Editoriali
Il Sudan è al collasso
Le Rapid Support Forces (Rsf), il gruppo paramilitare che si contende con l’esercito regolare il controllo del paese, razziano il Darfur, nessuna tregua in vista, solo un gran silenzio
Le Rapid Support Forces (Rsf) sudanesi, il gruppo paramilitare che si contende con l’esercito regolare il dominio del paese, ha conquistato gran parte del Darfur occidentale. Eredi dei janjaweed che nel 2003 straziarono queste terre e i loro abitanti, le Rsf hanno cambiato nome ma non metodo: le immagini sui social sono devastanti, la conquista è fatta di stupri, torture, esecuzioni di massa, fosse comuni e dei video di questi soldati mostruosi che festeggiano in mezzo ai cadaveri il loro avanzamento. A guidare questa oscena conquista è Abdul Rahim Hamdan Dagalo, fratello di Mohammed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, che è il capo delle Rsf che ad aprile si è rifiutato di far confluire i suoi soldati nell’esercito regolare, temendo una perdita di potere, e ha aperto il conflitto contro il presidente del Sudan, Abdel Fattah al Burhan, un golpe nel golpe che ha già fatto migliaia di morti.
Le immagini satellitari di Khartoum mostrano i danni e le macerie e nelle testimonianze raccolte si ripetono le parole: collasso e abbandono. Ieri si sono tenuti altri colloqui patrocinati dagli Stati Uniti e gestiti dall’Arabia Saudita con l’Unione africana a Gedda: non c’è stato alcun accordo su un cessate il fuoco, ma tutte le tregue firmate in questi sei mesi non sono state rispettate. È anche in corso un’iniziativa di pacificazione guidata dalla società civile, la stessa che aveva organizzato la “primavera sudanese” nel 2019 e ribaltato il regime decennale di Omar el Bashir. Ma sul terreno la situazione è tragica, le Rfs usano metodi da pulizia etnica per costituire un loro feudo. Da quando ci sono state le evacuazioni dei cittadini occidentali a maggio, è calato il solito, intenibile silenzio.
Isteria migratoria