Good change

Prima di ogni riforma, Starmer ha estirpato l'antisemitismo dal Labour. I passi di oggi  

Cristina Marconi

Con Corbin nel partito prosperava indisturbato l'antisemetisimo, spingendo tanti ad andarsene. Con Starmer, e la fine delle ambiguità, stanno tornando

Quando l’antisemitismo prosperava indisturbato nel Labour di Jeremy Corbyn, tra vignette mai ripudiate, dichiarazioni più che equivoche e una certa ostinazione a trascurare qualunque segnalazione di abuso, Rachel Reeves aveva pensato, per la prima e unica volta, di lasciare il partito nel quale militava da quando aveva 17 anni. Non fu l’unica e alcuni deputati all’epoca passarono all’azione: nel 2019 se ne andarono in sei, tra cui Luciana Berger, rientrata a febbraio scorso dopo un invito di Keir Starmer, leader che nei confronti della palude ideologica della vecchia guardia non ha usato mezze misure, mandando via tutti quelli che hanno dimostrato tolleranza verso la retorica antisemita, anche se erano nel suo governo ombra come Rebecca Long-Bailey. “Questo non è il partito che ho lasciato”, ha dichiarato Berger con le lacrime agli occhi alla platea l’appuntamento laburista di Liverpool, che le ha dedicato una standing ovation. “Non è la conferenza alla quale ho partecipato per l’ultima volta cinque anni fa, scortata tristemente dalla polizia”, ha detto, sottolineando come tutto sia cambiato grazie all’intervento di Starmer e della nuova guardia. 

Jeremy Corbyn, che in questi giorni è riuscito a non condannare gli attacchi né Hamas, ribadendo che “la fine dell’occupazione è l’unico modo per realizzare una pace giusta e durevole”, è stato cacciato dal partito, ma ha partecipato a un evento a margine della conferenza e organizzato dal suo gruppo, Momentum, in cui ha ribadito che uno “non può solo condannare, come faccio io, tutti gli atti di violenza in giro per il mondo”. 

La linea ufficiale l’ha ribadita David Lammy, ministro degli Esteri ombra, che oltre a sottolineare l’ovvio – “non c’è mai, mai una giustificazione per il terrorismo” – ha chiarito che “il Labour è saldamente a sostegno del diritto di Israele di difendersi, di salvare gli ostaggi e di proteggere i suoi civili”. La cancelliera ombra Reeves ieri ha fatto il suo discorso più atteso, in un giorno in cui il premier Rishi Sunak ha rotto il gentlemen’s agreement che fa sì che non si parli durante le conferenze del partito avversario, e ha promesso “disciplina di ferro” sull’economia se il partito, che attualmente ha un vantaggio di circa 18 punti sui Tory, vincesse alle elezioni che si terranno, secondo la scommessa di Starmer, o a maggio o a ottobre 2024. 

Lo slogan non è male – Let’s Get Britain’s Future Back, una specie di “Ridateci il futuro” – e restituisce bene l’idea della stagione distopica che si è vissuta, al netto della pandemia, tra Brexit, relative spaccature, inevitabili ferite autoinferte. In platea c’erano imprenditori e industriali, lei ha detto che i colossi tech ed energetici pagheranno “una giusta quota” di tasse, così come le scuole private, mentre le spese del governo, tra consulenze, jet privati e sprechi per il Covid, passeranno al setaccio. Ma per finanziare i servizi pubblici l’unica strada per lei e per Starmer, unitissimi nel mostrarsi stabili, competenti, non rivoluzionari, è quella della crescita. 

Di più su questi argomenti: