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Contro gli uiguri ma con Hamas. Il doppio standard di Pechino

Giulia Pompili

Allo Xiangshan Forum, cioè il summit annuale di diplomazia militare della Cina, l'ospite d'onore è il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu

Venerdì scorso Chen Weihua, capo del bureau di Bruxelles del China Daily e uno dei più attivi commentatori cinesi su X, l’ex Twitter – social network ancora censurato dentro ai confini della Repubblica popolare cinese – ha scritto in un editoriale: “Le catastrofiche vittime e sofferenze dei civili da entrambe le parti del conflitto israelo-palestinese hanno sconvolto il mondo intero. Ciò che è spaventoso è anche l’ipocrisia e il doppio standard esibito da molti leader e media occidentali”. Secondo Chen, il punto è che i politici occidentali “che non hanno perso occasione per accusare altri paesi di aver commesso genocidi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità”, all’improvviso si troverebbero senza parole nel “descrivere il massacro di migliaia di civili innocenti”. Come nel caso dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, la posizione cinese sul conflitto in medio oriente ha sempre un obiettivo principale: demolire l’ordine del mondo occidentale, muovere la propaganda antiamericana ed ergersi così a potenza responsabile di pace. Anche quando si parla di persecuzioni delle minoranze da parte della Cina. 

 


Ieri Zhang Heqing dell’ambasciata cinese in Pakistan, uno dei funzionari cinesi più seguiti su X (358 mila follower), ha pubblicato un’immagine senza didascalia poi rilanciata da diversi sostenitori della Cina: sopra una foto della moschea di Id Kah, la più grande dello Xinjiang, sotto quella di Gaza distrutta dai bombardamenti israeliani. L’immagine serviva, nella logica cinese, a mostrare la differenza nelle accuse di persecuzione dei gruppi islamici che subisce la Cina sin dal 2014, ma è un espediente maldestro perché fa a meno di dettagli fondamentali. Solo una settimana fa, il Monde ha pubblicato un reportage di Frédéric Lemaître proprio dallo Xinjiang, dove “la famosa moschea Id Kah, nel cuore del centro storico di Kashgar” è stata trasformata “da luogo di culto a destinazione turistica”. Il Partito comunista cinese ha una nuova strategia per coprire gli orrori contro gli uiguri: è quella di far diventare lo Xinjiang una destinazione turistica simile al “Truman Show”, dove i campi di lavoro forzato e di raccolta del cotone, le scuole “di rieducazione” destinate ai musulmani con la scusa di eliminare il terrorismo, sono luoghi geograficamente lontani dai siti turistici. Secondo il governo di Pechino più di 180 milioni di visitatori sono stati quest’anno nello Xinjiang, anche grazie a buoni del governo per viaggiare a prezzi scontati. Eppure il lavoro forzato tra le minoranze musulmane nella regione è stato certificato da un rapporto dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, e da anni ormai giornalisti e analisti raccontano storie di arresti, sentenze a vita, famiglie divise e persecuzioni tra gli uiguri da parte delle autorità. Ma il rebranding cinese della sua “prigione a cielo aperto”, come gli attivisti uiguri definiscono lo Xinjiang, sta funzionando nell’opinione pubblica internazionale – come le foto della moschea Id Kah, dove non prega più nessuno ma si possono comprare souvenir. E il potere d’influenza cinese ha fatto in modo che gli uiguri fossero isolati anche dalla comunità islamica internazionale. 

 


Una settimana fa 51 paesi membri dell’Onu hanno votato una dichiarazione congiunta che condanna i crimini contro l’umanità commessi dal governo cinese contro gli uiguri e le altre comunità turcofone e islamiche e chiede a Pechino di porre fine alle “sistematiche violazioni dei diritti umani” nella regione autonoma dello Xinjiang. Per la prima volta a sottoscrivere la dichiarazione è stato anche Israele, che prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre aveva cercato di evitare la condanna di Pechino sulla questione relativa allo Xinjiang – dove circa un milione di uiguri sono internati nei campi – per mantenere una buona relazione con la Cina. Dopo il rifiuto da parte di Pechino di condannare le violenze di Hamas, Israele ha cambiato posizione. 

 


Ieri allo Xiangshan Forum, cioè il summit annuale di diplomazia militare della Cina, il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ospite d’onore, ha accusato l’America di voler minare la pace globale. Subito prima anche Zhang Youxia, il secondo in capo della Difesa cinese (il ministro, Li Shangfu, è sparito e poi è stato rimosso dieci giorni fa) aveva accusato “alcuni paesi” di continuare “a creare problemi nel mondo”. Poi, il viceministro ha chiesto “un immediato cessate il fuoco” a Gaza, e ha chiesto la “ripresa dei colloqui di pace” tra Israele e i palestinesi. Senza, come sempre, menzionare gli attacchi terroristici di Hamas.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.