crisi in medio oriente

Il grande teatro dell'assurdo Onustan, il palazzo che dà voce agli aguzzini d'Israele

Giulio Meotti

Se lo stato ebraico venisse distrutto, le Nazioni Unite dovrebbero sciogliersi. Non saprebbero più chi attaccare. Cinquant’anni di processi all’unica democrazia del medio oriente

Nel 1975, il dittatore dell’Uganda Idi Amin Dada (almeno 200 mila morti sulla coscienza), tra gli applausi degli ambasciatori presenti, chiese l’espulsione di Israele dall’Onu e lo “sterminio” dello stato ebraico. Quel giorno l’Assemblea generale approvò – 72 voti a favore, 35 contro e 32 astensioni – la famigerata “risoluzione 3379” che è passata alla storia con il titolo “il sionismo è razzismo”. Era il 10 novembre, il trentasettesimo anniversario della “Notte dei Cristalli” del 1938, quando i nazisti bruciarono le sinagoghe e attaccarono le comunità ebraiche tedesche, prodromo della Shoah. Il Segretario generale dell’Onu, Kurt Waldheim, un ex nazista, rifiutò di condannare la risoluzione. L’ambasciatore americano, Daniel P. Moynihan, disse che “c’è qualcuno convinto che i nostri assalitori siano motivati dalle cose sbagliate che facciamo. Ha torto. Ci attaccano per le cose buone che facciamo. Perché siamo una democrazia. Non è un caso che mercoledì Sua Eccellenza il Maresciallo di Campo Al Hadji Amin Dada abbia invocato ‘l’estinzione dello stato di Israele’. E non è un caso, temo, che questo assassino razzista sia il capo dell’organizzazione per l’Unità africana. Israele è una democrazia. E le dittature cercheranno qualsiasi occasione per distruggere la cosa che le minaccia di più”.

C’era appena stata una guerra, in cui Israele era riuscito a uscirne a malapena e a che prezzo. La guerra dello Yom Kippur. La guerra dell’abbandono di Israele da parte dell’occidente piegato al diktat arabo del ricatto energetico, quando solo gli Stati Uniti, grazie alla risolutezza di Richard Nixon, fornirono allo stato ebraico le armi per combattere. Per i nemici di Israele, l’alleanza arabo-sovietica che al Palazzo di vetro, insieme ai “paesi non allineati”, da sempre ha la maggioranza, si trattava di umiliare Israele. In seguito all’approvazione della risoluzione, l’Onu iniziò a produrre altre risoluzioni contro Israele. Dal 1969 al 1972, quattro all’anno. Dal 1973 al 1978, sedici all’anno. Dal 1982, l’anno del Libano, quarantaquattro all’anno. Israele veniva ormai considerato uno stato paria, razzista, colonialista, fascista.

Solo nel 1991, grazie all’intervento degli Stati Uniti, si arrivò all’abrogazione della risoluzione. Avanti veloci al 2016, quando l’Unesco – l’agenzia dell’Onu per la cultura, l’educazione e la scienza – ha cancellato tremila anni di storia ebraica di Gerusalemme. Per dirla con il quotidiano Haaretz, “è il giorno in cui l’Onu ha degradato il sito ebraico più importante al mondo al rango di una stalla”. Dire che la collina sopra la città vecchia di Gerusalemme non è il Monte del Tempio ma solo “al Aqsa Mosque - al Haram al Sharif” e che il Kotel HaMahariv, il muro occidentale costruito da Erode e che gli occidentali chiamano “Muro del Pianto”, è “al Buraq Plaza”, significa che la più alta istanza mondiale della cultura ha incorporato la posizione estremista nell’islam per cui non c’è mai stato nessun Tempio a Gerusalemme. Nelle parole di quel magnifico intellettuale francese che fu Jean-François Revel, l’Unesco è diventato “l’internazionale della menzogna, la cui missione originaria era diffondere l’educazione, la scienza e la cultura, ma che ha invertito il corso della sua funzione facendo pensare al Ministero della Verità di Orwell”. Ma anche qui, non ci si arriva per caso.

Nel corso della XVIII Conferenza generale (17 ottobre-23 novembre 1974), l’Unesco si rifiutò di inserire Israele in una qualsiasi area del mondo, escludendola così di fatto da tutte le sue attività e finanziamenti. La misura, sostenuta dal blocco comunista e arabo, estrometteva lo stato ebraico e i suoi valori spirituali dal consesso delle nazioni mondiali. Un anno prima, l’Unesco aveva inviato a Gerusalemme un archeologo belga, Raymond Lemaire, per vedere lo stato degli scavi israeliani nella città santa. Tornò con un rapporto che dettagliava il rispetto israeliano per la parte araba e cristiana della città. Insoddisfatto del risultato, l’Unesco soppresse il rapporto Lemaire.

Nei libri di testo palestinesi finanziati dall’Unesco, il termine “Palestina” intanto includeva tutto lo stato ebraico, in cui i luoghi santi ebraici erano stati cancellati e gli ebrei descritti come “locuste” e “animali selvatici”. Nel 2014, a meno di una settimana dall’inaugurazione, l’Unesco aveva cancellato una mostra che documenta i 3.500 anni di legami ebraici con la terra santa. Doveva aver luogo nella sede di Parigi, ma l’Unesco l’ha sospesa dicendo che “potrebbe essere percepita dagli stati membri come una minaccia al processo di pace”. Così ha scritto il direttore Irina Bokova al Centro Simon Wiesenthal di Los Angeles che le aveva chiesto di non cedere al “bullismo” del gruppo arabo. Nel 2003 l’Unesco aveva finanziato la ristrutturazione della Biblioteca di Alessandria, dove venne subito esposta bene in vista una copia del grande classico antisemita “I Protocolli dei Savi Anziani di Sion”. Quando alla guida dell’Unesco subentrò il biochimico spagnolo Federico Mayor Zaragoza, l’Onu boicottò una conferenza internazionale sulla scienza a Gerusalemme. Nel 1996, l’Unesco organizzò un simposio su Gerusalemme presso la sede di Parigi. Ma nessun israeliano venne invitato. Quando nel 1998 una delegazione Unesco fece tappa a Gerusalemme, Zaragoza si rifiutò di incontrare i funzionari israeliani. E nel 2013 Zaragoza ha firmato un appello che chiede l’embargo militare di Israele (ma non di Hamas, ovviamente).

L’inviato dell’Onu per i Bambini e i conflitti armati, Leila Zerrougui, ha persino suggerito l’inserimento dell’esercito israeliano nella lista nera di paesi e organizzazioni che causano regolarmente danni ai bambini. In questa black list ci sono già al Qaida, i nigeriani di Boko Haram, lo Stato islamico di Iraq e Siria, i talebani e paesi come il Congo e la Repubblica Centrafricana, tristemente celebri per i loro eserciti di fanciulli lontani dall’essere maggiorenni. L’esercito israeliano è accostato alla decapitazione degli ostaggi dei killer dell’Isis. Ecco come si arriva a quello che vediamo oggi: l’equiparazione morale fra Israele e Hamas-Isis. Il rapporto delle Nazioni Unite sui bambini arriva dopo quello del Csw (Commission on the Status of Women). Israele ancora una volta esposto al pubblico ludibrio come l’unico stato che viola i diritti delle donne nel mondo (l’Iran no, quattro giorni fa è diventato presidente del Forum sui diritti umani dell’Onu). Israele, l’unico paese al mondo condannato per come tratta le donne. Non la Siria, dove le forze di Assad utilizzano gli stupri come tattica di guerra o lo Stato islamico schiavizza le donne delle minoranze religiose. Non l’Arabia Saudita, dove le donne sono fisicamente punite se non indossano gli indumenti obbligatori. Non l’Iran, dove l’adulterio è punibile con la morte per lapidazione e un velo fuori posto ha portato alla morte di molte ragazze iraniane. Israele è stato condannato, con un voto di 104 a 4 al Consiglio dei diritti umani di Ginevra, come l’unico paese al mondo che viola i diritti alla salute, sebbene sia l’unico stato al mondo che cura i feriti dei suoi nemici (dai siriani sul Golan ai palestinesi di Gaza, compresi i familiari di Ismail Haniyeh, capo di Hamas a Doha). Hanno votato contro la risoluzione soltanto Canada, Australia e Stati Uniti.

Se l’Onu votasse oggi e non nel 1948, Israele non vedrebbe la luce. Eppure, Israele è l’unico stato nato in seguito a una risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu, nel novembre del 1947 (33 voti a favore, 13 contrari, 10 astensioni). Ma è anche l’unico stato al mondo il cui diritto all’esistenza sia stato messo in discussione da una successiva risoluzione, l’unico stato membro cui non è consentito partecipare pienamente ai lavori delle Nazioni Unite. Israele, per prassi consolidata, non ha gli stessi diritti degli altri paesi membri, nonostante la Carta delle Nazioni Unite stabilisca che l’organizzazione “si fonda sul principio dell’uguaglianza dei suoi membri”. Ma Israele è meno uguale degli altri. In un’intervista al quotidiano israeliano Yediot Ahronoth, l’allora segretario generale Kofi Annan diede una clamorosa conferma di questo status inferiore dello stato ebraico. Il giornalista gli aveva chiesto se riusciva “a immaginare Israele seduto nel Consiglio di Sicurezza” e Annan rispose: “Sì, non escludo la possibilità che un giorno Israele diventi un membro del Consiglio di Sicurezza”. Ma invece che denunciare la vergognosa esclusione, Annan ha posto una condizione alla partecipazione di Israele ai lavori delle Nazioni Unite: “Dipende dai progressi che riuscirete a conseguire nel risolvere il conflitto con i palestinesi”. Condizione, ovviamente, mai posta alla Siria, all’Egitto, all’Iraq, all’Arabia Saudita, al Marocco, all’Iran, alla Turchia e a tutti gli altri paesi coinvolti al pari di Israele in qualsiasi conflitto mediorientale. Israele non può far parte della commissione sui diritti umani di Ginevra, pur essendo l’unico paese da Marrakech all’India che li rispetta. L’accesso gli è precluso, ma Israele è argomento di costante attenzione da parte degli altri membri, anzi occupa metà del tempo dei lavori della commissione. Nonostante la popolazione israeliana sia pari allo 0,10 per cento della popolazione mondiale, lo stato ebraico è al centro del 40 per cento dei voti dell’Assemblea generale.

La commissione Diritti umani non batte ciglio sugli abusi nei paesi dittatoriali, ma ogni anno approva quattro, cinque, talvolta otto, risoluzioni contro Israele, per violazioni dei diritti umani. Ogni volta che nel Consiglio le democrazie hanno sollevato il problema della sharia e dei crimini commessi in suo nome (lapidazioni, amputazioni, esecuzioni, mutilazioni…) gli ambasciatori dei regimi islamici sono riusciti sempre a insabbiare tutto. Sempre a Ginevra c’è un’altra commissione, quella sulla Tortura, riuscita a mettere sotto inchiesta il Vaticano per gli abusi sessuali, paragonati a una forma di tortura appunto. L’uccisione dell’ispiratore dei terroristi kamikaze di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, solo per citare il caso più grave, è stata condannata con 31 voti, 18 astenuti e il solo voto contrario di Stati Uniti e Australia. Le Nazioni Unite non sono riuscite a rendere onore alle vittime dell’Olocausto nazista prima del 2005, nonostante il Segretario generale Annan abbia ricordato che l’Onu è nato proprio come risposta ai lager nazisti.

In occasione del cinquantenario della liberazione di Auschwitz, nel 1995, i russi e i paesi arabi si opposero a una sessione ad hoc sull’Olocausto. Annan c’è riuscito nel 2005, dopo mesi di trattative e di sforzi diplomatici e convincendo infine solo 150 Stati su 191 ad accettare la proposta di onorare il sessantesimo anniversario. Il giorno della commemorazione, il 24 gennaio del 2005, i banchi dei paesi arabi e musulmani sono rimasti vuoti. Gli unici presenti sono stati l’Afghanistan appena liberato dagli americani (do you remember?), la Turchia e la Giordania. Nel 2002, in piena Seconda Intifada, un’altra risoluzione della commissione sui diritti umani ha “affermato il legittimo diritto del popolo palestinese di resistere all’occupazione israeliana”. Per evitare che ci fossero dubbi sul verbo “resistere”, il documento ha richiamato la risoluzione dell’Assemblea generale 37/43 del 3 dicembre 1982. Quel testo, cui si opposero gli americani e finanche gli europei, affermava “la legittimità della lotta dei popoli contro le occupazioni militari con tutti i mezzi a disposizione”. Hamas intanto era impegnato a mandare i suoi predoni della morte sugli autobus, i caffè e i centri commerciali d’Israele.

Era la Seconda Intifada: 1.500 morti. Non hanno mai aiutato i profili dei segretari generali. Uno più antisraeliano dell’altro. Trygve Halvdan Lie, il primo segretario dell’Onu, era di sinistra e scandinavo. Svedese anche Dag Hammarskjöld, “il signor H”, come lo chiamavano per evitare la difficile pronuncia del suo cognome. Anche lui di sinistra e anticolonialista al punto di schierare l’Onu a fianco di Nasser durante la crisi di Suez. Gli successe il militante anticolonialista Sithu U Thant: nel 1967, Nasser gli chiese di togliere i Caschi Blu che dieci anni prima “il signor H” aveva messo nel Sinai a tutela del diritto israeliano al transito per gli Stretti di Tiran. Lo fece, obbligando Israele alla guerra preventiva poi passata alla storia come “dei Sei Giorni”. Poi arrivò Kurt Waldheim, uno spilungone austriaco democristiano con un ricattabilissimo passato durante la Seconda guerra mondiale. Gli successe il peruviano Javier Pérez de Cuéllar, seguito da Boutros Boutros-Ghali, il ghanese Kofi Annan, il coreano Ban Ki-moon e ora il socialista portoghese António Guterres.

Nel 2001, a Durban, in Sudafrica, l’Onu ha organizzato una “Conferenza mondiale contro il razzismo” che si è subito trasformata in un carnevale di fantasmagoriche accuse contro Israele e contro gli ebrei, come negli anni 30 in Germania. L’unico stato libero e democratico del medio oriente, l’unico posto nella regione dove gli arabi votano e sono eletti in Parlamento, è diventato l’imputato della Conferenza contro il razzismo, su incitamento di campioni delle libertà come il dittatore comunista Fidel Castro (che ha parlato di “genocidio” perpetrato dagli israeliani) e di Yasser Arafat, l’inventore del terrorismo arabo-palestinese. Annan è stato al gioco, e ha aperto i lavori avvertendo che l’orrore dell’Olocausto non può certo far dimenticare la condizione dei palestinesi. In questo clima, migliaia di manifestanti e di delegati hanno marciato per le strade di Durban contro Israele e contro gli Stati Uniti. Nel documento Onu, Israele era accusato di praticare “pulizia etnica” e “apartheid”, di “commettere crimini di guerra”. Stati Uniti e Israele abbandonarono la Conferenza. L’Unione Europea, pur condannando il testo, rimase lì a discutere di antirazzismo con i razzisti. Per non parlare della Relief and Works Agency for Palestine Refugees (Unrwa), l’agenzia dell’Onu che si occupa dei profughi palestinesi ma che ha una gestione separata dall’Alto Commissariato per i rifugiati (Unhcr). Non è soltanto una questione di sigle. Sono profughi coloro che vivevano nella Palestina amministrata dagli inglesi tra il giugno 1946 e il maggio 1948. A questi, l’Unrwa aggiunge “i discendenti delle persone divenute profughi nel 1948”, anche se figli di un solo genitore profugo. Ecco che i profughi palestinesi causati dalla guerra araba contro Israele nel 1948 si sono moltiplicati.

All’epoca, secondo dati Onu, erano 726 mila. Se si applicassero le regole che valgono per tutto il mondo, oggi i profughi palestinesi sarebbero 200 mila. Ma visto che di mezzo c’è Israele, l’Onu ha trasformato i 726 mila profughi di sessant’anni fa in 4 milioni e 250 mila persone, aggiungendo figli, nipoti, pronipoti, oltre ai palestinesi che hanno abbandonato le case dopo aver perso le altre guerre scatenate dai paesi arabi per distruggere Israele. Come spiegarsi tanto accanimento dell’Onustan? Anche con i soldi. Le recenti testimonianze raccolte dal New York Times all’interno dell’Organizzazione internazionale del lavoro (l’agenzia Onu del lavoro) parlano di un versamento di 25 milioni di dollari da parte del governo di Doha, quel Qatar finanziatore di Hamas, nelle casse dell’agenzia e che avrebbero portato a un atteggiamento più morbido sui diritti dei lavoratori nell’emirato, in vista dei mondiali di calcio. Nelle stesse ore in cui il New York Times accusava l’agenzia del lavoro di corruzione da parte del Qatar, il capo dell’Agenzia Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, era in Qatar per firmare un accordo con l’emirato per un valore di 18 milioni di dollari. In Qatar c’era anche il segretario dell’Onu, António Guterres, per inaugurare la “Casa delle Nazioni Unite”. L’emiro del Qatar sta finanziando numerose agenzie dell’Onu, dall’Unicef all’Oms alla Fao. Uno degli stati più piccoli del mondo è fra i primi dieci donatori internazionali delle agenzie dell’Onu. Prendiamo la lista dei donatori dello United Nations Office of Counter-Terrorism: Qatar e Arabia Saudita lo tengono in pugno con i loro dollari. Non importa che il Qatar abbia donato 1,5 miliardi alla Gaza sotto Hamas. All’Onu, “terrorismo” non vuol dire terrorismo. Intanto il Qatar ungeva l’agenzia Onu per i rifugiati, l’Unhcr, con 16 milioni di dollari. Il Qatar è oggi il primo donatore dell’Agenzia Onu per i rifugiati. Sarà per questo che un rappresentante del Qatar, l'ex ministro della Cultura Hamad bin Abdulaziz al Kawari, ha guidato la corsa alla leadership dell’Unesco?

Questa “lobbying” ha permesso ai paesi islamici di formare il blocco più potente dell’Unesco. Come ha spiegato Denis MacEoin, “dei 195 stati membri dell’Unesco, 35 sono nazioni completamente islamiche, altri 21 sono membri dell’Organizzazione per la cooperazione islamica e quattro ne sono stati osservatori. Questo fa 60 paesi che rappresentano un blocco favorevole alle risoluzioni di ispirazione musulmana”. L’inviato del Palazzo di vetro per Israele e i Territori palestinesi, Richard Falk, professore di diritto a Princeton, teorico del “nuovo diritto internazionale” e avvocato in cause dibattute davanti alla Corte internazionale di giustizia, ha paragonato Hamas ai partigiani francesi durante la Seconda guerra mondiale. “Immaginate che i ruoli siano capovolti come durante l’occupazione nazista di Francia e Olanda”, ha detto Falk. “Combattenti per la resistenza erano percepiti dall’occidente liberale come eroi e non c’era alcuna attenzione critica sulle tattiche usate e che mettevano a rischio la vita dei civili innocenti”. Falk sta dicendo che Hamas, come la Resistenza antinazista, è legittimata a usare metodi che portano alla morte di civili israeliani. “Coloro che hanno perso le loro vite nella resistenza sono stati onorati come martiri. Khaled Mashaal e altri leader di Hamas hanno fatto simili affermazioni nel loro esercizio della resistenza visto il fallimento della diplomazia e della sicurezza che l’Onu non ha garantito sotto la legge internazionale”.

Le commissioni d’inchiesta dell’Onu sulle guerre di Israele non hanno molta fortuna. Quella sull’operazione “Piombo fuso”, capitanata dal magistrato sudafricano Richard Goldstone, si concluse con la clamorosa abiura da parte del suo stesso autore (“se avessi saputo allora quello che so oggi, il rapporto Goldstone sarebbe stato molto diverso”). Un’altra commissione ha assistito alle dimissioni del suo capo, il professore canadese William Schabas, a causa di un clamoroso conflitto di interessi. Schabas, docente di Diritto internazionale presso la Middlesex University di Londra, aveva svolto una consulenza per l’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Consulenza pagata 1.300 dollari. Appena nominato, Schabas disse: “La mia ambizione è portare Netanyahu davanti alla Corte penale internazionale. Perché stiamo cercando il presidente del Sudan per il Darfur e non il presidente di Israele per Gaza?”. Nel 2011, Schabas ha sponsorizzato un “Centro per i diritti umani e la diversità culturale” in Iran. L’allora ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite, Ron Prosor, disse che far presiedere a Schabas una Commissione di inchiesta “è come invitare l’Isis a organizzare all’Onu una settimana sulla tolleranza religiosa”, mentre il ministro degli Esteri del Canada John Baird (connazionale di Schabas) ha dichiarato che “il Consiglio Onu dei diritti umani continua a essere una vergogna in fatto di promozione dei diritti umani”.

Intanto, Israele continua a essere la grande ossessione del Palazzo di vetro. Ecco un po’ di statistiche prese da UN Watch. Al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, dalla sua creazione nel giugno 2006 fino a giugno 2016, ha adottato 135 risoluzioni che criticano i paesi; 68 sono state contro Israele. All’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dal 2012 al 2015, sono state adottate 97 risoluzioni che criticano i paesi; 83 di questi 97 sono stati contro Israele (86 per cento). L’Unesco ogni anno adotta dieci risoluzioni che criticano solo Israele. Nessun altro paese al mondo, tranne Israele, è condannato dall’Oms. Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, mentre scene di ferocia antisemita medievale si svolgevano nel sud di Israele la mattina del 7 ottobre, diffondeva questo messaggio: “Abbiamo osservato un minuto di silenzio per la perdita di vite innocenti nei territori palestinesi occupati e altrove”. La parola “Israele” non compariva da nessuna parte. Il rappresentante pakistano ha affermato: “Tutta questa enorme perdita di vite umane e la violenza senza sosta sono un triste ricordo di oltre settant’anni di occupazione straniera illegale, aggressione e mancanza di rispetto per il diritto internazionale”. Ecco. Gli ebrei sono responsabili del loro stesso massacro. L’Onu dispone di numerosi organi formali che indagano solo su Israele, tra cui la Divisione per i diritti dei palestinesi, il Comitato per l’esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese, il Sistema d’informazione delle Nazioni Unite sulla questione palestinese, il Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, il Comitato speciale per indagare sulle pratiche israeliane che ledono i diritti umani del popolo palestinese e il registro delle Nazioni Unite sui danni causati dalla costruzione del muro nei territori palestinesi occupati.

A maggio, nonostante il fatto che le stesse Nazioni Unite avessero votato a favore della creazione dello stato ebraico nel 1947, l’organizzazione mise su un evento per commemorare la “catastrofe” della nascita di Israele. In questo carnevale di israelofobia, Mahmoud Abbas, il leader palestinese, fu autorizzato a tenere un discorso contro gli ebrei. Nel 2017, un video di un dibattito presso il Consiglio dei diritti umani è diventato virale. Uno dopo l’altro, diplomatici di diverse autocrazie arabe si sono messi in fila per accusare Israele di “pulizia etnica”, “terrorismo”, “crimini contro l’umanità” e “apartheid”. Al termine è stata data la parola all'avvocato canadese Hillel Neuer. “Un tempo il medio oriente era pieno di ebrei”, ha detto. “L’Algeria aveva 140 mila ebrei. Algeria, dove sono i tuoi ebrei? L’Egitto aveva 75 mila ebrei. Egitto, dove sono i tuoi ebrei? Siria, avevi decine di migliaia di ebrei. Dove sono i tuoi ebrei? In Iraq c’erano più di 135 mila ebrei. Dove sono i tuoi ebrei?”. Di fronte alla propria sfacciata ipocrisia, l’aula dell’Onu è rimasta impassibile in un silenzio imbarazzato. 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.