademici come Afhsin Ellian, iraniano critico dell’islamismo, vive sotto scorta; dove un’altra iraniana, Sooreh Hera, non ha potuto esporre in un museo dell’Aia una serie di opere fotografiche che ritraevano coppie gay, fra cui una di Maometto e Alì. Un paese dove gli ebrei sono sempre stati di casa da prima di Spinoza e oggi sono sempre più assediati. Una conferenza nel campo di transito nazista di Westerbork è stata cancellata a causa delle minacce a uno degli oratori. Nel frattempo l’unica scuola ebraica ortodossa dei Paesi Bassi ha chiuso a causa dei rischi per la sicurezza.  Il magazine Politico ha  rivelato che la comunità ebraica di Groningen non pubblica più gli orari delle preghiere.  “Ad Amsterdam non puoi camminare per strada con una kippah”, ha detto Jacques Grishaver, presidente del Comitato  su Auschwitz. “Quando vado in sinagoga per il servizio venerdì sera, sono accolto da un esercito”.  


Prima di essere ucciso, aggrappato a un cestino dei rifiuti, Van Gogh implorò il suo assassino, Mohammed Bouyeri: “Possiamo parlarne?”. Wilders o meno, possiamo davvero parlarne?
 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.