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L'editoriale dell'elefantino

Voler essere ottimisti in questi tempi di grande tristezza

Giuliano Ferrara

In soli due anni, con  la guerra in Europa e la ricomparsa dell’antisemitismo si sono infranti due grandi tabù. Eppure nessun catastrofismo ha un vero valore profetico. Le aperture restano, basta esercitare la mente senza abusare del cuore e dei sentimenti

Il segreto dell’ottimismo di Claudio Cerasa e di questo giornale, apparentemente incongruo come visione del reale, è nel suo essere volitivo, oltre che generazionale. In punto di fatto bisognerebbe essere tristi, dolorosamente consapevoli, si dovrebbe considerare la nostra storia, attraverso diverse età dalla fine della guerra mondiale a oggi, un’esperienza fallita. Certo non nell’avanzamento scientifico e tecnologico, nella sfera dell’utile, dell’apertura globale, della riduzione di povertà e diseguaglianze: gli strumenti che consideriamo ormai parte del patrimonio comune, che pratichiamo con nonchalance da casa, hanno qualcosa di prodigioso, investono la memoria e l’intelligenza, avvolgono la coscienza e la conoscenza in un’aura di sogno dove ogni sorpresa è possibile e la vita è un romanzo di connessione come voleva E. M. Forster nella sua bella intuizione (only connect).

 

Ma è tornato l’antisemitismo di minoranze attive annidate in luoghi cruciali per la formazione dell’umanità come le università e le scuole, l’occidente nutre un senso di colpa aggressivo che si esprime nella cancellazione culturale e nel wokismo, frutto della decomposizione del senso dell’istruzione e dell’educazione anche sentimentale, è sempre più difficile elaborare il lutto della guerra secondo regole politiche estranee all’equivoco umanitario, ché l’umanitarismo è una benedizione e il suo aspetto equivoco una maledizione, e Platone diceva che solo i morti conoscono la fine delle guerre. Insomma, come si fa a essere ottimisti guardando su TikTok le facce giovanili imbruttite dalla cosmesi e dall’ignoranza sciatte che proclamano una nuova coscienza di sé e del mondo a partire dalla Lettera all’America di Osama bin Laden, un reperto stragista di oltre vent’anni fa?

 

Due grandi tabù sono infranti, e in così poco tempo, due anni appena: la guerra in Europa, che sembrava impossibile, e una tremenda guerra di sradicamento dell’islamismo terrorista, in cui è difficile configurare una chiara vittoria dl bene sul male e che rende la teoria dei due stati e due popoli un’esercitazione retorica, necessaria ma evanescente, dunque ci condanna a registrare ancora una logica di morte che vendica la morte, e la ricomparsa dell’odio etno-razziale verso un popolo fatale della storia millenaria della civilizzazione. All’inizio del Terzo millennio sembrava che la lunga èra di pace dopo la sconfitta dei totalitarismi e il declino del colonialismo avesse determinato una nuova promettente situazione storica per le generazioni presenti e a venire. Poi l’11 settembre e tutte le altre smentite del fervore fanatico, dell’intrusione accecante e violenta di tutti i rancori possibili, delle pulsioni distruttive e autodistruttive che circolano come un veleno dovunque, dal tormentato sud del mondo all’Asia fino all’Europa e all’America. 

 

Eppure qualcosa ci dice che la tristezza non è una colpa ma una punizione che ci infliggiamo da soli, che nessuno catastrofismo, da quello ambientale a quello storico, ha un vero valore profetico, che le aperture restano. Basta volere, esercitare la mente senza abusare del cuore e dei sentimenti, e sono lì che ogni volta aspettano di essere riscoperte.  

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.