L'analisi

Perché lo sviluppo della Striscia di Gaza è fermo nonostante gli scambi con Israele 

Giorgio Arfaras

Il fenomeno che si verifica per quanto riguarda la crescita economica nella Striscia si chiama “de-development” e si può tradurre con “risucchio dello sviluppo”. Ma di cosa si tratta?

Gaza come la Cisgiordania entra nel 1967 nella sfera di influenza di Israele come “territorio occupato” a seguito della guerra dei “sei giorni”. Con il trascorrere del tempo Gaza, prima governata e poi da qualche anno diventata autonoma, si integra con l’economia israeliana. Il punto della vicenda economica di Gaza è capire come si è integrata e quali sono gli effetti dell’integrazione. Dagli anni Ottanta in poi circa la metà (sic) della forza lavoro di Gaza ha trovato lavoro in Israele. Israele ha sempre avuto una reddito pro capite di gran lunga maggiore – circa quattro volte – sia di quello degli abitanti di Gaza sia della Cisgiordania. Per quanto molto meno pagati degli israeliani, il reddito guadagnato dai palestinesi attraversando la frontiera è stato di molto maggiore di quello che avrebbero guadagnato non spostandosi. Sempre che avessero trovato un lavoro a Gaza, data la sua abissale disoccupazione.

Si aveva così un mondo di “trans frontalieri”. Dove si ha che i redditi guadagnati di là sono di molto di maggiori dei redditi guadagnati di qua. Un fenomeno non nuovo, come mostra l’esperienza italiana di chi in giornata va lavorare in Svizzera e poi torna al paese di origine. Per chi, invece, non va in un altro paese in giornata ma resta fermo oltre frontiera, esiste un altro fenomeno, ben noto in Italia e in tutti i paesi che hanno avuto l’esperienza delle emigrazioni bibliche, quello delle “rimesse” degli emigrati. I redditi guadagnati in Israele dai palestinesi di Gaza arrivavano a Gaza. Questi redditi di gran lunga maggiori di quelli interni alzavano immediatamente il tenore di vita dei suoi abitanti, che potevano finalmente avere più del necessario per la sopravvivenza, e quindi si aveva un effetto immediato positivo. Ma si sono avuti degli altri effetti meno immediati, e questi con un effetto negativo di lungo termine.

Quelli negativi possiamo immaginarli per confronto. Il trans frontaliere di Como con i soldi guadagnati in Svizzera comprava un’auto e una lavatrice prodotte in Italia. In questo modo l’economia industriale italiana cresceva grazie alla domanda che veniva da un reddito assimilabile a un’esportazione – un reddito estero speso in Italia. A Gaza è accaduto il contrario. Non essendoci in loco la produzione del nostro esempio di automobili e lavatrici, i beni durevoli erano importati. Una parte del reddito guadagnato in Israele, invece di mettere in moto la produzione domestica, finiva all’estero.

I trans frontalieri di Como vivevano in un’area con un tasso di disoccupazione molto basso. La maggioranza dei comaschi aveva un lavoro e viveva bene, perciò il numero dei trans frontalieri non poteva che essere limitato. Se però la disoccupazione fosse stata nell’area di Como come quella di Gaza, il cinquanta per cento circa della popolazione (sic), con un gran domanda di lavoro non qualificato dall’estero e pure a due passi, il numero dei trans frontalieri sarebbe stato enorme.

I salari dei trans frontalieri di Gaza, per quanto di molto minori di quelli degli israeliani, erano di molto maggiori di quelli che si sarebbero potuti guadagnare in loco. Quindi gli imprenditori di Gaza, in maggioranza piccole imprese artigianali, o facevano il salto tecnologico per poter pagare dei salari equivalenti a quelli israeliani, oppure non trovano nessuno da occupare ai salari che potevano affrontare, perché si guadagnava molto di più all’estero. In conclusione, i redditi guadagnati all’estero finivano per comprare i beni prodotti altrove, e i maggiori salari che si guadagnavano all’estero inibivano le attività a bassa tecnologia, quelle tipiche di economie come quella di Gaza, economie che possono funzionare solo con salari molto modesti.

Il meccanismo come quello di Gaza, un meccanismo che alla fine non genera sviluppo pur alzando il tenore di vita della popolazione, ha un nome: “de-development”, che possiamo tradurre con “risucchio dello sviluppo”. Se le cose stanno così si vede bene quanto sia difficile immaginare un futuro di vera prosperità per Gaza