la mediazione

Cosa prevede l'accordo tra Israele e Hamas sugli ostaggi

Micol Flammini

I terroristi libereranno cinquanta civili in cambio di una pausa umanitaria e del rilascio di alcuni palestinesi nelle carceri israeliane. E' stato un negoziato che non ha precedenti nella storia dello stato ebraico e che ha accentuato la frattura tra chi in Israele si assume le responsabilità della guerra e gli incendiari

Tutti i “no” di Israele nelle ultime settimane riguardo a ogni compromesso per il rilascio degli ostaggi sono serviti a ottenere un accordo che, salvo sorprese,  prevede la liberazione di cinquanta cittadini durante quattro giorni di pausa dei combattimenti e il rilascio di alcuni palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Non c’erano sorrisi tra i funzionari israeliani, le anime contrastanti del governo non hanno trovato pace e i partiti di estrema destra guidati da Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich hanno votato contro l’accordo mediato dal Qatar. Il compromesso  per il rilascio ha avuto  l’approvazione dell’Idf, del Mossad e dello Shin Bet, ed è stato chiuso nella  consapevolezza che, sicuramente,  non era la prima volta che Israele si trovava a negoziare la liberazione di suoi cittadini, ma queste trattative sono diverse dalle  altre. Anche Hamas potrà rivendicare una vittoria, esibirà i palestinesi rilasciati, racconterà di aver vinto una battaglia, che finora però ha portato soltanto alla distruzione di gran parte della  sua rete nel nord della Striscia. 

 

Israele non media direttamente, sono i qatarini a gestire le comunicazioni: è uno scambio in un contesto senza precedenti. Nel passato di Israele non esiste un rapimento simile. E’ unico per il numero di ostaggi, oltre duecento, per la tipologia, la maggior parte sono civili, tante donne, anziani e bambini. E’ singolare anche perché il paese è in guerra e a ogni negoziato deve confrontarsi  con richieste che hanno a che fare con il campo di battaglia, dove Israele sta ottenendo risultati, ha identificato i suoi obiettivi e qualsiasi pausa dai combattimenti permette ai terroristi di riorganizzarsi. Rimane un dubbio, quello più atroce: a Hamas non conviene liberare subito gli ostaggi, più li terrà, più avrà tempo, il timore di Israele è che cercherà di estendere la pausa tenendo ancora i suoi prigionieri nella Striscia. C’è ancora un altro motivo per cui questo scambio non ha una letteratura: gli ostaggi non sono soltanto nelle mani di Hamas, ma anche del Jihad islamico e di famiglie criminali che hanno partecipato all’attacco contro Israele e hanno portato via i civili. Adesso il Qatar negozia tra Israele e Hamas, ma per il momento non c’è nessuno che faccia lo stesso con gli altri terroristi. Finora, negli altri rapimenti, Gerusalemme sapeva con chi stava parlando, conosceva i referenti, durante il rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit, conosceva il nome e il cognome di chi avrebbe preso la decisione: Ahmed Jabari, ucciso da un drone israeliano un anno dopo il rilascio del soldato. Adesso ognuno risponde per sé, per Hamas risponde Yahya Sinwar, per gli altri non si sa chi. Secondo l’intelligence, Hamas detiene circa ottanta ostaggi, se nei giorni della pausa ne rintraccerà altri e sarà pronto a liberarli, Israele prenderà in considerazione  di allungare la pausa: un giorno in più ogni dieci cittadini liberati. 

 


Liberare gli ostaggi è uno degli obiettivi dell’operazione militare dentro la Striscia, e soprattutto è l’obiettivo che più motiva i soldati che vi partecipano. Conoscere la mentalità della persona che prende le decisioni aiuta nello stringere un accordo. Moty Cristal è un esperto di negoziazioni, ne ha seguite tante in Israele, non è coinvolto nella liberazione degli ostaggi tenuti ora da Hamas. Poco prima dell’incontro tra il premier Benjamin Netanyahu e il suo gabinetto di guerra ha spiegato che capire la logica del nemico è la prima cosa da fare: “Non si può dire solo che Sinwar è uno psicopatico che rapisce i bambini, bisogna capire come pensa e come fargli accettare un negoziato”. Il leader di Hamas è interessato a tenere i soldati in ostaggio, può usarli come scudi e possono servire ad alzare il prezzo in futuri accordi. I fragili, i bambini, gli anziani, in un contesto in cui Sinwar  è in continuo spostamento, sono un peso, quindi, in ambito negoziale, per Israele è più semplice farli rilasciare. Il piano principale è stato quello di portare avanti un negoziato umanitario e infatti dell’accordo dovrebbe far parte anche l’ingresso di una quantità maggiore di carburante dentro Gaza, quando la pausa sarà finirà si tornerà alle consegne precedenti. Non è stato consentito però ai palestinesi che hanno lasciato il nord di farvi ritorno, vanificherebbe tutti gli sforzi compiuti durante le evacuazioni. 


Israele ha condotto delle trattative importanti e amare, il ritorno di cinquanta cittadini indica che  le due priorità che il paese si era dato iniziando l’operazione a Gaza possono coesistere: sradicare Hamas e liberare gli ostaggi. Dentro a Israele chi decide cosa fare in guerra – esercito e intelligence – era a favore dell’accordo. Gli unici contrari al rilascio degli ostaggi erano i partiti con cui Netanyahu aveva trovato rifugio per mandare avanti il suo governo senza essere assediato dall’opposizione. Dopo il 7 ottobre, quando il premier chiese a Benny Gantz di entrare nel governo,  era perché sapeva che in guerra non sarebbe andato lontano con Ben-Gvir e Smotrich, aveva bisogno di competenti, non di incendiari: va verso un periodo lungo di guerra. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.