Immigrazione, crescita, Brexit. Keir Starmer dà una voce nuova alle sinistre

Paola Peduzzi

Il leader del Labour inglese guarda avanti e non indietro, vuole mostrare una via moderata per il suo paese, sganciandosi dal passato, dalle correnti, dalle liti, e viaggiando leggero

Il leader del Labour britannico, Keir Starmer, vuole “restaurare il Regno Unito e la sua reputazione a livello internazionale” e per farlo inizia con la costruzione della sua leadership, che per molti coincide con quella del prossimo premier del paese. Il Labour è avanti di 15/20 punti percentuali nei sondaggi rispetto al partito al governo, i Tory, ma è già accaduto in passato che, avvicinandosi il voto, vantaggi e svantaggi si ridisegnassero. L’offensiva internazionale di Starmer, tra la conferenza dei leader socialdemocratici a Montréal, in Canada, e il tour europeo che tocca oggi Parigi – è previsto l’incontro con il presidente francese, Emmanuel Macron – va ben al di là dello scarto nelle rilevazioni elettorali, ma è un modo di porre nuove  fondamenta alla sinistra occidentale, stracciando i tabù del passato – il riformismo, con un’enfasi sulla crescita e non sulle tasse – e del presente – l’immigrazione, la Brexit. 

 

E’ un progetto ampio, quello di Starmer, che ha di certo a che fare con le elezioni – “Ha imparato come si fa questo lavoro, è diventato un bastardo senza scrupoli e questa è una buona cosa, vuole davvero vincere”, ha detto una fonte di Westminster a Tim Shipman del Times che ha pubblicato domenica un articolo pieno di dettagli sulla trasformazione di Starmer che quando è stato eletto alla guida del Labour nel 2020 diceva: “Non capisco la politica e non mi piace nemmeno tanto” – e con la sua persona – quando parla del futuro, cita i suoi figli adolescenti; e lascia che i cronisti si divertano a raccontare la sua passione per il calcio (è tifoso dell’Arsenal) e le sue partite a calcetto la domenica – ma anche e soprattutto con le prospettive dei partiti progressisti, schiacciate nel duello interno invero poco vincente tra i moderati e i radicali. Starmer è uno che “ama viaggiare leggero”, dicono di lui, non si è schierato nelle lotte dentro al Labour tra i moderati, ha deciso di eliminare l’influenza del suo predecessore, Jeremy Corbyn (e ce l’ha fatta), ha riabilitato Tony Blair e i blairiani senza farsi azzoppare dalle critiche, ha scelto i collaboratori e i ministri basandosi su competenza e bravura senza badare alla corrente d’appartenenza (moltissimi sono blairiani), ha trovato i suoi riferimenti internazionali tra i leader della sinistra centrista, indugiando sul fatto che si sente spesso con l’ex presidente americano Barack Obama. A Montréal, la rivoluzione di Starmer ha trovato un palco e una visione oltre che un’ottima accoglienza – e non è un caso che in questo consesso socialdemocratico moderato, il Global Progress Action Summit, la leader del Pd italiano, Elly Schlein, non si sia presentata. Il leader del Labour ha insistito sul fatto che l’immigrazione e il controllo delle frontiere non sono temi su cui la sinistra si deve sentire in imbarazzo o, peggio, da lasciare alle destre.

 

Starmer dice che il suo paese, checché ne dica il governo conservatore e nonostante la retorica brexitara, non ha alcun controllo dei propri confini e che senza di questo non è possibile governare i flussi migratori. Prima di arrivare in Canada, Starmer aveva avuto un incontro all’Aia con l’Europol per parlare dei trafficanti di immigrati e trovare una collaborazione: la tappa europea ha stravolto la discussione e la proposta di Starmer – che è quella di applicare le misure restrittive che erano state introdotte durante la guerra al terrorismo per individuare i trafficanti, le loro reti e i loro asset e impedire loro di operare – perché i Tory hanno iniziato ad attaccare il leader dell’opposizione dicendo che vuole ristabilire le quote europee di accesso al Regno Unito. Starmer ha dovuto ribadire che non è questa la sua intenzione, visto che il paese non fa più parte dell’Unione europea e il sistema di quote non funziona granché – come non funziona il sistema introdotto dal governo conservatore visto che il numero di richiedenti asilo ha raggiunto il picco ad agosto (175.457 persone) e le “case” adibite all’accoglienza non riescono né a garantire una sistemazione dignitosa ai migranti né ad accelerare la valutazione delle richieste. 

 

Starmer vuole offrire una visione per il suo paese che va oltre i lacci imposti dal dibattito dentro alle sinistre – come quello sull’economia: non vuole aumentare le tasse, nemmeno ai più ricchi – e a quelli che impantanano il futuro del Regno Unito nella Brexit e nelle sue conseguenze disastrose. Al Financial Times ha detto di voler rivedere l’accordo di divorzio dall’Ue non per rientrare nell’Unione ma per individuare le aree di collaborazione in cui conviene agli stessi britannici non sottostare alle regole vigenti che hanno già dimostrato di essere costose oltre che non funzionanti. Anche in questo tormento prettamente britannico, Starmer guarda avanti e non indietro, vuole mostrare una via moderata per il suo paese e per le sinistre, sganciandosi dal passato, dalle correnti, dalle liti, e viaggiando leggero.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi